Eduardo Scarpetta
La pupa movibile

ATTO PRIMO

SCENA QUARTA   Ignazio e detti.

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SCENA QUARTA

 

Ignazio e detti.

 

IGNAZIO (di dentro): Venite, Angiolillo, venite.

FELICE: Ah, D. Ignazio, il maestro di musica, ci siamo tutti.

IGNAZIO (fuori da prete con libro di musica): Buongiorno, fratelli, il Cielo sia con voi.

FELICE: D. Ignazio bello.

IGNAZIO: L’ho fatta nu poco tardi, è vero? Il Rettore si sarà infuriato... ma non è stato per colpa mia, sono stato a Napoli per un affare importantissimo; al ritorno il tram è stato fermato un’ora in mezzo alla strada nuova, perché che s’era guastata la macchina, e figurateve con quel sole come simmo state belli.

FELICE: L’altro giorno me capitaje l’istesso a me, co sti tramme è n’affare serio.

IGNAZIO: Io me credevo che la macchina non si poteva accuncià, e me l’avarrìa avuta a pede, e chi se fidava.

FELICE: Non voglia mai lo Cielo.

IGNAZIO: Ma poi, grazie alla Provvidenza, tutto si è aggiustato, ed eccomi qua. I giovinotti stanno forse mangiando?

ALFONSO: Sissignore.

IGNAZIO: E non fa niente, la lezione di canto invece di farla prima la facciamo dopo, come vi pare?

FELICE: O pure non si fa addirittura, che vuol dire pe na giornata.

IGNAZIO: Oh! Questo sì, che se perde na lezione che fa...

FELICE: (Chillo chesto va truvanno, de nun la ).

IGNAZIO: In ogni modo io debbo fare il mio dovere. Maestro, avete inteso l’ultimo lavoretto mio? Una preghiera agli Angioli.

FELICE: No.

IGNAZIO: Ah, bellissimo. È una cantata pastorale. I giovanotti la canteranno la sera della Vigilia di Natale, con l’aiuto del Signore, la sanno quasi a memoria, è una musica che scende al cuore.

FELICE: Dalle vostre mani non può uscire che roba buona.

IGNAZIO: Grazie. Oggi ve la faccio sentire.

FELICE: Quando volete voi, ammireremo le vostre belle cose.

IGNAZIO: (D. Alfò, tenite no bicchierino de quacche cosa? Me sento la gola arsa).

ALFONSO: (No poco de marsala?).

IGNAZIO: (Seh, marsala, grazie).

ALFONSO: (Non fate sentì, venite con me).

IGNAZIO: Permettete, maestro, me vado a bere no bicchiere d’acqua, tengo na sete che non posso più

FELICE: Andate con l’Economo. D. Alfò un bel bicchiere d’acqua fresca.

ALFONSO: Lo servirò come si merita. Permettete, maestro?

FELICE: , fate. (I due viano a soggetto prima porta a sinistra.) Quanto sobelle, quanto sobelle. va trova le se vanno a cumbinà a via de dinto. Ma che ordine, che esattezza sta ccà dinto. Ah! Povero Seminario sta jenno sotta e ncoppa. Mentre venenno ccà aggio trovato miezo a la strada la mamma de la lavannara: patre nuje avanzammo 43 lire de panne lavati, comme avimma ? Padre, consigliateme vuje. Figlia, che vuò ca te dico, io avanzo na mesata e meza, aspettammo n’auto poco che s’ha da . Va bene. Padre, dateme 3 nummere tenite na bella faccia, na faccia auriosa. Figlia mia ecco ccà, io te contentarria, ma non aggio fatto ancora marenna, e io si non faccio marenna, nummeri non ne pozzo , dongo nummeri malamente. Allora ch’ha fatto teneva dinto a lo mantesino na meza provola, e miezo torteno de pane ch’aveva accattato pe portarlo a casa, ha ditto: tenite, mangiate, faciteme sto piacere. Io, la verità, tenevo no poco d’appetito, e parlanno parlanno, me l’aggio fatto; ma mi sono disobligato però, pecché l’aggio dato no terno e n’ambo sicco... e sta fresca!

 


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