Eduardo Scarpetta
La pupa movibile

ATTO SECONDO

SCENA SESTA   Pietro e detti, poi Gervasio, indi Olimpia da bambola.

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SCENA SESTA

 

Pietro e detti, poi Gervasio, indi Olimpia da bambola.

 

PIETRO: Gervasio... tu... (Vedendo i due:) Chi è?… Buongiorno.

FELICE: Buongiorno. Voi siete l’artista meccanico Pietro Fanelli.

PIETRO: A servirvi.

FELICE: Favorirmi sempre. Ma non c’è bisogno di domandano, dalla faccia si vede subito l’artista. Angiolillo. guarda che bella testa. (Lazzi.)

PIETRO: Accomodatevi.

FELICE: Grazie. (Seggono.) Vi presento il mio scolaro Angelo Sarachella.

ANGIOLILLO: Ai vostri comandi.

PIETRO: Preghiere sempre.

ANGIOLILLO (Angelo presenta Felice): Felice Natalino, professore di storia sacra e filosofia.

PIETRO: Fortunatissimo, ho piacere di fare la vostra conoscenza. Prego. (Seggono.)

FELICE: Noi abbiamo voluto procurarci il piacere e l’onore di venire a stringervi la mano personalmente, e farvi mille congratuiazioni.

PIETRO: Vi ringrazio, tanto.

FELICE: Voi siete un grand’uomo, un artista che non si trova per tutto il mondo, e non come non ancora vi hanno fatto una statua... ma se non si fa un monumento a voi, a chi si deve fare? Io ve la farei in mezzo al largo S. Giuseppe co no zerre zerre mmano.

PIETRO: E che faccio i zerre zerre io?

FELICE: Dico per dire.

PIETRO: Eh, caro signore, a Napoli c’è poco incoraggiamento per gli artisti. Dunque in che cosa posso servirvi?

FELICE: Favorirmi sempre... E bravo! E bravo!... (E io a chisto che dico?...). E bravo! E bravo!...

PIETRO: Bravo!...

FELICE: Ma guardate la combinazione, voi somigliate perfettamente ad un mio fratello medico, stabilito qui a Napoli, tale e quale... anche la voce, Colantonio... Colantonio...

PIETRO: Colantonio...

FELICE: Io vi sentirei sempre parlare, perché mi sembra di parlare con mio fratello, Ah! Che pazzo; per la sua testa, si trova facendo il medico, e vivere alla giornata. Quello , dovete sapere che a Giugliano teneva una piccola tenuta, come la tenevo pur’io. Un bel giorno le vene ncapo de se vendere sta porzione sua de terreno; io ce lo sconsigliai, ma isso niente, tuosto, pe forza si volle vendere questa proprietà. Neh, indovinate... il compratore ci volle fabbricare una casina, scava il terreno per fare le fondazioni e ci trova una caccavella così, piena di monete d’oro; centomila franchi e più.

PIETRO (sbadigliando): Veramente? (E a me che me ne preme!).

: (Lo bello che chisto se secca!). Quando Colantonio lo seppe, figuratevi, voleva mettere la causa, perché diceva che la caccavella spettava a lui; no, gli dissi io, spetta al compratore perché quello ha comprato il terreno e la caccavella... e poi se qualcheduno ci avesse dritto so’ io, perché quella è la caccavella de mammà.

PIETRO: Scusate, ma io non credo che site venuto ccà pe parlarme de la caccavella de mammà?

FELICE: No, vi ho detto questo, che ... dice che voi volevate prima na cosetta.

PIETRO: Io voglio la cosetta?

FELICE: Basta così?

PIETRO: Basta. Vi pregherei, siccome tengo tanto da fare, ditemi perché vi siete incomodati?

FELICE: Ecco qua. Bisogna che vi mettiamo a parte di un nostro affare, di un nostro progetto. Scusate se vi facciamo perdere tempo.

PIETRO: No, purché mi dite di che si tratta?

FELICE: Questo mio scolaro, sta chiuso nel Seminario che sta a Casoria, chiamato: Fede e Prosperità, lo sapete?

