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II.
Tremante di terrore e di gioia! Tutta la notte egli sentì questa duplice convulsione partire dalla più intima essenza della sua anima e allargarsi nei suoi nervi e nel suo sangue: e fu pieno di sgomento ed ebbro di felicità. Egli non volle lasciare quella stanza dove aveva inteso, ancora una volta, quella cara voce seduttrice, dirgli le parole che sempre avevano sconvolto il suo essere e che adesso gli avevan dato l'indicibile tumulto interiore. Immoto nella persona e pure fremente, egli udiva ancora le sillabe precise che gli davano il convegno, che lo chiamavano alla consueta ora, quando già è declinato il giorno, nella casa dove li conduceva l'amore e che egli non aveva mai più riveduta, da che l'amore lo aveva abbandonato. Era la voce di Maria quella che gli aveva parlato, all'orecchio, bassa, ma netta e viva, battendo sulle lettere e sempre un po' imperiosa, malgrado il velo della dolcezza. Tutta la notte egli stette cogli occhi fissi sulla porta della sua stanza, come se ella dovesse apparirvi, come l'aveva vista, alla mezzanotte, nelle fantastiche contemplazioni piene di tristezza e di desiderio: e stette con l'orecchio teso, coi nervi vibranti, come se ancora l'adorata voce dovesse ripetergli il giorno e l'ora dell'amoroso convegno. Talvolta, la sua ragione tentava di vincere questo tremore di paura e di piacere, per cui egli invocava la presenza e la voce dell'amata, dicendogli che egli era solo, che niuno entrava per andare da lui, che niuno parlava, e che la notte era alta e la stanza si faceva fredda; ma l'uomo giaceva sotto l'impressione indimenticabile di quell'avvertimento e di quell'invito, dove si riussumeva ogni suo desiderio, dove si chiudeva il segreto unico della sua vita. Nella notte gelida e nella solitudine, nel bizzarro giro dei suoi pensieri e dei suoi sogni, egli credeva francamente che la donna, che l'amata, fosse arrivata fino a lui, mirabilmente, misteriosamente, per dirgli che ella lo voleva l'indomani, alle cinque, in quella casa, come nel tempo che si amavano: e silenziosamente e quietamente era sparita, detta l'amorosa parola. Lo credeva, poichè le ore notturne nei loro singolari eccitamenti avevan vinto la sua fredda ragione: e non si domandava, nelle esaltazioni tenere e appassionate, come ella fosse giunta, come fosse partita: e vedeva solamente quell'ideal piccolo volto esangue piegarsi verso lui e dirgli all'orecchio, che il domani, alle cinque, l'amore lo chiamava, l'amore lo voleva.
Le bianche e tristi chiarità dell'alba diradarono la sua febbre e calmarono i suoi sgomenti: la sua ragione parlò: e dopo che ebbe eletto le sue calme cose, non restò, a Paolo, che l'ebbrezza della felicità. Forse, Maria non era penetrata nel suo appartamento, in quella notte strana, ed era una visione della sua fantasia, l'averla vista accanto a sè, come nelle migliori sere della loro passione; forse, Maria non aveva pronunziata, con la sua voce, quella parola vicino al suo orecchio, ed era un inganno del suo udito, quel suono lusinghiero. Che importava, però, il fatto materiale? L'appello vi era stato, l'appello sentimentale di un'anima languente d'amore, l'appello lontano a cui la volontà ardente dell'amore da tanta forza, che l'altra anima lo sente, a traverso il tempo e a traverso lo spazio, come se la persona e la voce fossero presenti. Talvolta, nel felice tempo del loro amore, questo legame fra le loro anime e fra i loro sensi, li aveva colpiti coi più bizzarri fenomeni di contemporaneità spirituale: talvolta, l'uno aveva intuito il muto desiderio dell'altro, essendo lontano: talvolta, l'uno aveva obbedito alla volontà dell'altro, senza conoscerla. Il metallo delle loro anime, troppo spesso si fondeva insieme, nel rovente crogiuolo dell'amore, perchè i due metalli si dividessero, dopo, perfettamente. Si rammentava, Paolo! E come la mattinata di questo suo grande giorno si avanzava, egli riteneva sempre più fermamente che alla mezzanotte Maria aveva pensato a lui con improvvisa passione e che aveva vivamente invocato la sua presenza, per questo pomeriggio, alle cinque. Ah, ella doveva averle ripetute a sè stessa, nella nostalgia del bacio, le parole del convegno, le doveva aver dette con quell'impeto e quella imperiosità che dicevano l'ardore della piccola debole donna esangue, e l'amante lontano le aveva intese ripercuotersi nel suo spirito, nitidamente, come un invito e come un ordine!
