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ATTO QUARTO
SCENA QUARTA Cesare e detti, poi Felice, poi Alonzo, Rita, Mimě e Papele.
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Cesare e detti, poi Felice, poi Alonzo, Rita, Mimì e Papele.
CESARE: Egregio signor D. Procopio.
PROCOPIO: Oh! Ripettabilissimo D. Cesare! Ecco trovato il cavaliere, abballa cu isso... D. Cesarì, ballate con mia moglie.
ELENA: Ma io...
PROCOPIO: Non ti dico niente, con lui ci tengo tutta la fiducia, è tuo fratello cugino, e poi è un buonissimo giovine.
CESARE (stringendogli la mano): Grazie D. Procopio, grazie. Elena, andiamo. (Prende sotto il braccio Elena che di malgarbo via con lui per la destra.)
PROCOPIO: No, D. Angè, io lo marito lo saccio fà! (Via c.s.)
ANGELICA: Ah! Ah! Quant’è curiuso! Io nun saccio comme se lo spusaje.
FELICE (dal fondo a destra): Fosse chesta la signora?
FELICE: (Mò nce l’addimanno, abbasta che nun me fa n’asciuta de quarto!).
ANGELICA: (Aspetta, caspita, chisto ha da essere lo tenore!).
FELICE: Scusi, lei è la signora Angelica Montagna?
ANGELICA: Per servirla, la padrona di questa casa.
FELICE: Benissimo, giusto di voi andava in cerca.
ANGELICA: (Jeva truvanno a me? è isso! è isso!). S’accomodi, signore.
FELICE: Grazie. (Siede.) (Guè, vì quant’è gentile!) Dovete sapere che io sono...
ANGELICA: Basta, non c’è bisogno che voi dite il vostro nome... Gli uomini come voi lo portano scritto nfronte.
FELICE: (Chesto me l’ha ditto cchiù d’uno!).
ANGELICA: Io appena v’ho visto, v’ho subito conociuto. Quegli occhi vivaci, quel colorito di fuoco v’hanno svelato.
FELICE: (Chesta pe chi m’avarrà pigliato?).
ANGELICA: Mi dispiace che vi ho incomodato, ma che volete, qui tutti vi desiderano, la mia casa non è degna per voi lo sò, spero però che mi compatirete.
FELICE: Ma no, anzi io trovo la vostra casa una reggia.
ANGELICA: Siete troppo gentile, troppo!
FELICE: (Chesta comme se vummechea!).
ANGELICA: La mia casa certamente non è come quella della signora di Londra.
FELICE: Ah, si capisce, la signora di Londra era... era di Londra!
ANGELICA: Signor Ferro, la vostra stravaganza con quella signora si è saputa fin qua. Dopo aver cantato 3 pezzi, essa vi domandò: Cosa volete? E voi rispondeste: la vostra... Ah! Ah! fu bella veramente. (Ride Felice l’imita.) E la signora non si sgomentò e ve la diede. Oh! Io avrei fatto lo stesso, ve l’avrei data subito, e vi giuro che questa sera quel che mi chiedete avrete.
FELICE: (Sangue de Bacco, mò acconsento a chello che me dice essa, accussì me faccio dà la paglia). Grazie, signora, grazie, voi siete troppo buona.
ANGELICA: Oh! No, per una celebrità come voi si deve far tutto. A Napoli non c’è festa di ballo, non c’è riunione che non si parla di Augusto Ferro, il più gran tenore dell’epoca!
FELICE: (Vi che zarro ch’ha pigliato chesta!).
ANGELICA: Ma siete giovane però.
ANGELICA: State nel fiore della gioventù. Avete un anno meno di me.
FELICE: Ah! Li portate bene, non ci sembrano affatto, io vi faceva per un 24 anni.
ANGELICA: Eh! Volete scherzare.
FELICE: No, veramente! (Mò le chiavo nu punio nfronte!)
ANGELICA: Curioso però! non avete peli? La sera come fate per cantare?
FELICE: E che debbo cantare con i peli?
ANGELICA: No, come cantate senza mustacci, io sò che tutti i tenori debbono portare il mustaccetto.
FELICE: Io sono sfolto, ma la sera lo metto finto. Dunque, signora, io voglio dirvi...