PIETRO: No,

FELICE: Ah... abbiamo fatto il cornicione, la facciata... dunque si è cresciuto, si può dire, dentro, ha studiato molto, studia tuttora, e la sua vocazione e quella di fare il prete.

PIETRO: Bravo!

FELICE: Lo zio, un certo Nicola Sarachella, ricco proprietario non vuole... si oppone a questa bella vocazione, e gli ha scritto, che se non si ammoglia, isso non le lassa nemmeno un centesimo dell’eredità.

PIETRO: Oh, vedete. (E chesto manco me riguarda).

FELICE: Se poi si ammoglia subito, cioè, fra 5 giorni, non solo gli fa la donazione di tutti i suoi beni, ma quanto, appena vede la sposa, gli regala 200 mila franchi.

PIETRO: Ah, è una bella somma!

FELICE: Lo capisco, ma il ragazzo non ne vuoi sapere, non si vuole ammogliare.

ANGIOLILLO: È impossibile, sarebbe lo stesso che farmi morire.

PIETRO: Ho capito, non si vuole ammogliare, ma nel medesimo tempo non vorrebbe perdere il danaro.

FELICE: Che ingegno! Che ingegno! (Lazzi.)

PIETRO: E come si fa; o l’uno o l’altro, caro D. Sarachella.

FELICE: Eppure c’è il mezzo di non ammogliarsi e salvare la moneta.

PIETRO: C’è il mezzo? E quale...

FELICE: Sentite, Farenè.

PIETRO: Fanelli.

FELICE: Ah, già, Fanelli... Se la vostra pupa meravigliosa è veramente perfetta, è veramente come dice il giornale, allora abbiamo fatto il colpo. La compreremo e la presenteremo a lo zio, dicendo che è la sposa.

PIETRO: Oh! Possibile! (Quasi ridendo e sorpreso.)

FELICE: Se ci assicurate che la pupa è naturale...

ANGIOLILLO: Che è precisa. (Esce Gervasio e si mette in osservazione.)

PIETRO: Oh, per questo intanto non ci pensate. Ma come, voi pigliate la pupa e la presentate a zi Zio, dicendo che è la sposa?

ANGIOLILLO: Sissignore, chillo zi zio è no ciuccione, è no cafone, non s’è mosso mai da Casoria.

PIETRO: Va bene, è na cosa curiosa veramente...

FELICE: Se non ve dispiace, vularriemo vedé sta pupa.

PIETRO: Subito. (Si alzano.) farò vedere prima la madre, Gervasio?

GERVASIO: Comandate.

PIETRO: Scovrite Olimpia.

GERVASIO: Subito.

PIETRO: Mettetevi da qua con me... c’è più effetto. (Si situano a destra.)

GERVASIO (leva prima i panchetti da mezzo, poi scovre Olimpia).

PIETRO: Che ve ne pare?

ANGIOLILLO: E bella, sì, ma è troppo grossa?

FELICE: N’avita avuta consumà secatura pe chillo cuorpo. na bella femmena però.

PIETRO: Si , è la madre, si ammira come lavoro, ma come donna, non va niente cchiù.

OLIMPIA: ( chi parla, chillo s’è fatto no scortecone!).

FELICE: E la madre si muove?

PIETRO: Sicuro. Gervasio?

GERVASIO: Comandi.

PIETRO: Primo bottone.

GERVASIO: Subito. (Tocca 1l primo bottone nella cintura di Olimpia.)

OLIMPIA (si soffia col ventaglio e gira la testa a sinistra e a destra come fanno le bambole).

FELICE: Lo lione de lo ponte.

PIETRO: Alla madre come primo movimento, ho creduto farla soffiare col ventaglio, ho creduto farla soffiare col ventaglio, perché a quell’età li femmene se scioscieno sempe.

FELICE: Bravo! Anche dello spirito.

PIETRO: Gervasio secondo bottone.

GERVASIO: Subito. (Esegue.)

