Matilde Serao: Raccolta di opere
Matilde Serao
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Parte Seconda

Love's Pilgrim (Pellegrino d'amore)

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Parte Seconda.

 

Love's Pilgrim

 

(Pellegrino d'amore)

 


«Roma, trenta giugno

 

«Caprarola, Caprarola! Cinquanta chilometri dividono Roma da codesto storico castello di Casa Farnese, sulla via di Viterbo, ove voi passate i primissimi giorni della vostra luna di miele, o lady Montagu: e in un'ora di automobile, volando sulla via fra la gran campagna romana, io potrei raggiungervi, cercarvi, aspettarvi e, forse, forse, vedervi, o sposa novella: e intanto io son confitto, qui, immobile e fremente, come se gli oceani ci dividessero; e intanto io son condannato, qui, a una furente solitudine, in cui tendo le braccia al cielo, imprecando sulla mia sorte, ahi, vanamente; e intanto io son dannato, qui, a rodermi di collera, a piangere di collera, gridando verso voi, chiamando cento volte il vostro nome, quello di una volta, gridando verso codesto castello che vi tiene, che vi serra, Caprarola, Caprarola! Come è, dove è, che è questo antico castello dove egli vi ha portata, via, per quanti giorni, per un mese, non so, non so? È la dimora, da tre anni, del grande pittore inglese Temperley, suo amico, non è vero, una casa che Temperley non abita più, da un anno, e che gli ha ceduta, in atto di ospitalità, per qualche giorno, per quanti giorni, per un mese, o per quanto tempo, Dio mio, Dio mio? Caprarola, nome fantastico, nome terribile, che balza nella mia mente, che sobbalza nella mia anima, e che ha acceso il mio sangue di un fuoco inestinguibile, Caprarola, come è, questo castello tetro, forse, questo castello tragico, forse, dove qualcuno deve esser morto orrendamente, dove qualche tenera donna deve essere stata sgozzata, nei tempi antichi, dove qualche spaventoso delitto deve aver macchiato di sangue qualche sua camera, dove le urla di un morente debbono, per sempre, aver turbato gli echi dei suoi saloni principeschi: Caprarola, nome di morte, per me, mentre bruciano le mie vene, per il flutto del sangue troppo caldo che pulsa al mio cuore, che pulsa al mio cervello.... Caprarola, come è, come è, ditelo, o lady Montagu, ditelo, o sposa novella, come è questo nido singolare delle vostre nozze, come è la stanza delle vostre nozze.... Maledetto, in eterno, questo nome, questo castello, maledetta, in eterno, questa stanza e le sue nozze: e in eterno, maledetto il mio amore e la pazza gelosia che mi tortura le viscere, la pazza gelosia che, d'un tratto, ha scatenato i miei sensi, che torce i miei nervi, pensando che voi, costà, lady Montagu.... costà.... maledetto il primo uomo che baciò sulla bocca la prima donna e tutta l'umanità poi ne fu avvelenata....