E perchè non avrebbe ella inteso, a un tratto, la perfida e crudel donna, il rimpianto di un amore così schietto e così tenace? Non era ella stata di una brutalità feroce, quando aveva voluto morto l'amore, a qualunque costo, ostinandosi ciecamente nella sua ferocia, calpestando ogni senso di bontà e di gentilezza muliebre? Non aveva egli reagito, in tutte le forme, contro questa morte dell'amore, non aveva egli esaurito le sue violenze e le sue lacrime? Non aveva egli pregato alla porta di questa donna fragile e smorta, come un fanciullo lasciato nella via, al freddo, alla fame e al terrore, senza che la porta si aprisse mai più? Non aveva ella opposto la grande idea, l'idea semplice, l'idea liberatrice, a tutti i furori e a tutte le sue desolazioni, dicendogli: non ti amo più? Non aveva egli inteso, ahimè, con tutte le più dure e le più gelide intonazioni, questa idea semplice e definitiva e inappellabile: non ti amo più? Non aveva egli sentito che tutto periva, in lui, uomo, giovane ancora, sano, robusto, non corrotto; giacchè questa piccola donna capricciosa e malaticcia lo aveva scacciato da sè, per sempre? Non aveva egli voluto che tutto perisse, se veramente, nel tempo avvenire, questo amore non potesse mai più rivivere? Nei mesi che trascorrevano, non vincendo il suo dolore, ma addormentandolo, non era restato nel fondo di tutte le amarezze, nella feccia di tutti i calici, una speranza lieve e breve, ma viva, ma imperitura, che l'anima immortale di quella donna si ricordasse un giorno di quell'amore, e lo rimpiangesse, e lo desiderasse? Ebbene, ebbene, era accaduto il miracolo spirituale: il tragico capriccio era fuggito e la crudel donna aveva sentito intenerirsi quel suo piccolo cuore di pietra: ella aveva, forse, pianto su sè stessa e sul fedele cuore di uomo che ella aveva gittato via, nella strada: e a mezzanotte, in un momento di solitudine, Maria era stata presa dal soffocante desiderio di essere ancora amata e di amare ancora. Il fato si era compiuto: e Paolo non aveva sofferto invano.
Egli visse, dunque, in quel giorno del convegno, in preda alla letizia indicibile di un amore rinnovellato: e le ansietà e le trepidazioni del primissimo loro convegno, di cui egli si rammentava, non avevano il suggello di questa gioia suprema. Egli uscì tre volte di casa, camminò per le vie, parlò con la gente, assorbito e sorridente, col suo segreto che gli saliva alle labbra in parole di tenerezza e gli velava gli occhi con lacrime di gioia: e tre volte tornò a casa sua, tanto impaziente, tanto morente di amore e di felicità che, talvolta, pensò non avrebbe avuto forza di resistere all'apparizione di Maria, nella casa del loro amore. Era in questo momento che si concentravano tutti i suoi pensieri e tutti i suoi sogni. Si sarebbe egli inginocchiato innanzi all'amata che ritornava a lui e le avrebbe baciato il lembo dell'abito? Avrebbe egli detto, all'amata, una parola di adorazione? Le avrebbe forse fatto qualche rimprovero per quel lungo anno di dolore e di solitudine, a cui Maria lo aveva condannato? No, no. Gli sarebbe, certo, mancata la voce, per dire nulla: gli sarebbero, certo, mancate le forze per prostrarsi e adorare. Non avrebbe fatto altro che aprire le braccia e chiudere sul suo petto affannoso e scoppiante pel palpito, la cara piccola persona, deciso a non lasciarla fuggire più, poichè ella era solamente il suo amore e la sua vita. Nulla dirle: poichè niuna parola potea compendiare quello che egli aveva sofferto e quanto era felice. Chiudere nelle sue salde braccia la diletta, null'altro: e tacere: e lasciare che scorressero le ore e il tempo, senza sapere di esso: e credere che il mondo fosse chiuso in quell'abbraccio. Quando egli si fermava, col pensiero, con la fantasia, su questo minuto profondo e intenso, egli abbassava il capo e impallidiva mortalmente. Queste emozioni, qualche volta, sono superiori alle forze umane.
