Eduardo Scarpetta
Romanzo d'un farmacista povero

ATTO SECONDO

SCENA OTTAVA   Concetta, Giustina e detti, poi Don Antonio.

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SCENA OTTAVA

 

Concetta, Giustina e detti, poi Don Antonio.

 

CONCETTA (con cartoccio di paste): Guè, tu sì benuto finalmente, la carrozza addò sta?

ALESSIO: La carrozza non l’aggio potuta trovà, invece vi presento questo caro giovine... come vi chiamate?

FELICE: Felice Sciosciammocca a servirvi. (Vede il cartoccio.) nce lo mangiamo a casa questo?

ALESSIO: (S’ha ncaparrata la cena). Per certi fatti suoi si voleva sparare, io ce l’ho impedito, e l’ho invitato per questa notte a dormire in casa nostra.

GIUSTINA: Avete fatto buone papà, povero giovine!

CONCETTA: Ha fatto male, perché un giovine che non si conosce, non si ammette in casa di notte!

ALESSIO: Lo conosco io, e basta, il galantuomo subito si vede.

CONCETTA: Io non aggio visto niente ancora.

ALESSIO: Tu non hai da vedere niente!

CONCETTA: Come sì patrone tu, sopatrona pur’io.

ALESSIO: Io sono il marito, e faccio quello che mi pare e piace.

CONCETTA: Io sono la mogliera, e comme tale te dico che no sconosciuto dinta a la casa non lo voglio.

FELICE (per spararsi.)

GIUSTINA: Papà, chillo se spara! (Gridando, tuoni.)

ALESSIO (corre a trattenerlo.) Levate stu cuorne de carnacottaro da lloco. Sono io che comando in casa mia! (Alle donne:) Camminate avanti, che noi veniamo appresso.

CONCETTA: Lo palettò che n’haje fatto?

ALESSIO: Me l’aggio vennuto.

CONCETTA: Ah, te l’haje vennuto, e vene a chiovere. L’ombrello addò sta?

ALESSIO: Me l’aggio vennuto.

FELICE: (N’auto ppoco se venneva pure lo cazone).

CONCETTA: Ah, pure l’ombrello, trova pecché te l’haje vennuto, a la casa parlammo. (A Gius.) Jammoncenne. (Viano.)

ALESSIO: Non la date retta, venite.

FELICE: Grazie, padre mio, mio salvatore.

ANTONIO (uscendo dalla farmacia): Don Alessio, volete perdonarmi quella mancanza involontaria?

ALESSIO: Mai! L’insulto è stato grave!

ANTONIO: Vedete, lo schiaffo, era diretto appunto a questo giovine.

ALESSIO: A voi?

FELICE: Sissignore, lui me n’ha cacciato dalla farmacia, ha posto mpuzatura co lo principale.

ANTONIO: Sissignore, quando voi avete bussato, credevo che era lui, perciò vi ho dato lo schiaffo.

ALESSIO: Ah, benissimo! Allora facciamo così: quando voi vi farete dare uno schiaffo da questo giovine, mia figlia sarà vostra.

ANTONIO: Ah, ma questo è impossibile!

ALESSIO: Non sento, questa è l’ultima mia volontà, quando vi farete dare uno schiaffo da questo giovine, mia figlia sarà vostra. (A Felice:) Venite. (Via.)

FELICE: Quando volete sono a vostra disposizione, mi comandate e io vengo a servirvi.

ANTONIO: Io pe causa toja aggia avuta perdere chella guagliona e quattemila franchi de dote, e pe che? Pe n’ommo che non è buono a niente. Ah, ca te voglio!... (Gli si avvicina.)

FELICE (gli punta contro il revolver, e l’insegue.)

ANTONIO: No, Felì pe ccarità, non sparà. (Soggetto, scappa nella farmacia e chiude subito.)

FELICE: Da oggi in poi lo ppane me faccio mancà, ma chisto no! (Mostra il revolver.)

 

(Calo la tela.)

 

Fine dell’atto secondo

 

 


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