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D. Felice, Michele e detti poi Mimì.
FELICE (di dentro gridando): Tu sei una bestia, e non me rispondere che te piglio a pacchere!
MICHELE (di dentro): Ma Professò, sentite...
FELICE: Che sentire e sentire, quando io dò un ordine, voglio essere ubbidito... Oh! caro D. Achille.
ACHILLE: Professore egregio, che c’è?
FELICE: L’ho con questo animale de servitore che non vò fà quello che uno gli dice.— quando il padrone dà un ordine deve essere sacro per il cameriere — già chillo capisce chesto — è inutile, dice il proverbio: fà l’arte che sai fà, quell’era cocchiere d’affitto, e chesto adda fà.
MICHELE (che ha seguito Felice da servo di corte): Ma quà è stata la mancanza che aggio fatto?
FELICE: Pss, parla piano e spiega le braccia, così si sta in cantina, non già davanti ai signori. (Michele spiega le braccia.) T’avevo detto di farmi trovare fuori alla sala na trentina di poltrone che si debbono mettere in questa camera per gl’invitati, so’ venuto e non aggio trovato niente.
MICHELE: Ma addò vulite che li piglio 30 poltrone?
FELICE: Io questo non lo debbo sapere, li lieve da dinto all’ati cammere, le compri, ched’è, poltrone non se ne vennene a Puortece?
MICHELE: Sicure che se ne vennene... Ma...
FELICE: Ma che... è inutile che guarde a D. Alberto, tu hai da guardà a me, io sono il patrone in questa casa. D. Alberto fà chello che dico io. Te ricuorde lo fatto de lo rangio? Embè, mò lo rangio songh’io, e buje site li mosche, capite.
ACHILLE: Ma vedete, professò, invece delle poltrone, potrebbero essere sedie, è lo stesso, si trovano più facilmente e non si spendono danani.
MICHELE: Chello che aggio ditto pur io.
FELICE: Va bene, sieno sedie... ma belle... di lusso... ma priesto, cattera, che è tardi.
MICHELE: Eccome ccà. (Na vota de chesta te siente nu punio cca ncoppe!) (Indica la fronte e via.)
FELICE: Io sta gente d’Aversa non li voleva piglià, voleva prendere servitori forestieri, toscani, che sanno il loro dovere, non me volettene sentì... Approposito, lo maestro de pianoforte addo sta?... Sta ancora fore a la sala... (Alla porta di fondo.) Maestro, favorite.
MIMI (con carte di musica): Grazie, siccome stiveve alluccanno, me so’ fermato.
FELICE: Ve site mise paura, dicite la verità?
MIMI: No, paura no, aspettave, capite?
FELICE: Neh, vi presento il maestro Domenico Pagliuchella, professore di pianoforte.
ALBERTO: Fortunatissimo. (Strette di mano.)
FELICE: Giovine di gran talento, disgraziato poveretto, non tiene fortuna, non hanno saputo conoscere la sua abilità, e per vivere s’era dato al caffè chantà, accompagnava le canzonette. Io lo sentii per combinazione una sera qui a Portici, e vidi subito che era un grande ingegno.
FELICE: Ma niente, niente, che volete m’è simpatico, l’ho preso a proteggere. Oggi debutta perla prima volta come mio accompagnatore, un pezzo difficilissimo.
FELICE: D. Mimì senza cerimonie — volete na tazza di cafè e cioccobata, una granita con delle paste... non fate complimenti... aspettate, mò penzo io, mò ve faccio mettere nu poco in forza. (Suona il campanello.)