Eduardo Scarpetta
Persicone mio figlio

ATTO PRIMO

SCENA SETTIMA   Marchese e detti, poi Persicone.

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SCENA SETTIMA

 

Marchese e detti, poi Persicone.

 

MARCHESE: Cos’è, Giulietta? Insomma, qua fuori che si fa?..

MARIETTA: Padrone, questo giovine deve con voi parlare.

MARCHESE: Con me? Che cosa vuole?..

NICOLA: Lo debbo consegnare In proprie vostre mani...

MARCHESE: Che cosa ?

NICOLA: Un biglietto, Lo manda il mio padrone che sta qui dirimpetto.

MARCHESE: Ma io non lo conosco.

NICOLA (gli la lettera): Ei la risposta aspetta.

MARCHESE: Potete andare via, la mando per Marietta.

NICOLA: Va bene, vi obbedisco... (Via.)

MARCHESE: E che sarà, vediamo... Non l’ha neppure chiusa, meglio così: leggiamo. (Legge:) “Signore mio garbato, la prego a perdonare, Se mai con questa mia la vengo a incomodare. Ma egli è che mia sorella, che tanto voglio bene, Per il suo figlio proprio si trova fra le pene”. Oh! bella! E chi conosce cotesta ragazzina?... “Essa pel suo figliuolo non mangia la mattina. La notte più non dorme, la notte è sempre desta, Signore, mia sorella può perdere la testa! E se la poveretta, signor, vuole salvare Il suo figliuol le faccia, prestissimo sposare.” Ah! Ah! che c’è da ridere! Una sciarada è questa. Ed io non la so sciogliere, ci perderei la testa! Chi è mai questo signore che una sorella tiene, La quale per mio figlio si trova fra le pene?..

GIULIA: Leggete.

MARCHESE: Certamente, bisogna seguitare: “Stamane mia sorella vuole con lei parlare; Perciò, verremo entrambi, s’ella il permetterà Ed oggi stesso il tutto conchiuder si potrà. Intanto, io la ringrazio, mi firmo, e sono suo servo, Per sempre e devotissimo Errico Delicervo”. Disse quel giovanotto, latore del biglietto, Che lo mandava quegli che sta qui dirimpetto. (Guarda alla finestra.) Ma io non la conosco... Oh! corpo d’un cannone! Marietta, chiama subito mio figlio Persicone...

MARIETTA: Son pronta (Signorina, il colpo è fatto già). (Via.)

MARCHESE: Ma sì, ne son sicuro dev’esser quella !... Mio figlio Persicone mi disse ch’era bruna, Ch’era un pochino bassa!..

GIULIA: (Gli viene il mal di luna!). Papà, che stai dicendo?

MARCHESE: Guarda quella ragazza...

GIULIA: Ebbene?

MARCHESE: Per mio figlio la misera va pazza!..

GIULIA: Ah! quella è la sorella di Errico De Licervo, Ne siete ben sicuro?

MARCHESE: Ma sì, lo disse il servo. Quella soltanto abbiamo che sta qui dirimpetto? Ed il fratello certo ha scritto quel biglietto. Oh! qual fortuna! Oh! gioia! E si offre da per sé!

PERSICONE (uscendo): Papà, tu m’hai chiamato? Che cosa vuoi da me?

MARCHESE (portandolo al balcone): Or guarda, è lei la giovine, di cui tu m’hai parlato?

PERSICONE: E lei, papà...

MARCHESE: Toh! un bacio...

PERSICONE: Perché?

MARCHESE: Sei fortunato! Immensamente t’ama, tu l’hai rubato il core, E più non puote vivere se non le giuri amore!

PERSICONE: Papà, che stai dicendo?..

MARCHESE: Dico la verità... E te ne sia di prova leggendo questa qua.

PERSICONE (apre e legge): “Signore mio garbat...”. (Legge piano.)

MARCHESE (a Giulia): Non è fortuna questa? Che quella per mio figlio può perdere la testa?.. Ed ha ragione alfine, è bello Persicone, Ed a guardarlo solo t’ispira una passione!.. Guarda quel naso, Giulia, vedi che bella cosa; E guarda quella bocca, che bel color di rosa! Ma sì, mio figlio è bello!

GIULIA: (è pazzo certamente!)

MARCHESE: Guarda, ha cambiato viso, ei l’ama veramente.

PERSICONE: Oh! Dio! Papà, dell’acqua! (Sviene.)

MARCHESE: Una convulsione! Giulietta, dell’aceto (Giulia via.) Mio caro Persicone, Che c’è, rispondi un poco... Oh! Dio! Ma che sarà? Gente, correte, alcuno... un medico!..

PERSICONE (rinvenendo): Papà!..

MARCHESE: Sto qua; ma che ti senti?

PERSICONE: Il tutto m’è passato... Nel leggere la lettera, il gran piacere è stato. Papà, ma tu l’hai letta? Per me perde la testa, Non mangia la mattina, la notte è sempre desta. Ed io non lo sapevo, ed io che l’ignorava... Se l’avessi saputo da lei certo ne andava, Qual cosa da mangiare a quella avrei portato, Una costata arrosto, un poco di castrato. E per farla dormire, le avrei fatto un decotto Di malva e di papaveri, e gliel’ho avrei pur cotto. Così la poveretta tanto non spasimava... Oh! povera ragazza! Oh! quanto ella m’amava!

 


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