«....se io venissi, costà, che accadrebbe? Che potrebbe accadere? Io sarei, forse, subito scoverto da costui che io odio, che io detesto, che io maledico, con tutte le mie forze. Egli mi conosce. Io son certo che egli mi conosce. Troppe volte io ho stretto i cerchi della mia passione, attorno a voi, perchè egli non ne sappia qualche cosa: troppe volte egli mi ha scorto, nella via, fermo, aspettandovi, perchè io sia, per lui, un semplice passante; troppe lettere io vi ho scritto, perchè, almeno, egli non ne abbia visto giungere, una, due, varie, forse, nelle vostre mani. Randolph Montagu mi conosce. È inglese, è riservato, è diplomatico, è superbo: non ha mai dato segno di accorgersi di me. E, allora, anche, era un fidanzato, non aveva nessun diritto legale, di riconoscermi, di affrontarmi, di allontanarmi violentemente. Ora.... è un marito, ha tutti i diritti, può uccidermi, può uccidervi, mentre noi non siamo amanti, mentre voi non mi amate, mentre voi siete pura e io son disperato per amor vostro, e io muoio di gelosia per questo vecchio, per questo infame vecchio che vi possiede, che possiede la vostra giovinezza, la vostra bellezza. Se venissi a Caprarola, se egli m'incontrasse, in quei dintorni, forse, verrebbe a me, per insultarmi e per uccidermi. Se io partissi, fra un'ora, in automobile e mi fermassi sotto le vostre finestre, a Caprarola, per provocarlo, quest' uomo, per provocarlo a sangue, per fargli credere che noi siamo d'accordo, che voi siete una perfida creatura, che voi siete impura, egli, certo, certo, furibondo, mi ucciderebbe. Che immenso favore, mi farebbe, sir Montagu! Ma la vostra anima sarebbe offesa da un incancellabile sospetto: e la vostra veste nuziale sarebbe macchiata di sangue. Non posso farmi uccidere da sir Randolph. Non debbo venire a Caprarola, dove voi passate i maggiori giorni di ebbrezza delle vostre nozze, cara sposa. Siete voi ebbra di amore? Delirate voi? Ah che io sento la febbre del delitto velar di sangue i miei occhi e io penso che se v'incontrassi, oggi, in questo momento, io potrei uccidervi, lady Diana! Uccidervi, sì: uccidere codesto magnifico corpo di beltà e di gioventù, uccidere perchè egli non vi abbia più, perchè egli non vi tenga più, perchè egli non s'inebrii più di voi, dei vostri baci, delle vostre carezze.... Ah che lui solo, lui solamente dovrebbe morire, egli solo, il colpevole, il ladro, l'assassino, sir Montagu.... se morisse, se morisse, per un accidente, per una disgrazia, se lo uccidessero, che gioia, che folle gioia, lady Diana, perchè io correrei a prendervi, a rapirvi, a sposarvi, a farvi mia, mia, tutta mia, non più sua, mia, mia....

«.... potrebbe, forse, egli, non vedermi, se io venissi costà? Se sapessi esser cauto, se codesto paese si prestasse — ma vi è un paese, intorno a Caprarola? Io non so, non so! — a nascondermi, se potessi prima farvi giungere questa mia lettera, o un biglietto qualsiasi, avvertendovi della mia segreta presenza, intorno a voi, se potessi riescire, in questo piano astutissimo, con mille precauzioni, io vi vedrei, forse. Diana, io potrei rivedervi, Diana, io che spasimo da quattro giorni, di amore, di gelosia, io vi vedrei, io mi disseterei alla vostra vista, io calmerei questo fuoco del mio sangue, io ritroverei qualche istante di calma, di serenità, di estasi, Diana, se vi vedessi, se uno sguardo vostro mi giungesse, come l'ultimo, quello velato di lacrime, l'ultimo che franse nell'amore il mio cuore, l'ultimo che franse nell'amore la mia volontà ed io tornai ad amarvi, ad adorarvi, perchè avevate pianto! Se venissi, se venissi a Caprarola, amor mio unico? Io muoio, perchè voi siete di un altro, Diana.... Ma voi siete di un altro, e io non so come inviarvi questa mia lettera, o qualsiasi altra mia missiva; voi siete di un altro e io non debbo dirigervi lettere, che egli ha il diritto d'intercettare, il diritto di aprire; voi siete di un altro e non sapreste, neanche, della mia presenza, costà, o sapendola, dovreste finger d'ignorarla; voi siete di un altro e qualunque mio appello vi troverebbe sorda, indifferente, tacita e immota.... Ah oggi, oggi, se venissi a Caprarola, io non vedrei, più, i brevi segni, ma i profondi segni, per cui seppi, allora, che conoscevate il mio amore, io non udrei la vostra voce cantante, nella notte, le note di Gluck e di Pergolesi, non vedrei più la vostra persona ricinta di una fascia nera, non vedrei più i vostri occhi lentamente volgersi per cercarmi, per trovarmi, per riconoscermi, come allora, io non vi vedrei più piangere, come l'ultimo giorno della vostra libertà. Perchè venire costà, a Caprarola, lady Montagu? Voi non siete mia: voi siete sua. Tutte le forze della terra e del cielo, tutte le volontà divine e umane, non potrebbero più cancellare questa cosa che mi fa spasimare d'ira, che mi fa ruggire di collera impotente, cioè che voi non siate mia e siate sua, lady Montagu!