Erano le tre e mezzo quando, lentamente, per calmare la sua esaltazione, Paolo si avviò alla casa del loro amore. Non era molto lontana, proprio nel centro della città e nel mezzo di una via popolosa. Allora, Maria aveva preferito che fosse così, ella che odiava la campagna quanto odiava il mare: e voleva aver l'aria disinvolta di una signora che passeggia, o che va a visitare una signora sua amica, mentre si recava al convegno di amore. Egli aveva obbedito, schiavo di tutte le volontà della delicata e pallida donna: e il loro nido era posto in un qualunque volgare ambiente, circondato, sopra e sotto, da volgare gente. Soltanto che Paolo vi aveva profuso internamente, non il lusso, ma la gentile poesia di un'anima presa e che non vive che per le feste dell'amore. Giammai le tende che velavano le finestre delle tre piccole stanze si levavano, per paura di farsi vedere, le pareti erano foderate di stoffe leggiadre e i tappeti non facevano udire il rumore dei passi. Ebbene, dal giorno in cui era stato abbandonato da Maria, Paolo non vi era mai più tornato. Ne portava sempre la chiave in tasca, devotamente: ma non osava neppure accostarsi al portone di quella casa, senza sentire il ribrezzo della paura e un cocente dolore togliergli ogni forza. Spesso, nelle sue crisi più terribili, egli aveva pensato di andare colà, di salire nel tempio, di lacerare i veli e le stoffe, d'infrangere le statuette e le porcellane, di spezzare ogni cosa e, devastato tutto, di richiudere per sempre quella porta e fuggire. Spesso, nelle sue ore desolate, egli aveva pensato di andare a piangere colà, solo, solo, solo, sperando che quel fiume di lacrime avrebbe deterso la torbida anima sua e l'avrebbe rinnovata. Ma non ne aveva avuto il coraggio, mai. La casa era chiusa da un anno. Anche Maria aveva una chiave. Ella, certo, non vi era tornata, mai. Ma vi sarebbe andata oggi, lo aveva avvertito, ed egli, vinto il terrore di ritornare colà, vi andava con l'ebbrezza dell'amante felice, le cui braccia già si stendono all'abbraccio, le cui labbra già si protendono al bacio.
Pure, innanzi al portone, ebbe un singolar trasalimento. La sua emozione era diventata acuta e il respiro gli mancava. Era quasi sera, già. Faceva freddo, ma egli affogava di fiamme che gli invadevano il sangue. Non intese mai come fosse salito, a quel terzo piano. Quando fu innanzi alla porta, vacillò. Il suo amore lo faceva agonizzare prima del tempo, dunque? E che sarebbe stato, fra un'ora, alle cinque, quando Maria, Maria sarebbe entrata da quella porta e gli sarebbe caduta nelle braccia? Vacillando, egli mise la chiave nella serratura; questa stentò ad aprirsi. Pensò, un istante che gli parve lunghissimo, eterno, che quella porta non si sarebbe aperta mai. Ma si schiuse: egli vide innanzi a sè il vano nero: e vi entrò: quasi, vi si precipitò: e la porta si richiuse, dietro a lui, con un bizzarro fragore.
Ah quando egli fu dentro, nell'oscurità, nel silenzio, e quando gli ebbe fatta un po' di luce, con le mani tremanti che tentavano accendere la candela e quasi non vi riuscivano, quando gli ebbe dato uno sguardo intorno, egli richiuse gli occhi, per non vedere, e si lasciò cadere, sfinito, sopra un divano, nascondendo la faccia fra le mani. Fra un'ora ella doveva qui venire, la diletta. Ma come tutte le cose parlavano di lei, prima, sempre, parlavano alto, insieme, di lei, solo di lei, dell'amore, del solo amore, dell'unico amore, che era lei! Qui, sulla spalliera del divano dove egli appoggiava la testa, ella soleva appuntare gli spilloni del suo cappello, per ritrovarli subito, quando voleva scappar via: e ancora vi era un mezzo spillone, rotto, nella fretta di strapparlo. Ella sarebbe venuta, più tardi, cara, piccola, affascinante: ma ella era già là, in quella fotografia sul tavolino, nella brillante cornice d'argento che circondava la testina dai nerissimi, lucidi e fini capelli, che ne delineava il profilo sottile mostrando lo sguardo un po' levato, dolcemente, maliziosamente e l'angolo di un sorrisino delicato, sulla delicata bocca. La fotografia non portava nome di dedica: ma ella vi aveva scritto il suo nome e la parola sempre. Lei, sempre, sì, sempre e sopratutto, ma specialmente qui, sull'ampio divano dove erano ancora ammucchiati i cuscini, come essa li aveva lasciati l'ultima volta: e uno portava la forma della sua testa, ancora, ancora! Ah egli non resistette a quella impronta del raso, dove la testina si era posata, egli si trascinò là innanzi e vi cadde in ginocchio e baciò lievemente quella impressione concava, temendo che un troppo rude bacio la distruggesse. Un singhiozzo di amore, di gioia e anche di sommo