Eduardo Scarpetta
Amore e polenta

ATTO QUARTO

SCENA QUARTA   Cesare e detti, poi Felice, poi Alonzo, Rita, Mimě e Papele.

Precedente

Successivo

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

SCENA QUARTA

 

Cesare e detti, poi Felice, poi Alonzo, Rita, Mimì e Papele.

 

CESARE: Egregio signor D. Procopio.

PROCOPIO: Oh! Ripettabilissimo D. Cesare! Ecco trovato il cavaliere, abballa cu isso... D. Cesarì, ballate con mia moglie.

ELENA: Ma io...

PROCOPIO: Non ti dico niente, con lui ci tengo tutta la fiducia, è tuo fratello cugino, e poi è un buonissimo giovine.

CESARE (stringendogli la mano): Grazie D. Procopio, grazie. Elena, andiamo. (Prende sotto il braccio Elena che di malgarbo via con lui per la destra.)

PROCOPIO: No, D. Angè, io lo marito lo saccio ! (Via c.s.)

ANGELICA: Ah! Ah! Quant’è curiuso! Io nun saccio comme se lo spusaje.

FELICE (dal fondo a destra): Fosse chesta la signora?

ANGELICA: Uh! E chisto chi è?

FELICE: ( nce l’addimanno, abbasta che nun me fa n’asciuta de quarto!).

ANGELICA: (Aspetta, caspita, chisto ha da essere lo tenore!).

FELICE: Scusi, lei è la signora Angelica Montagna?

ANGELICA: Per servirla, la padrona di questa casa.

FELICE: Benissimo, giusto di voi andava in cerca.

ANGELICA: (Jeva truvanno a me? è isso! è isso!). S’accomodi, signore.

FELICE: Grazie. (Siede.) (Guè, quant’è gentile!) Dovete sapere che io sono...

ANGELICA: Basta, non c’è bisogno che voi dite il vostro nome... Gli uomini come voi lo portano scritto nfronte.

FELICE: (Chesto me l’ha ditto cchiù d’uno!).

ANGELICA: Io appena v’ho visto, v’ho subito conociuto. Quegli occhi vivaci, quel colorito di fuoco v’hanno svelato.

FELICE: (Chesta pe chi m’avarrà pigliato?).

ANGELICA: Mi dispiace che vi ho incomodato, ma che volete, qui tutti vi desiderano, la mia casa non è degna per voi lo , spero però che mi compatirete.

FELICE: Ma no, anzi io trovo la vostra casa una reggia.

ANGELICA: Siete troppo gentile, troppo!

FELICE: (Chesta comme se vummechea!).

ANGELICA: La mia casa certamente non è come quella della signora di Londra.

FELICE: Ah, si capisce, la signora di Londra era... era di Londra!

ANGELICA: Signor Ferro, la vostra stravaganza con quella signora si è saputa fin qua. Dopo aver cantato 3 pezzi, essa vi domandò: Cosa volete? E voi rispondeste: la vostra... Ah! Ah! fu bella veramente. (Ride Felice l’imita.) E la signora non si sgomentò e ve la diede. Oh! Io avrei fatto lo stesso, ve l’avrei data subito, e vi giuro che questa sera quel che mi chiedete avrete.

FELICE: (Sangue de Bacco, acconsento a chello che me dice essa, accussì me faccio la paglia). Grazie, signora, grazie, voi siete troppo buona.

ANGELICA: Oh! No, per una celebrità come voi si deve far tutto. A Napoli non c’è festa di ballo, non c’è riunione che non si parla di Augusto Ferro, il più gran tenore dell’epoca!

FELICE: (Vi che zarro ch’ha pigliato chesta!).

ANGELICA: Ma siete giovane però.

FELICE: 28 anni.

ANGELICA: State nel fiore della gioventù. Avete un anno meno di me.

FELICE: E voi avete 29 anni?

ANGELICA: Sicuro.

FELICE: Ah! Li portate bene, non ci sembrano affatto, io vi faceva per un 24 anni.

ANGELICA: Eh! Volete scherzare.

FELICE: No, veramente! ( le chiavo nu punio nfronte!)

ANGELICA: Curioso però! non avete peli? La sera come fate per cantare?

FELICE: E che debbo cantare con i peli?

ANGELICA: No, come cantate senza mustacci, io che tutti i tenori debbono portare il mustaccetto.

FELICE: Io sono sfolto, ma la sera lo metto finto. Dunque, signora, io voglio dirvi...

ANGELICA: Perdonate che v’interrompo, voglio domandarvi una cosa, che ve ne pare del tenore Stagno?

