Eduardo Scarpetta
Lu café chantant

ATTO PRIMO

SCENA QUINTA   Ciccio e detti, poi Giacomino.

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SCENA QUINTA

 

Ciccio e detti, poi Giacomino.

 

CICCIO: (D. Felì, scusate, la mugliera vosta sapé si avite mannato addò trattore).

FELICE: (Chella è pazza, non le retta. Famme lo piacere, chiste tre solde, da lo pezzaiuolo a lo pentone, e famme na pezzella cco la pommadora, io mme sento na languidezza de stommaco che nun se po’ credere).

CICCIO: ve servo subeto subeto. (Via.)

FELICE: Dunque... adesso fatemi sentire come dite quella battuta.

LUISELLA (esageratamente): Non la voglio!

FELICE: E pecché alluccate? Nonsignore, anzi quella è una battuta che si deve dire con forza sì, ma senza alluccà. (Vedendo Giac.) Chi è? Uh, quant’è bello chillo. Avanti. Chi volete?

GIACOMINO: Vorrei parlare col signor D. Felice Sciosciammocca, sapete dove sta?

FELICE: Sono io, che mi dovete dire?

GIACOMINO: Mi dispiace che vengo a disturbarvi, voi forse siete occupato.

FELICE: Nonsignore, potete parlare, la signorina non va di fretta.

GIACOMINO: Signorina, sono proprio mortificato, se sapeva che c’era lei non ci sarei venuto.

LUISELLA: Oh, e perché? Io posso attendere, non vado di fretta.

GIACOMINO (dolce): Non andate di fretta?

LUISELLA (ugualmente): Ma no, ma no.

GIACOMINO: Grazie, sa.

FELICE: Amico, se siete venuto pe lo farenella ve ne andate un’altra volta. Voi dite che volete parlare con me? E parlate con me.

GIACOMINO: Sissignore.

FELICE: Chi siete e che volete.

GIACOMINO: Io mi chiamo Giacomino Alicella, mio padre è ricchissimo e tiene solamente a me, sono stato molti anni alla scuola, ma nun m’aggio potuto mparà mai niente, appena appena saccio lo nomme e lo cognome mio. Papà mme dice sempe: figlio mio, vide de quacche cosa, pecché va bene che lo mangià nun te manca, li vestite te li ffaccio io, ma puè stà sempe soggetto a me?

FELICE: Eh, dice buono.

GIACOMINO: Lo , ma io pure dico buono, che faccio si non saccio niente? L’unica cosa è de lo comico.

FELICE: E già, perché dite voi: lo comico non have bisogno de sapé leggere e scrivere.

GIACOMINO: E se capisce, che n’ha da .

FELICE: Comme che n’ha da , e la parte comme ve la mparate?

GIACOMINO: E pecché mme l’ mparà, lo suggeritore mme lo ddice e io lo ddico da coppa.

FELICE: (E io te vatto da sotto! Vuje vedite a me che mme succede).

GIACOMINO: Io voglio che vuje mme date nu mese de lezione, io ve 5 lire al giorno, se ci riesco, bene, e se no ve ringrazio e non ci penso più.

FELICE: E li ccinche lire d’ogge l’avite portate?

GIACOMINO: Sissignore, eccole qua. (Le mostra.) Dopo la lezione ve le ddongo.

FELICE: Va bene. Questa giovine sta qua anche per la stessa ragione.

GIACOMINO: Ah, anche voi vi volete imparare a recitare?

LUISELLA: Sissignore.

GIACOMINO: Bravo, fate bene.

FELICE: Dunque, parlate con me. Ditemi una cosa, avete mai recitato?

GIACOMINO: Sissignore.

FELICE: Ah, bravo, e dove?

GIACOMINO: Birrerie di Monaco, Eden a S. Lucia. I bagni al Chiatamone...

FELICE: Bravo! Comme avesse ditto: Sannazzaro, Fondo, Fiorentini. Ma non avete recitato, avete cantato?

GIACOMINO: Cantato, e recitato, come s’intende.

FELICE: Vattenne, nu’n mme vutà lo stommaco! Basta, na vota che ve trovate ccà con l’istessa intenzione della Signorina qui presente, la quale si stava passando una parte, facciamo così. (Prende un copione.) Questo è il dramma, vuje nun sapite leggere, perciò è inutile la parte. ve suggerisco io la scena terza del secondo Atto, voi fate il Conte Ottavio e essa fa Giorgetta.

GIACOMINO: Ah, bravissimo!

FELICE (leggendo il copione): Ottavio, Vedi tu queste ricchezze, o Giorgetta? Sono tue, tu sola ne sarai la padrona. Amami, Giorgetta, amami e tutto avrai. Se tu acconsenti all’amor mio, questa villa è tua. (Giac. ripete le parole con lazzi come un concerto, a Luisa:) A voi.

LUISELLA (gridando): Non la voglio.

FELICE: Nun alluccate, ma tenite la capa tosta ... vi ho detto con forza, ma senza gridare. Così, vedete, voi state da qua. (Si situa a destra.)

 


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