Eduardo Scarpetta
'No pasticcio

ATTO SECONDO

SCENA TERZA   Giovannino e detto.

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SCENA TERZA

 

Giovannino e detto.

 

GIOVANNINO: Che cos’è?

FELICE: Cheste socose curiose, dice che nuje ieri sera nce simme ritirate mbriache.

GIOVANNINO: Oh! E chi l’ha ditto?

FELICE: D. Pasquale.

GIOVANNINO: Voi?

PASQUALE: Sì, io. D. Giovannino, guardateme nfaccia... e sentite bene quello che vi dico.

GIOVANNINO (a Felice): (Ch’è stato!).

FELICE: (Chiste sanno tutte cose).

PASQUALE: Voi sapete che io vi ho stimato, vi ho voluto bene, e vi ho creduto sempre un buon giovine, però ho saputo delle cose che fanno vergogna, che toccano troppo l’amor proprio, e il decoro d’una famiglia.

GIOVANNINO: Queste parole non credo di meritarle, la mia condotta, è illibatissima.

PASQUALE: Leggete e discolpatevi se potete. ( la lettera.)

GIOVANNINO: (Mamma mia, à lettera d’Emilia!). (Legge piano.) Sentite, caro suocero, io vi parlo francamente, se Giulietta seguita a darmi tanta collera, sarà meglio dividerci una volta per sempre. Fino a che era lei che mi diceva delle parole insultanti, io non ci faceva caso, perché era una donna, ma essere mortificato da voi, che stimo tanto, che voglio tanto bene, scusate, è troppo, è troppo. Che cos’è questa lettera? Chi è che la scrive? Lo volete sapere? è una povera giovinetta, che si trova in uno stato interessante, e non vuole farlo sapere al padre, a chi volete che si rivolga la poveretta? Al medico. E che scrive? (Legge:) «Caro D. Giovannino. Sapete che ho tanto bisogno di vedervi, di aprirvi l’animo mio, e voi non vi fate vedere. Venite subito; però quando non c’è mio padre. Vi aspetto. Emilia». Dilemma, volete che faccio il medico e debbo visitare uomini e donne; non debbo visitare le donne, allora non faccio il medico.

PASQUALE (a Giulietta): (M’haje fatta chesta figura).

FELICE: (Mamma mia! E che mbruglione!).

GIULIETTA: Ma aissera pecché puzzaveve de vino?

GIOVANNINO: Nuje puzzaveme de vino?

FELICE: Oh, v’ingannate.

GIOVANNINO: Aspettate, si, me ricordo, quell’alito sembrava vino, ma invece che cosa sorbimmo?

FELICE: Nce accatajeme nu soldo de sorve.

GIOVANNINO: Che sorve.

FELICE: Nu soldo de nespole.

GIOVANNINO: Che nespole e pere ’e masse. Nel ritirarmi, siccome mi sentiva un poco di dolore di stomaco, entrai qui alla farmacia nella , e mi bevetti 2 gocce di liquore anodino sopra una pietra di zuccaro, voi sapete che tanto bene allo stomaco. (Felice ripete con lazzi quello che ha detto Giovannino.)

PASQUALE: Haje pigliato chesta chicchera.

GIULIETTA: E dinto a lo suonno, pecché diciste n’ato bicchiere, n’ato bicchiere, Teresì nun pazzià.

GIOVANNINO (ridendo): Ah, ah, ah! Feliciè, racconta tu, racconta addò jetteme aissera.

FELICE: (E c’aggia !).

GIOVANNINO: Ierisera andammo a casa d’una signora, che tiene una ragazza ammalata chiamata Teresina, e tiene 8 anni, la quale invece di prendersi la bevanda, voleva scherzare con la pupatella, io le disse n’atu bicchiere, n’atu bicchiere, Teresì nun pazzià, posa la pupatella, forse stanotte l’ho ripetuto nel sonno, ah! ah! ah!... te ricuorde Felì?

FELICE: Sicuro. Ah, ah, ah. (Ripete con lazzi.)

GIOVANNINO: Ma Giulietta mia, levati questi pensieri, io a te voglio bene.

PASQUALE: Ma io lo sapeva.

GIULIETTA: Vorrei sapere un’altra cosa.

GIOVANNINO: ( sapé n’ata cosa?).

FELICE: (Tanto adda che nce abbuscà).

GIULIETTA: Dinto a lo suprabito vuosto stammatina, aggio truvato chesta pettenessa, non credo che sia de qualche ammalata.

GIOVANNINO (la prende): Diavolo! La pettenessa de Teresina!

FELICE: (E che buò arreparà ).

GIOVANNINO (ride, ride): Ah, ah, ah.

FELICE: Ah, ah, ah.

GIOVANNINO: Felì, haje da parlà tu.

FELICE: D. Pasquà, questa è una pettenessa.

PASQUALE: Grazie de la nutizia.

GIOVANNINO: Questa, è il modello di una scoperta che ho fatta io, questo è acciaio e rame, misto ad una composizione galvanica, e appena qualunque donna se la mette, le passa immediatamente il dolore di testa, io ne faccio fare un migliaio e le metto in vendita. (Felice ripete con lazzi:) Ierisera ncapo a chi la mettetteme?

FELICE: Ncapo a nu cane.

GIOVANNINO: Che cane. La mettetteme ncapo a nu cantante, e llà per , le passaje lo dulore de capo.

PASQUALE: Sta scoverta l’haje fatta tu?

GIOVANNINO: Io!

PASQUALE: E nun m’avite ditto niente?

GIOVANNINO: Ve vuleva na sorpresa.

PASQUALE: Vurria che me venesse nu dulore de capa pe la pruvà.

FELICE: (E avisse voglio de lo tené lo dulore de capo!)

PASQUALE: Che bravo giovane, che intelligenza, perdonami se ti ho detto quelle parole. D. FeIì scusate.

FELICE: Niente. Si capisce, quando si pigliano dei sbagli.

PASQUALE: Povera Giulietta, quella lo per troppa affezione.

GIOVANNINO: Ditecelo voi, che noi dobbiamo fare delle invenzioni, è vero Felì?

PASQUALE: Inventate... inventate.

FELICE: Non dubitate, non dubitate.

PASQUALE (a Giulietta): Te sì fatta capape ?

GIULIETTA: Sì, sì, me so’ fatta capace.

 


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