dolore gli sollevava e gli spezzava il petto. Qui, era la casa, era il nido, era il santuario, dove egli aveva vissuto il tempo più inebbriante della sua vita: qui, egli aveva raggiunto quel supremo limite dell'umana felicità, che pare voglia infrangere l'umana natura cui è dato arrivarvi: qui, solamente, egli aveva inteso che la esistenza non è un gretto e miserabile volger di giorni, ma che ha una sublime ragione di essere, quando l'amore la nobilita e la slancia nelle armonie infinite, dove l'anima trascina e purifica i sensi! Quante donne erano passate, nella sua vita? Tre, quattro forse; e anche egli le aveva amate, forse. Dove erano questi glaciali fantasmi? In quale tomba erano spariti? Qual nome portavano? Egli non se ne ricordava più. Già, le aveva dimenticate subito, come Maria gli era apparsa e piaciuta. E invece lei, lei, perfida e crudele, lei che egli non vedeva da un anno, lei che lo fuggiva, beffandosi di lui, era così trionfante, ancora, sempre, non nella memoria soltanto, non nelle testimonianze del passato solamente, ma nel presente, ma in quel minuto, che a lui bastava vedere l'angelo dal fine sorriso, sulla fotografia, per fremere di amore desideroso; e bastava di vedere la traccia della sua testina sul raso abbassato del cuscino per sussultare di passione, di voluttà e di un ignoto spasimo! Ah, egli lo sapeva che quella casa, che quell'ambiente gli avrebbero detto la grande verità, la verità unica, la verità innegabile, che egli viveva solo per l'amore di quella donna e che senza quell'amore egli non poteva vivere; lo sapeva bene ogni mobile, ogni stoffa, ogni piega del merletto, il profumo antico ma persistente di tutto quello che ella aveva toccato, gli avrebbero parlato di una seduzione unica, di un fascino unico, di una voluttà unica, di una passione unica! Perciò, nell'ora della desolazione e dell'abbandono, non aveva osato venirci: perciò vi era venuto solo per aspettarla.
Erano le cinque, l'ora del convegno. Egli balzò in piedi, tendendo l'orecchio. Nessun rumore. Passarono dei minuti; poi, varii minuti; poi, molti minuti. Ritto, immobile, in mezzo alla stanza, rigido di ansietà, egli aspettava. Nulla. Udì, una volta, un passo: ma nessun giro di serratura vi corrispose: e la sua persona s'irrigidì, di nuovo, in una intensità terribile di aspettativa. Nulla. Si mosse: andò sino alla porta, origliò, se per le scale alcuno salisse. Nulla. Andò presso alla finestra, sollevò una tenda, guardò nella via: i passanti erano rari, rarissime le donne, niuna si fermava. Talvolta, prima, tardava; anche oggi, dunque, poteva tardare. Cavò il suo orologio e si mise a seguire le sfere del minuti secondi col tichettìo che gli cresceva di fragore, nel cervello. Guardava, ma non vedeva: sentiva che il tempo passava, ecco tutto. Minuti secondi, minuti primi, ore? Tempo che passava. Adesso quel silenzio, intorno, lo terrorizzava; e uno strazio nasceva, germogliava, cresceva dal fondo del suo essere convulso. Nulla, intorno. La candela ardeva, con un battito leggiero e appena diradava le ombre. Le altre stanze erano oscurissime. Non le aveva visitate, preso e vinto dall'attesa. Ora, non levava gli occhi verso esse, come se racchiudessero paurose e terribilissime cose. Volle provare a parlare, per dar della vita a quella stanza oramai tetra e taciturna: ma la voce non gli uscì dalle labbra. Avrebbe voluto andare ad aprire la porta, così per farla entrare più presto: ma una misteriosa volontà lo inchiodava al suo posto. Quanto tempo? Lo ignorava. Aspettava il suo unico amore e la unica donna. Non conosceva altro. Ella doveva venire, poichè lo aveva detto e poichè lo aveva chiamato, alla mezzanotte del giorno prima, dandogli il convegno. Forse era in via; forse già arrivava; forse era quello il suo passo. Egli aspettava, la creatura, unica, la sola per cui egli vivesse, la sola per cui egli avesse del sangue nelle vene e un palpito nel cuore: Maria.
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Egli non si levò dal divano dove si era buttato, che udendo battere mezzanotte a una chiesa poco lontana, con suono cristallino. La candela era quasi consumata. Maria non era venuta. Freddamente si rammentò tutto quello che era accaduto, fra loro, nel passato, come se ne vedesse la rappresentazione in uno specchio: egli si guardò attorno, freddamente, trovando sopratutto quell'amore e quella donna riflessi e viventi e pur finiti, dapertutto. Poi, si ricordò quello che aveva visto e inteso la notte prima, il convegno datogli da una voce che pareva la sua, il convegno a cui era venuto, ineluttabilmente. E intese subito. In quella casa, gli aveva dato convegno la Morte.