Eduardo Scarpetta
La pupa movibile

ATTO PRIMO

SCENA TERZA   Alfonso e Felice.

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SCENA TERZA

 

Alfonso e Felice.

 

ALFONSO: Favorite, favorite, D. Felice. (Uscendo.)

FELICE: Grazie. Ma insomma, sia come dite voi, caro D. Alfonso ma io credo che qui le cose non vanno come avarrìana j. L’introito scenne e le spese aumentano sempre... i maestri accumincianno da me, se soseccate, vonno essere pagati, a nisciuno piace de faticà pe senza niente.

ALFONSO: Oh, questo è certo.

FELICE: Io poi, francamente, volarrìa essere chiarita sta posizione, ccà i denari che se ne fanno, se ssapé?

ALFONSO: Ci sono troppe spese, caro maestro.

FELICE: Ma che spese, scusate, fino a nu certo punto. Ccà sta miseria prima non ce steva, da che è venuto stu Rettore nuovo se soviste tanta ristrettezze. Io, per esempio, aggia avé la mesata de lo mese passato, e chella de stu mese, tengo appena 10 lire mmano.

ALFONSO. Vi posso offrire? (Con la tabacchiera.)

FELICE: Grazie. (Prende il tabacco.) (E soarrivato co lo tabacco, io voglio la mesata.)

ALFONSO: Vedete maestro, il Rettore credette bene rinnovare la scala del Seminario, l’arco, le colonne della facciata, poi abbellì il giardino, biancheggiò le camerate, puntellò e rifece due pilastri che avevano fatto lesione, fece molte comodità nella cucina...

FELICE: (E llà credo che se sospise veramente i denari, pecché v’avite mangiato tutte cose!).

ALFONSO: Che dite, maestro?

FELICE: No, niente... dicevo che le spese ce so’ state...

ALFONSO: Sicuro, maestro. Poi, sapete, nu gran numero di giovinotti se ne sono usciti, e per conseguenza gl’introiti sono mancati.

FELICE: E se capisce che se n’avevano ascì, chilli se mureveno e famma.

ALFONSO: Oh, no, non dite questo, erano trattati bene. Si sa, non si accontentavano più come una volta.

FELICE: Stateve zitto, D. Alfò. Io l’aggio visto che le date a mangià, me sotruvato tanta vote, o riso o stelletelle dinto a lo brodo, e li facite sta dinto a la caudara 3 ore; ogne stelletelle de chella, quanno le cacciate, me pare nu doppio soldo. I risi addirittura me pareno colla; io l’autriere dinto a la cuadara l’avevo pigliato pe posema.

ALFONSO: Si fanno appositamente così perché fanno bene per i riscaldi viscerali.

FELICE: Ah, già, fanno bene pei riscaldi viscerali. (E ccà dinto, i giovinotti stanno tutti riscaldati.) E diteme na cosa, D. Alfò, che stanno a tutti chilli pulli abbascio lo ciardino, io nun ce n’aggio visto mai mangià?

ALFONSO: Sì, qualche volta... la Pasqua.

FELICE: Ah, la Pasqua?... E comme va, l’altro giorno ne vedette cchiù pochi, ce ne mancavano quasi na mmità?

ALFONSO: Ah! Vedeste una metà dei polli?... Prego. (Offre tabacco.)

FELICE: Grazie. (Prendendolo.) (Chisto me mbriacà de tabacco!).

ALFONSO: Ecco qua. Mercoldì fu S. Cosimo, come sapete, fu il nome del Sindaco, che è fratello cugino del Rettore, venne a pranzo qua con tutta la famiglia, e 4 consiglieri Municipali... e in questa occasione il Rettore credette bene di fare ammazzare qualche gallina.

FELICE: Ah, già, pe no poco de brodo?

ALFONSO: Eh, eh, eh...

FELICE: Nu spezzatino a pomodoro?...

ALFONSO: Proprio!... Sapete, si trattava del Sindaco.

FELICE: Ho capito... ho capito.

ALFONSO: Ma, maestro, vi prego, non dite niente, non vorrei avere una mortificazione.

FELICE: Oh, non dubitate, e che me ne mporta a me, io voglio la mesata, dateme la mesata, e mangiateve pure le gatte de lo Seminario.

ALFONSO: Voi se ce lo domandate, quello ve lo dice, perché ne fa molta stima di voi, vi vuol bene come nu fratello.

FELICE: Sicuro. E io pure lo voglio bene.

 


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