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OTTAVIO (di dentro): è permesso?
GAETANO: Chi è?... Ah! Il sig. Bebè!... Avanti, favorisca.
OTTAVIO (di fuori) : Grazie... Se disturbo, ritornerò un’altra volta.
GAETANO: Ma niente affatto, voi ci fate sempre onore e piacere.
OTTAVIO: Grazie, troppo gentile!
OTTAVIO: Grazie! (Seggono.) Come state? State bene?
GAETANO: Eh, non c’è male. E voi sempre svelto, sempre allegro!
OTTAVIO: Che volete?... io non sto mai di cattivo umore.
GAETANO: Bravo!... Sempre così!...
OTTAVIO: Quanti fiori!... Sono tutti regali di vostra figlia, non è vero?
GAETANO: Sicuro perché oggi è l’anno avversario della sua nascita.
OTTAVIO (ride): Ah, ah! L’anno avversario? L’anniversario volete dire?
GAETANO: E nun aggio ditto accussì?... Oggi ha finito 18 anni.
OTTAVIO: Diciotto anni!... Che bell’età!... L’età dell’allegria, dei fiori e degli amori!
GAETANO: Ah! Nuje l’avimme finite da nu piezzo 18 anni! Anche voi avete mandati dei bei fiori... Ho letto il vostro nome. Il sig. Bebè!
OTTAVIO: Sicuro... perfettamente!... E la sig.na Gemma non c’è.
GAETANO: Nonsignore, è uscita in carrozza con la sua cameriera... Ma poco po’ tricà.
OTTAVIO: Se non vi dispiace, l’aspetterò. Voglio personalmente darle i miei auguri, e di più offrirle un piccolo ricordo. (Tira fuori da una tasca un astuccio con un anello.) Ecco!... Un anellino.
GAETANO (ossetvandolo): Bellissimo! Altro che anellino, questo è nu anellone!... C’è una lettera sopra tutta in brillanti.
OTTAVIO: Sicuro, è una B... Bebè, il mio pseudonimo.
GAETANO: Già, Bebè, il vostro pseudonimo!... Per ora vi ringrazio con la bocca mia; quando poi viene mia figlia vi ringrazia a voce, con la bocca sua.
OTTAVIO: Oh, niente, per carità!
GAETANO: Ma scusate, voi perché non volete dire come vi chiamate?
OTTAVIO: Perché è inutile. Che ve n’importa a voi? Mi chiamo Bebè... il sig. Bebè.
GAETANO: Va bene, come volete voi.
OTTAVIO (tira fuori un portasigarette, ne prende una e ne offre un’altra a Gaetano): Posso offrirvi?
GAETANO: Che è chesta?... Na bacchetta de spirito d’amenta?
OTTAVIO (ridendo): Ma no, una sigaretta.
OTTAVIO: Sicuro! (Accende un cerino.) Accendete. (Gaetano accende.) Queste vengono dal serraglio.
GAETANO: Ah!... Li ffanno li guagliune llà dinto!...
OTTAVIO: Ma che! Vengono da Costantinopoli, c’è dentro la barba del Sultano.
GAETANO: Sò fatte co la barba del Sultano?!... Vì! Comme hanna addurà!
OTTAVIO (ridendo) Son fatte con un tabacco che si chiama così: la barba del Sultano.
GAETANO (fumando si disturba e tossisce).
GAETANO: M’è ghiuto nu pilo de la barba nganna!
OTTAVIO: Se vi disturba, non fumate.
GAETANO Sì, la verità. (Posa la sigaretta.) Signor Bebè, vi ricordate ieri sera che festa a mia figlia?
OTTAVIO: Ah, sicuro!... C’era però un pochino di contrasto, ma la sinistra vinse.
GAETANO: Già! Io questo osservai; tutte le poltrone a sinistra sbattevano le mani, facevano chiasso, e chelle a dritta, nun se muvevano... Perché, Don Bebè?
OTTAVIO: Eh!... Perché?... Partito contrario, mio caro!... Tutte le poltrone a destra proteggono Erminia Pax, l’altra prima ballerina.
GAETANO: Ah, perciò!... E vonno mettere la Pax con mia figlia?... Seh!... Nce ne vonno Pax per mia figlia!
OTTAVIO: Ah, non c’è paragone!
GAETANO: Dite la verità, D. Bebè?
OTTAVIO: D’altronde che ci volete fare? Sono partiti!... Poi vi sono i capipartiti; io, per esempio, sono capo partito della sinistra, e se domani sera... questo già non sarà mai, dico per dire, se domani sera voglio subissare vostra figlia, la subisso!
GAETANO: Eh, va bene, ma mia figlia tiene l’arte.
OTTAVIO: Che vuol dire!... Il pubblico a questo non ci bada. Io mi metto in testa di fischiarla, e la fischio!... Dico per dire.
GAETANO: Già! è l’istesso fatto, per esempio che io, essendo suo padre dopo che voi l’avete fischiata, v’aspetto fora, e ve faccio nu paliatone!
OTTAVIO: Oh!
GAETANO: Ma voi siete un gentiluomo, e non la fischierete.
OTTAVIO: Ma che! Ho portato un paragone per farvi comprendere di che sono capaci i capi partiti.
GAETANO: Ed io vi ho portato un altro paragone per farvi comprendere di che sono capaci i padri. (Ottavio ride.) D. Bebè, lo vì!... D. Bebè! A proposito D. Bebè, potrei avere il piacere di tenervi a pranzo con noi quest’oggi?
OTTAVIO: Quest’oggi?... Mi dispiace, ma non posso... Sono stato già invitato, mi procurerò il piacere un’altra volta... Questa sera, se vi fa piacere, verrò a prendere il caffè con voi.
GAETANO: Va bene. Intanto, permettetemi, vado a lavarmi un poco, a fare un po’ di toletta. Da che mi sono alzato, non ho fatto altro che attaccare rose e camelie per mia figlia. Vedite llà! (Mostra la porta.)
OTTAVIO: Ah, bravo!... Fanno bene!
GAETANO (dopo una pausa): Ma che?... Mi dovete dire qualche cosa?
OTTAVIO: No.
GAETANO: E voi mi avete detto: Attendete.
OTTAVIO: Dico, attendete, fate pure il vostro comodo.
GAETANO: Ah, va bene... Intanto voi potete vedere i ritratti nell’album... potete passeggiare un poco in giardino. Io vengo subito.
GAETANO: Grazie, sig. Bebè!... Io non capisco pecché v’aggia chiammà Bebè. Ogne vota che parlammo, aggia sunà lo tamburro pe nu quarto d’ora... bè brè... bè brè... Ma voi dite che è il vostro pesolonimo, e io non voglio contraniarvi. (Via dalla quinta a destra.)
OTTAVIO (ridendo): Ah! ah! ah!... Che tipo curioso!... Per forza vuol sapere come mi chiamo. Dire il mio vero nome a lui!... Dovrei esser pazzo! Se mio fratello, il principe di Casador e mia sorella, la contessa del Pero, venissere a scoprire che io faccio la corte ad una ballerina, povero me!... Starei fresco!... Se non avessi sciupato quasi un milioncino con queste ragazze, non darei conto a nessuno delle mie azioni; ma oggi, pur troppo, ho bisogno dei miei parenti, e debbo agire con molta cautela. Tanto più che faccio sempre delle lezioni di moralità a mio figlio Eugenio!... Se egli sapesse che vengo in questa casa, povero me!... Povero me!