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ERNESTO (a Ciccillo): (Tutto è fatto, la carrozza è pronta!).
ALESSIO: Io perché non nce voleva venì, appunto per queste ragioni.
CAMILLO: Va buono Alè, sono giornate di allegria, che vaje penzanno.
CARMENIELLO (con zuppiera): Ecco serviti. Vermicelli a vongole e pomidoro proprio scicche! (Nel fondo si vede fermare un cuppè.)
ALESSIO: Mò faccio io li porzione. (Esegue.)
FELICE (con soprabito, cappello e tuba e piccola ghelia): Oh! mio Dio, mio Dio! che rovina! che sventura! (A Ernesto:) (Io sto ccà). Carissimo amico, stai qui? Come te la passi eh?
FELICE: Così, passibilmente, si vive, si strappa la vita.
ERNESTO: Caro Liborio, da dove vieni?
FELICE: Lasciami stare, amico mio, non me lo domandare. Mi stavo facendo la mia solita passeggiata per Foria, contento, allegro, come non sono stato mai, e mi dirigevo verso casa per la solita colezione. Tutto ad un tratto vedo correre pompieri, pompe, ed una folla di monelli. Che cos’è, che è stato? Ho domandato al primo che m’è venuto di faccia: Un incendio, un terribile incendio... Ma dove? Non lo so signore, lasciatemi correre. La curiosità mi ha spinto di andare anch’io appresso alla folla. Arrivati alla strada Pontenuovo, un’altra onda di popolo ci veniva incontro gridando: Ajuto! ajuto! Le guardie di Pubblica Sicurezza e i carabinieri a cavallo, facevano largo per il passaggio dei pompieri. Con questo mezzo siamo finalmente riusciti di giungere al palazzo, che le fiamme avevano mezzo distrutto. Oh! Amico mio, quale orribile vista, tutta quella povera gente che vi abitava, alle finestre gridavano: Ajuto! Soccorso! E poi pianti, urli, noi stiamo morendo, per carità, salvateci, cosa da far venire la pelle d’oca!
ERNESTO: Oh! Che disgrazia! Che disgrazia! (Tutti sentono attentamente il racconto di Felice.)
FELICE: I pompieri, veramente sempre coraggiosi, sono corsi per le scale del palazzo, ma fortunatamente e disgraziatamente, se vogliamo, la porta del primo piano era chiusa, e gli abitanti erano usciti, allora hanno scassinata la porta e sono entrati... Oh! amico mio che spettacolo, giù dalla finestra tavolini, sedie, statue, candelabri, quadri bellissimi...
ERNESTO: E di chi era questa casa?
FELICE: Me l’hanno detta, ma non mi ricordo... ah, aspetta, di un certo Alessio Capone, antiquario!
ALESSIO (gridando): Che!!! La casa mia!!
ALESSIO: Corrimmo, corrimmo, pe carità! (Fugge, via.)
VIRGINIA (gridando): Uh! povera rrobba mia!
ANIELLO (gridando): Llà stongo de casa pure io! Carmeniello!... (Scende dal contuar.)
CARMENIELLO (con piatto): Che è stato?
ANIELLO: Se sta abbruscianno la casa nosta!
CARMENIELLO Vuje che dicite! (Gli cade il piatto e fugge.)
CAMILLO (gridando, Virginia afferra Camillo e tutte e due entrano nella carrozza fermata in fondo la quale sparisce).
FELICE: Questa ragazza, l’accompagneremo noi.
ROCCO: Nossignore, io sono l’avvocato di D. Alessio, e l’accompagno io.
ANIELLO: Accompagnateme a me!
ERNESTO: Niente affatto, ci siamo noi per lei!
ONOFRIO: Voi e chi siete voi?
ERNESTO: Siamo dei galantuomini!
ROCCO: Signorina, venite con noi! (Prendendola.)
ERNESTO: La signorina verrà con noi! (Prendendola.)
GILDA: Ma chesta che maniera è, mò l’accompagnammo nuje, venite bella figliò.
ERNESTO E ROSINA: Venite, venite. ( Viano con Marietta.)
ANIELLO: Accompagnateme a me!
ONOFRIO: E tu sei un imbecille!
ROCCO: Sì, usciamo, usciamo, venite!
FELICE: L’arraggia che tengo me l’aggio da scuntà con lloro. (Raduna tutti i piatti che sono sulle tavole.)
ALESSIO: Che volite fà co sti piatte?
FELICE: Non me rompere la capa! (Dà una spinta ad Aniello che cade.)
ALESSIO: Mamma mia! Ajutateme!