OLIMPIA (padando come una pupa): Ch’è... che c’è... locò... teh, teh... Ciccì... Totò... Mimì... bere... acqua...

FELICE: Acquajuò... Chesta me la ricordo, steva a S. Lucia Nova.

ANGIOLILLO: Ma è na cosa che fa paura!

PIETRO: Fa paura? Voi non avete visto niente ancora, e per non farvi perdere tempo. Gervasio?

GERVASIO: Comandi.

PIETRO: Scovrite Gemma. (Gervasio copra colla portiera Olimpia, va all’altra porticina e scopre Gemma da bambola.) Che ve ne pare?

FELICE: Magnifica!

ANGIOLILLO: Maestro, quanto è bella, quanto è bella!

FELICE: Lo patrone se la venne.

ANGIOLILLO: Che bellezza!... Che precisione!... Maestro, accostateve.

GEMMA: (Che beco! Chillo giovinotto de dinto a Chiesia!).

FELICE (accostandosi): Bellissima! ... Naturalissima!

PIETRO: Mettetevi qua. (Si situano a destra.) Gervasio... primo bottone.

GERVASIO: Subito. (Esegue.)

GEMMA (fa due inchini salutando).

FELICE: La cerniera dove la tiene?

PIETRO: Qui. (Mostra la cinta.) Contemporaneamente 2, e , (Gervasio esegue.)

GEMMA (parla da pupa): Buongiorno signore, state bene?

ANGIOLILLO: Bene, grazie, e voi?

FELICE: Che risponnite a ?... Chella è na pupa.

PIETRO: Silenzio.

GEMMA: Sono bella, sarò vostra, mi volete?

ANGIOLILLO: Sicuro che vi voglio. (Col medesimo tono.)

PIETRO: Quinto bottone. (Gervasio c.s.)

GEMMA: Sì, sì.

PIETRO: Sesto bottone. (Gervasio c.s.)

GEMMA: No, no.

FELICE: No bottone dice sì e no bottone di no?

PIETRO: Sicuro. Settimo bottone. (Gervasio c.s.)

GEMMA (ride) Ah, ah, ah!... (Angiolillo ride esagerato, lazzi.)

PIETRO: Ottavo bottone. (Gervasio c.s.)

GEMMA (piange): Ih, ih, ih, ih!...

ANGIOLILLO (commosso) No, no, chesto no?

PIETRO: Gervasio, appresso...

ANGIOLILLO: Levate sto bottone. (Gervasio c.s.)

GEMMA: Mi chiamo Gemma.

FELICE: Ma è sorprendente, come pronunzia bene.

ANGIOLILLO: È na cosa che fa restà ncantato.

PIETRO: Appresso. (Gervasio c.s.)

GEMMA: Serva sua, grazie, addio.

ANGIOLILLO: Stateve bene.

PIETRO: Appresso, undecimo bottone. (Gervasio la corda nella cinta della pupa, l’orchestra suona.)

Papà mi disse teh (scocca un bacio)

Mammà mi disse toh (idem)

E il bacio qui con me

Sul labro mi restò

Mammà qui morsicò (mostrando col dito la guancia destra)

Papà qui mal mi (idem la guancia sinistra)

Ma quel dolor cessò

Col bacio che mi diè

Ebbi dolor

Ebbi piacer

Ma fu il piacer

Più del dolor!

Papà mi disse teh (c.s.)

Mammà mi disse toh (c.s.)

E il bacio qui con me

Sul labro mi restò.

FELICE: Bravo! Voi siete un grande artista!

ANGIOLILLO: Che bellezza, che rarità!

PIETRO: Che ne dite?

FELICE: Ma che dobbiamo dire... è una cosa straordinaria! È veramente miracolosa! Voi siete proprio un grand’uomo, chella è na figliola bella e bona, e che cosa deve fare di più. Aspettate che nce penso, la cosa più necessario, e il giornale lo diceva.

PIETRO: Che cosa?

FELICE: Cammina?

PIETRO: Qualche poco; Gervasio?

GEMMA: Comandi.