«Paolo».

 

 

«Roma, quattro luglio

 

«Chi può darmi soccorso? Mia sorella Lisa non sa la mia ventura nel quieto paese di Rieti, ove trascorre questo principio di estate, nella quieta casa patrizia, ove nostra zia Altemps l'accoglie così dolcemente, ogni anno e ove, insieme, fanno opere di bene, pregano, vivono una serena e pia vita, in cui si compiace l'anima profonda e tenera di Lisa. Non sa, non sa la mia ventura, la cara sorella: le ho tutto nascosto e sa che io son tornato, qui, per un affare noioso intricato e che ripartirò, subito, per la Svizzera, per l'lnghilterra, non sa che io son solo e infermo nel cuore e infermo nella mente, qui, in Roma.... Chi può soccorrermi? La villa Star, qui accanto, la casa dell'amor mio è tutta chiusa, balconi, finestre, verande, tutto chiuso, tutto sbarrato: vi ho girato, intorno, in questi giorni, tante volte, tacitamente e disperatamente, e, infine, ieri, ho osato bussare al cancello in via Boncompagni. Non mi hanno risposto: e, allora, sempre muto e disperato, sono andato a bussare dall'altra parte, in via Sallustiana; un uomo, un custode è escito dalla casetta dei domestici, che è nascosta fra gli alberi ed è venuto a parlarmi, a traverso le lance del cancello, senz'aprire. Con freddezza, ma educatamente, questo servo che è inglese ma che parla l'italiano, mi ha detto che lady Roselyne Melville è partita, subito dopo il matrimonio della sua figlioccia e che è in Inghilterra, ora, a Mardock Lodge, nel Worcerstershire, che vi rimarrà sino al mese di ottobre. Niente altro. Tutto ciò è il risultato di otto o dieci mie domande, in cui ho cercato di vincere la mia ansia, il mio affanno, in cui ho dissimulato, sotto le disinvolte apparenze di un interrogatorio mondano, la mia mortale angoscia. Invano, malgrado la mia sottile astuzia — sono stato anche astuto! — ho cercato saper notizie degli sposi, dove andassero, dopo Caprarola, se s'incontrassero, dopo Caprarola, in Inghilterra, con lady Melville. Il volto del domestico inglese è diventato di pietra e non ho potuto aver dalla sua bocca nessuna risposta. «Non sapeva.... non poteva dirmi.... ignorava perfettamente....». E me ne sono andato, con l'aria indifferente, tranquilla, del perfetto mondano, mentre il cuor mio era morso dal mio spasimo e la mia anima batteva, batteva, come un uccello morente e mai morente. Chi, chi poteva soccorrermi? Sono andato a casa della marchesa Pia Sergianni, la compatriotta di lady Montagu che era di Perugia, che era Diana Sforza: non mi conosce, la marchesa: non sa: ma avrei trovato un modo, una forma, un pretesto, una menzogna, per presentarmi, per parlarle, per sapere.... per avere un soccorso, un soccorso! La marchesa Pia Sergianni era partita, due giorni prima, per Salsomaggiore, a una cura di acque e, dopo, si sarebbe recata a Vallombrosa, non tornando a Roma che alla fine di settembre. E nelle vie di Roma, già arroventate dal sole di estate, già polverose e già quasi vuote, già come abbandonate, con quell'aspetto nobile e triste di Roma estiva, io son rimasto solo, solo, solo col mio spasimo.... È uno spasimo e non una pena, e chiama soccorso: è uno spasimo, non una pena lenta e molle, è uno spasimo, cioè qualche cosa di così acutamente doloroso, che io debbo, debbo esser soccorso....».