FELICE: Ah! Stagno? Eh! non c’è male.

ANGELICA: Anche è un bravo tenore, ma con voi non si può mettere.

FELICE: Ma si capisce, io sono Ferro, volete mettere Ferro co lo Stagno?

ANGELICA: E ditemi un’altra cosa...

FELICE: Dite... dite...

ANGELICA: (Mamma mia, comme sta guardanno la scarpina, e si chisto me la cerca, comme faccio, rimango scauza!). Voleva sapere quali sono le musiche che vi piacciono di più!

FELICE: Eh! poche sapete, sapete!

ANGELICA: Per esempio D. Carlo...

FELICE: Ah! D. Carlo... sicuro!

ANGELICA: L’Africana!

FELICE: Ah! L’Africana!

ANGELICA: Lucia!

FELICE: Ah! Lucia? Eh! Che ho passato cu Lucia!

ANGELICA: Sono musiche che non moreno maje!

FELICE: Ah! è un fatto! Dunque, signora, io volevo dirvi...

ANGELICA: Aspettate, un’altra cosettina. Stasera quanti pezzi volete cantare? Io mi contento pure di due.

FELICE: E io ve ne canto pure sette!

ANGELICA: Sette! Ah! Quest’è troppo!

FELICE: Basta però che mi fate un gran favore.

ANGELICA: ( se ne vene lo vi, me cerca la scarpina!).

FELICE: Dovete sapere, signora, che io ho bisogno di un vostro oggetto, e se me lo darete subito, io prendo mezz’ora di tempo, vado ad un sito e torno subito. (Alonzo, Mimi, Rita e Papele escono dal fondo a sinistra: prendendo gelati e guardando la galleria attoniti, poi entrando pel fondo, non veduti da Angelica.)

ANGELICA: Signor Ferro, io non che cosa posso fare per voi, i miei oggetti sono tanto di poco valore che non ne vale la pena nemmeno di nominarli, ma se mai uno di essi possa essere a voi caro, parlate, io sono pronta a darvi tutto quello che mi chiedete.

FELICE (vede i 4): (Puzzate murì de subbeto! Chille pure ccà ncoppa so’ venute!). Signora, l’oggetto che io voglio, sono sicuro, è calcolato da voi molto poco. è la paglia, la paglia di Firenze che voi avete... quella paglia mi bisogna, quella paglia io vi chiedo.

ANGELICA: La paglia di Firenze? proprio quella? Oh! Vedete la combinazione! Ma io ve l’avrei data subito, sarei corsa a prenderla a momenti, ma non posso; quella paglia io non la tengo più, da 15 giorni l’ho regalata a mia nipote.

FELICE: (Chest’è forte!).

ANGELICA: Ma posso farvela dare, dentro c’è mia nipote... aspettate... (S’alza per andare ma viene trattenuta dai 4 che vengono dal fondo a destra ed entrano nella porta al centro.)

ALONZO: Nu mumento...

MIMÌ: Signò, scusate...

ANGELICA: (E chiste chi ?).

FELICE: (Uh! Mannaggia all’arma vosta!).

ALONZO: (Figlia mia, a te, fa lo duvere tujo!).

RITA (inginocchiandosi vicino ad Angelica): Zia mia, lassate che ve vaso la mano, da chisto mumento io nun sarraggio la nepota vosta... ma la schivuttella vosta!

PAPELE: E io dico lo stesso!

ANGELICA: Ma voi chi siete?

ALONZO: È figliema, la mugliera de lo nepote vuosto.

ANGELICA: Lo nepote mio? Quà nipote?

ALONZO: Eccolo ccà, D. Felice.

ANGELICA: D. Felice? Comme, vuje non site Ferro lo tenore?

FELICE: Nonsignore signò, io me chiammo Felice Sciosciammocca, aggio ditto ch’era Ferro per farvi piacere.

ANGELICA: E me fate chiacchiarrià mezora cu buje? Ma cheste socose de pazze! Meno male che non aveva fatto sapé niente dinto, si no nce facevo sta figura! E che vulite da ccà ncoppa?

FELICE: Signò, io ogge sospusato, e nun me pozzo ritirà a la casa co la sposa senza chella paglia che v’aggio ditto. A lloro aggio dato a rentennere che voi eravate mia zia, ecco tutto!

ANGELICA: Ma socierte cose curiose, sapite! Vuje nun me conoscite, e facite sti mbruoglie dinto a la casa mia!

FELICE: L’ho fatto per la paglia!

ANGELICA: Ma io la paglia non la tengo!

 


Precedente

Successivo

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA1) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2009. Content in this page is licensed under a Creative Commons License