Eduardo Scarpetta
Lu marito de nannina

ATTO PRIMO

SCENA QUINTA   Biase, e detto, poi Francisco e Felice.

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SCENA QUINTA

 

Biase, e detto, poi Francisco e Felice.

 

BIASE: Signò, signò.

NICOLA: Che è stato?

BIASE: Eh, che è stato! Sapite chi sta saglienno?

NICOLA: Chi sta saglienno?

BIASE: Eh, chi sta saglienno! Non ve lo ppotite maje immaginà.

NICOLA: Chi arma de mammeta sta saglienno?

BIASE: Nientemeno lo sposo de la signorina, chillo che s’aspettava duje mise fa.

NICOLA: D. Celestino Burzello?

BIASE: D. Celestino Burzello!

NICOLA: E che aggio da , me vene accompagnà pur’isso a lo Municipio.

BIASE: Vuje che dicite Eccellenza, chillo ha portato scatole, rroba, starrà co la capa che vene a spusa.

NICOLA: Eh, vene a spusà, se ne fosse addunato da n’ato anno.

BIASE: Ma chillo v’ha scritto Eccellenza, site stato vuje che non l’avite risposto.

NICOLA: Io sapeva chesto, e comme se fa .

BIASE: Eccolo ccà, sta trasenno.

FRANCISCO (annunziando): D. Felice Sciosciammocca.

NICOLA: Oh, D. Felice, favorite, favorite.

FELICE (con 2 scatole, una grossa ed una piccola e scatolino con coppola): Caro padre.

NICOLA: Accomodatevi. Pigliate quella roba. (Ai servi.)

FELICE: Grazie, mettetela qua. (I servi eseguono e viano.)

NICOLA: E così, come state, state bene?

FELICE: Eh, non nc’è male, ma l’ho avuta tremenda . Come sto, molto delicato, è vero?

NICOLA: No, state come prima, non ci sembra affatto che avete avuta una malattia.

FELICE: Eh, lo dite per cerimonia, io sostato rovinato. A casa mia ogni sera c’erano sei professori.

NICOLA: Ah, bravo, faciveve no poco de musica?

FELICE: Musica... eh, musica.

NICOLA: Voi avete detto sei professori.

FELICE: Sei medici, sei celebrità. Tutti i giorni consulto; na sera se contrastajene tutti e sei medici, e se dicettene nu cuofene de maleparole.

NICOLA: E perché?

FELICE: Perché s’erano imbrogliati, capite, chi diceva na cosa, chi diceva n’auta.

NICOLA: Il solito. Ma che avete avuto?

FELICE: E chi ne sape niente, è stata una malattia complicata. Incominciò con la febbre, quel giorno che doveva venire qua per andare al Municipio.

NICOLA: Sicuro.

FELICE: Da quel giorno non ho avuto più bene. Tutta la notte con la febbre. Papà, scusate, perché avete i guanti.

NICOLA: Stava uscendo per andare a fare una visita.

FELICE: Ah, e che visita, ’ venuto io, v’aggio da raccontà tanta cose, levateve sti guante, levateve lo cappiello po’ se ne parla.

NICOLA: (Eh, po’ se ne parla). Ma vedete quella è una visita di premura.

FELICE: Ma ci potete andare più tardi?

NICOLA: Eh, non tanto... basta.

FELICE: Dunque, come vi stavo dicendo, tutta la notte stetti con la febbre, la mattina appresso mi sento tutto dolori, ma dolori tremendi, e stetti tutta la giornata così, in letto, senza muovermi, aspettava che me passavano, niente, la mattina appresso mi svegliai con una gamba un poco intorzata, allora dissi, e di che si tratta, su quel gonfiore mettette lo dito, po’ lo levaie e rimanette lo fuosso, no fuosso così (fa segno con le dita), metto lo dito appresso e rimanette n’auto fuosso, doje fosse.

NICOLA: (Lo miezo e lo sujo).

FELICE: Eh, scusate, incominciati a me mettere paura, chiamai i medici, e llà per senza perdere tempo, pigliajene la gamba e me facettere na strofinazione de pomata de bella donna, po’ me mettettere 10 mignatte, poi dopo sei carte senapate, poi l’arravogliaine dinta a la semi di lino...

NICOLA: (E la mannajene a lo furno).

FELICE: Ma la fecere stare 10 giorni, dopo 10 giorni sgravogliaje, e che ascette neh.

NICOLA: Me l’immagino.

FELICE: Indovinate sta gamma mia che pareva?

NICOLA: N’uosso de presutto.

FELICE: Un orrore... non si conosceva più, mi sono guarito però è rimasta nu poco più corta e io che ho passato, perché poi stavo solo senza nessuno.

NICOLA: Ma come, con quella sorella vostra, non vi siete potuto rappacciare?

FELICE: Chi, Teresina? No, non ci pensate, sono tre anni che stiamo divisi, non la voglio vedere più. ho saputo che fa la modista a la strada Speranzella N. 19, ma chi la cura, per me non la guardo in faccia, fa vergogna alla nostra famiglia.

NICOLA: Ma sempre vostra sorella è, perché la dovete tenere lontana?

FELICE: No, papà non me ne parlate, ognuno sa i fatti suoi, adesso sto bene, e debbo pensare ai fatti miei. Dunque Nannina come sta? Si mantiene sempre così bella, così fresca?

NICOLA: Eh, non nc’è male.

FELICE: Io poi vi ho scritto tante lettere, e voi mi avete risposto una sola volta.

NICOLA: Che volete, sono stato tanto occupato.

FELICE: Non fa niente, vi perdono. Noi ci daremo da fare, e lesto lesto combinammo tutte cose.

NICOLA: Che cosa?

FELICE: Guè che cosa, come, il matrimonio.

NICOLA: Ah, già: (Io comme me l’aggio da dicere a chisto).

FELICE: Ma che papà, io ve vedo nu poco freddo, pare comme si nun nce avisseve cchiù piacere.

NICOLA: No, anzi è perché non dovrei avere piacere, sapete che cos’è, siccome voi non mi avete prevenuto...

FELICE: Eh, ho voluto farvi una sorpresa, forse v’è dispiaciuto?

NICOLA: Che dispiaciuto, per carità, anzi.

FELICE: Nannina quanno me vede resterà meravigliata, io ho pensato sempre a lei, e essa papà che faceva, domandava di me?

NICOLA: Sicuro... specialmente i primi 15 giorni... perché poi... capite...

FELICE: Eh, lo , quando uno sta lontano. Io l’ho portato un bell’abito di seta, ed un cappello di ultima moda, voglio credere che l’accetterà con piacere.

NICOLA: Oh, vi pare. (Voi vedete la combinazione, io come faccio).

FELICE: A voi poi, siccome siete amante di coppole per casa, ve ne ho portata una, eccola qua. (La .)

NICOLA: Ah, bellissima, velluto di seta tutta ricamata in oro.

FELICE: è oro fino. Sta coppola me costa 75 lire sapete.

NICOLA: Eh, si vede, e poi dalle vostre mani non poteva venire che una cosa scicca. (Se la prova) e mi sta a pennello. (Se la leva, se la pone in tasca, e si mette il cappello.) Vi ringrazio tanto tanto, è stato proprio un bel pensiero che avete avuto.

 


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