 

 

«Roma, cinque luglio

 

«Potenza del dolore, miracolosa potenza! Quando esso mi avea sospinto, ovunque, in Roma, io potessi aver notizie di lady Montagu e ovunque un'amara delusione mi avea atteso, quando io rinfacciavo crudelmente, a me stesso, la mia viltà, che m'impediva di andar a Caprarola, al tragico castello farnesiano, ove lady Montagu, per un singolar gusto di arte e di poesia, era stata condotta da sir Montagu, ai primissimi giorni di nozze, quando io dicevo, violentemente, a me stesso, che era meglio tutto affrontare, tutto il male più orrendo, pur di avere il supremo bene di rivedere lady Montagu, la mia persona ha obbedito a una spinta ignota, estranea; certo, alla mia volontà e in cui io riconosco, ancora e sempre, la potenza misteriosa dell'amore, la potenza misteriosa del dolore; la mia persona ha portato i suoi passi erranti verso quella via Venti Settembre che ha, in fondo, a destra, l'Ambasciata inglese. Due o tre volte, veramente, in due o tre giorni, io avevo vagabondato in quella chiara via che confinava, un tempo, con la campagna silente romana e, ora, conduce a una novella città: e cresceva, di giorno in giorno, intorno al mio vagabondaggio, la solitudine romana dell'estate.... Quando, stamane, in una visione volante, sparente, una grande automobile polverosa mi è passata, di contro, è sparita, in un attimo, scendendo verso Roma, lontano: come in un baleno, come in un sogno fuggente, io ho riconosciuto l'uomo che era solo, dentro l'automobile, l'ho riconosciuto nel suo grande paletot chiaro da viaggio, sotto la visiera del suo berretto, ed è, certo, la mia seconda vista, gli occhi della mia anima, non i miei occhi mortali, che han riconosciuto sir Randolph Montagu, solo, apparente, sparente, scomparso.... solo! E allora, io ho camminato, ancora, ricomponendo il mio viso che dovea esser scomposto dall'emozione, ho acceso una sigaretta, ho raddrizzato il fiore un po' appassito della mia giacchetta d'estate e son penetrato, con aria perfettamente tranquilla e naturale, nella corte dell'Ambasciata inglese. Vi è, colà, un portinaio freddo ma cortese: come a villa Star: come ovunque son inglesi e stilizzano così, egualmente, i loro buoni servi. Nel giovane gentiluomo di stamane, che aveva l'aspetto così disinvolto, il portinaio non ha riconosciuto lo smorto e agitato individuo, simile a un mendicante sfrontato, che ha passato due ore, fra la via e la corte, il giorno delle nozze Sforza-Montagu. Non m'ha riconosciuto. La mia voce quieta gli ha chiesto, se, per caso, potevo trovar sopra, in cancelleria, sir Randolph Montagu: per caso.... No, sir Randolph Montagu era partito, da pochi momenti, dall'Ambasciata, ove era venuto, da Caprarola, a prender la sua posta.... — E, allora, forse, sarebbe tornato, domani o un altro giorno, sir Montagu.... — No, non tornava più. Andava a Caprarola a prendere lady Montagu e partiva, subito, per la Svizzera.... — Quale Svizzera?… poichè essa è grande, la Svizzera.... — In Isvizzera.... in montagna.... — Non aveva, dunque, lasciato indirizzo, sir Randolph Montagu, per la sua posta?… — Nessun indirizzo: andava in Isvizzera, in montagna.... forse, di .... più tardi.... avrebbe scritto.... E niente altro, ho potuto apprendere, per la mia bruciante sete di notizie: ma quando sono stato fuori, ho pensato di aver saputo tutto, per cercare, per raggiungere, per rivedere lady Diana Montagu.