PIETRO: Ultimo bottone. (Gervasio esegue. Gemma viene avanti a piccoli passi come una bambola, saluta prima a sinistra, poi avanti, poi a destra, quindi fa un doppio giro e ritorna al suo posto.)

FELICE: È terribile, sapete, è meraviglioso. Ma che pupa e pupa, quello è un essere vivente, è un gran lavoro! D. Angiolì, avite fatto lo colpo! Diteci il prezzo, pecché nce l’avimmo portà subito a Casoria.

ANGIOLILLO: Sì, quella dev’essere la sposa mia!

GEMMA: (La sposa! Che sento!).

ANGIOLILLO: Zi Nicola non se potarrà mai accorgere che chella è na pupa, certamente la pigliarrà pe la sposa, e io m’acchiappo 200 mila lire. Jamme, mettitemela subito dinta a na cascia.

GEMMA: (Dinta a na cascia!)

PIETRO: Questo qua, vedite, è il manifesto dove stanno scritti tutti i movimenti, coi numeri dei bottoni. (Angiolino se la conserva.) Il prezzo è 3000 franchi, non nu centesimo di meno.

FELICE: Tremila franchi?

PIETRO: Vi pare assai?

FELICE: No, anzi...

PIETRO: A Parigi quella pupa si pagherebbe 10 mila franchi.

FELICE: Oh, questo è certo. Va bene, resta fatto, 3000 franchi; ma però noi ve la pagheremo a Casoria, cioe quando abbiamo avuto il danaro dallo zio. Eh, questo dev’essere il gran favore, non credo che dubitate di noi?

PIETRO: No, io non dubito affatto... voi siete dei galantuomini, ma si me pagaveve era meglio.

FELICE: Eh, lo , ma non so’, 30 o 40 lire, è na somma positiva; appena lo zio la vede, si firma il contratto di matrimonio e sarete pagato.

ANGIOLILLO: Forse avete paura che zi zio se n’addone? È impossibile, è troppo bella.

PIETRO: Allora sentite, io accetto, ma ad una condizione.

ANGIOLILLO: E quale?

PIETRO: V’avita accattà pure la mamma.

FELICE: Pure la mamma?

ANGIOLILLO: Maestro, e che ne facimmo?

PIETRO: Eh, scusate, questa è la condizione.

FELICE: Va bene, quanno chillo te lo mette pe condizione... na pupa de cchiù, na pupa de meno.

ANGIOLILLO: E che ne facimmo?

FELICE: La regalammo a lo Rettore, chillo la sera nce pazzea nu poco... E quanto sarebbe il prezzo della madre?

PIETRO: Mi darete 800 franchi, va bene?

FELICE: La cosa... che chella se scioscia solamente?... va bene, 800 franchi... resta fatto.

PIETRO: Oh, un’altra cosa. A Casoria aggia venì pur’io co buje... che me pare; prima, pecché m’aggia piglià i denari, e pecché voglio vedé personalmente che impressione riceve zi zio. Ve dispiacere forse?

FELICE: No, anzi, piacere; solamente, quanno sapé chi site, che dicimmo?

PIETRO: Non ce niente, me presentate come il padre della sposa. Eh, si vene la mamma, è giusto che venisse pure il padre, è più naturale?

FELICE: Se capisce, va bene, venire pure voi.

PIETRO: E poi, io vi posso essere di grande aiuto.

FELICE: Oh, questo è certo.

ANGIOLILLO: Non perdimmo cchiù tiempo, jammoncenne.

PIETRO: Gervasio, piglie chelli pupe e miettele dinto a chella cascia che sta ccà dereto, (mostra in fondo a destra) e fa venì li facchine co la carrettella.

GERVASIO: (È fatto lo guajo!). Va bene, princepà. (Via pel fondo.)

PIETRO: Oh, scusate, na cosa interessante, arrivati a Casoria a la casa de zi zio, li ppupe pe addò li trasimmo? (Esce Gervasio con due facchini con la cassa, che mettono a terra e viano.)