ANGELICA: Perdonate che v’interrompo, voglio domandarvi una cosa, che ve ne pare del tenore Stagno?
FELICE: Ah! Stagno? Eh! non c’è male.
ANGELICA: Anche è un bravo tenore, ma con voi non si può mettere.
FELICE: Ma si capisce, io sono Ferro, volete mettere Ferro co lo Stagno?
ANGELICA: E ditemi un’altra cosa...
ANGELICA: (Mamma mia, comme sta guardanno la scarpina, e si chisto me la cerca, comme faccio, rimango scauza!). Voleva sapere quali sono le musiche che vi piacciono di più!
FELICE: Eh! poche sapete, sapete!
ANGELICA: Per esempio D. Carlo...
FELICE: Ah! D. Carlo... sicuro!
FELICE: Ah! Lucia? Eh! Che ho passato cu Lucia!
ANGELICA: Sono musiche che non moreno maje!
FELICE: Ah! è un fatto! Dunque, signora, io volevo dirvi...
ANGELICA: Aspettate, un’altra cosettina. Stasera quanti pezzi volete cantare? Io mi contento pure di due.
FELICE: E io ve ne canto pure sette!
ANGELICA: Sette! Ah! Quest’è troppo!
FELICE: Basta però che mi fate un gran favore.
ANGELICA: (Mò se ne vene lo vi, mò me cerca la scarpina!).
FELICE: Dovete sapere, signora, che io ho bisogno di un vostro oggetto, e se me lo darete subito, io prendo mezz’ora di tempo, vado ad un sito e torno subito. (Alonzo, Mimi, Rita e Papele escono dal fondo a sinistra: prendendo gelati e guardando la galleria attoniti, poi entrando pel fondo, non veduti da Angelica.)
ANGELICA: Signor Ferro, io non sò che cosa posso fare per voi, i miei oggetti sono tanto di poco valore che non ne vale la pena nemmeno di nominarli, ma se mai uno di essi possa essere a voi caro, parlate, io sono pronta a darvi tutto quello che mi chiedete.
FELICE (vede i 4): (Puzzate murì de subbeto! Chille pure ccà ncoppa so’ venute!). Signora, l’oggetto che io voglio, sono sicuro, è calcolato da voi molto poco. è la paglia, la paglia di Firenze che voi avete... quella paglia mi bisogna, quella paglia io vi chiedo.
ANGELICA: La paglia di Firenze? proprio quella? Oh! Vedete la combinazione! Ma io ve l’avrei data subito, sarei corsa a prenderla a momenti, ma non posso; quella paglia io non la tengo più, da 15 giorni l’ho regalata a mia nipote.
ANGELICA: Ma posso farvela dare, dentro c’è mia nipote... aspettate... (S’alza per andare ma viene trattenuta dai 4 che vengono dal fondo a destra ed entrano nella porta al centro.)
FELICE: (Uh! Mannaggia all’arma vosta!).
ALONZO: (Figlia mia, a te, fa lo duvere tujo!).
RITA (inginocchiandosi vicino ad Angelica): Zia mia, lassate che ve vaso la mano, da chisto mumento io nun sarraggio la nepota vosta... ma la schivuttella vosta!
ANGELICA: Ma voi chi siete?
ALONZO: È figliema, la mugliera de lo nepote vuosto.
ANGELICA: Lo nepote mio? Quà nipote?
ALONZO: Eccolo ccà, D. Felice.
ANGELICA: D. Felice? Comme, vuje non site Ferro lo tenore?
FELICE: Nonsignore signò, io me chiammo Felice Sciosciammocca, aggio ditto ch’era Ferro per farvi piacere.
ANGELICA: E me fate chiacchiarrià mez’ora cu buje? Ma cheste so’ cose de pazze! Meno male che non aveva fatto sapé niente dinto, si no nce facevo sta figura! E che vulite da ccà ncoppa?
FELICE: Signò, io ogge so’ spusato, e nun me pozzo ritirà a la casa co la sposa senza chella paglia che v’aggio ditto. A lloro aggio dato a rentennere che voi eravate mia zia, ecco tutto!
ANGELICA: Ma so’ cierte cose curiose, sapite! Vuje nun me conoscite, e facite sti mbruoglie dinto a la casa mia!
FELICE: L’ho fatto per la paglia!
ANGELICA: Ma io la paglia non la tengo!