FELICE: Ah, sicuro, come si fa, si chillo vede la cascia, sapé che nce stà da dinto e stateve bene.

ANGIOLILLO: No, zi Nicola non la vedé, pecché nuje la facimmo trasì pe lo ciardino, llà nce stà na cammera a pian terreno, che 3 mise fa nce dormette io 2 sere, na bella cammera la quale stà lontano da zi zio.

PIETRO: Bravissimo!

FELICE: A meraviglia!

GERVASIO: Allora princepà, scusate che dico pur’io na parola. Vuje jate nnanze, e io vengo appriesso co la cascia, quanno simme a Casoria, chillo signurino me vedé lo canciello de lo ciardino, me vedé qual è la cammera, e se ne va nzieme co buje da lo zio; io, restato sulo, piglio la cascia, levo le pupate, ce le metto a lo pizzo loro.

PIETRO: Benissimo! Bravo Gervasio, accossì, non se fa ammoina.

FELICE: Perfettamente, Gervà io te regalo.

PIETRO: Allora jammo, facimmo ampressa. Gervà, a moglierema e figliema che nuje stasera non ce ritirammo.

GERVASIO: Va bene. (Via a sinistra, poco dopo risorte e resta in fondo.)

PIETRO: mentre s’imballano li doje pupe, vi voglio far vedere il mio deposito.

FELICE: Ma che dobbiamo vedere più, dopo questa roba, non c’è niente da vedere.

PIETRO: Venite. (Via pel fondo a sinistra.)

ANGIOLILLO: Maestro, che bellezza, nce starrìa sempe ccà dinto.

FELICE: È un’arte simpatica. (Angiolillo via appresso a Pietro.) Guardate llà, (indica Gemma) che perfezione, che uocchie, che naso, che bocca... Ah, è meglio che me ne vaco io. (Via appresso.)

GEMMA (si fa avanti): Comme se , neh Gervà, comme se fa, comme nce mettimmo dinto a la cascia?

OLIMPIA (esce dalla porticina): Quà cascia, chi se mette dinto a la cascia, comme nce capo io dinto a la cascia?... Chisto è no guajo, è no guajo.

GEMMA: Vedite che combinazione!

OLIMPIA: Io chiammo a Petruccio, e le dico tutte cose!

GEMMA: No, mammà, e io perdo a chillo giovene?

OLIMPIA: E che me ne mporta a me. Oh, sarrìa bello chesto, io pe non perdere a chillo giovene a te, me faccio mettere dinto a na cascia, e me faccio portà a Casoria.

GERVASIO: Ma nonsignone, stateve zitto, io dinta a la cascia, nce metto chilli duje pupe viecchi, la chiudo e la metto ncoppa a la carretta. Vuje venite appriesso a nuje dinta a la carrozzella co lo mantice aizato. Quanno simme arrivati a Casoria, vuje aspettate dinto a no palazzo, appena loro me lassano sulo, ve vengo a piglià, trasimmo pe lo ciardino e ve porto dinta a la cammera.

GEMMA: Benissimo!

OLIMPIA: E si nce vedeno?

GERVASIO: Nonsignore, non vedeno, lassate a me... vedite quanta risate nce facimmo sta jornata.

OLIMPIA: Quanta risate; io invece dico che avimmo na brutta mazziata tutt’e quatto.

GEMMA: E che me ne mporta a me, pe chillo giovene faccio qualunque cosa!

GERVASIO: Jatevenne dinto, jateve a preparà.

GEMMA: Jammo, mammà, nce mettimmo chelli doje mantelle lunghe. Che bella cosa! Che bella cosa! (Via a sinistra.)

OLIMPIA: Cielo mio, scanzece tu da no guajo. (Via appresso.)

GERVASIO: Sangue de Bacco, me voglio l’aneme de li risate... (Prende i due pupi vecchi e li mette nella cassa, e mentre fa questa operazione dice:) Llà a Casoria nce sta lo vino buono, quanno è stasera me mbriaco, e chello che succede, succede... se lo vedeno loro! (Chiude la cassa.)

 


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