«Parto anche io, dunque, domattina, in un pio, in un tenero, in un amoroso pellegrinaggio. Non so dove andrò: non so dove mi fermerò: non so dove, infine, la mia lunga ricerca sarà compensata da una divina presenza. Non so. Parto; è tutto. Poichè la conducono via, poichè ella va via, io parto, per seguirla, per seguir, prima le sue tracce e, poi, per rintracciarla. Il mondo non è molto grande: io troverò Diana Montagu. E fosse venti volte più grande il mondo, io la ritroverei egualmente, senz' altro. È un piccolo paese, la Svizzera; si percorre presto, sovra i suoi laghi e sopra i suoi monti. E quando io avrò trovata Diana Montagu, io non la lascerò più, colei che ha pianto, partendo, che ha pianto, guardandomi, colei che non mi ha mai risposto, colei che non mi ha mai scritto, colei che non mi ha mai parlato, ma che ha pianto le due sue più profonde, più lunghe e più amare lacrime, guardandomi. Il mondo è breve: la Svizzera è minuscola. Io partirò domani. Raccolgo tutte le mie robe, moltissima roba, tutto quello che potrebbe servire per un viaggio interminabile, come se dovessi girare, per anni, intorno al mondo: raccolgo tutto il mio denaro, quanto ne ho disponibile e lascio ordini, che se ne tenga dell'altro, a mia disposizione, per più tardi, quando scriverò, quando ne avrò bisogno: scrivo a Lisa mia, che parto per la Svizzera.... che tornerò presto e ciò non è vero, perchè io non tornerò presto, perchè non so quando tornerò e, forse, non tornerò giammai. Un senso di vita alta mi tiene, ora che intraprendo il mio pellegrinaggio di amore: ma mi tiene, anche, un sordo, un tenace presagio di morte. Tornerò io in questa cara mia casa, così piena dei miei pensieri, dei miei sogni e di ogni mia gioia e di ogni mia speranza, tornerò, qui, ove ho cominciato ad amar Diana? Tornerò, mai, mai più, in Roma, in Roma nostra, ove io l'ho udita cantare e l'ho vista piangere? Non so. Non so nulla. Un oscuro presentimento è in fondo al mio cuore: e per esso io saluto, come se partissi per sempre, come se morissi, questa mia casa: per esso, io, di lontano, mando tutta la mia fraterna tenerezza a Lisa Ruffo, alla mia soave sorella, alla creatura di dolcezza e di pietà. Non so se la vedrò più. Il mondo è piccolo: ma il mio amore e il mio dolore sono di me più grandi, di me più forti: ma ogni rischio pende sulla mia vita e ogni rischio mortale mi è nulla ed è nulla, per me, la morte cui vado incontro, la morte, che, quasi, mi ha preso, in una notte di estate, per Lei, la morte che è la compagna di ogni grande amore. Il mondo è piccolo: e io debbo raggiungere Diana, Diana Sforza, Diana Montagu, e non lasciarla mai più, e viver presso lei, e morir presso lei, non so dove, non so quando, ma non prima che ella mi abbia amato, ma non prima che ella abbia chinato il suo volto verso il mio e posato la sua bocca sulla mia. Non altro, voglio. Un bacio della sua bocca e tutte le ebbrezze più alte mi saran state premio di vita e di morte. Parto domani. Riunisco, con le altre lettere che le scriverò, nel mio pellegrinaggio, sin che io non la ritrovi, queste due lettere: e tutte gliele darò, insieme, in quel giorno, perchè ella tutto sappia. Parto domani: è Lei che mi aspetta, non so dove, non so quando, col suo viso bello e triste, su cui ho visto scorrere le sue lacrime e per queste lacrime io vado.... vado assai lontano, forse.... non torno più, forse.... perchè ella mi ami, infine, ella che ha pianto....».

 

 

«Lucerna, quindici luglio

 

«Qui, davanti al verone della mia grande camera, qui, nella via, sotto gli alberi folti, sotto gli alberi che ombreggiano così fragrantemente la passeggiata, lungo il lago, dei suonatori italiani accompagnano, con l'ardore musicale di cui è piena l'anima del popolo nostro, un tenore di strada che canta 'O sole mio: e canta con un languore voluttuoso, con un impeto passionale, che ha tratto alle finestre e ai balconi di questo hôtel National, molte di coloro che, in quest'ora mattinale, non sono ancora escite a passeggiare, sul lago, in canotto, a giuocare al tennis, a flirtare sotto gli alberi, sui sedili che chiudono le aiuole fiorite di questo grande giardino, innanzi all' albergo. Occhieggia, il lago chiarissimo, fra le piante: vi è un andirivieni di uomini, di donne, vestite di bianco, che s'incontrano, si salutano, si sorridono, chiacchierano.... e il tenore ambulante, invoca il suo sole, con un impeto commovente, in cui l'antica romanza popolare par quasi che esprima la nostalgia amorosa di tanta gente! Son dieci giorni che vado cercando, di paese in paese, in questa prima parte della Svizzera, colei che mi chiama a , senza parole e senza voce, senza lettere e senza altro scritto, colei che mi chiama, così, senza nulla dirmi, senza nulla scrivermi; ma, di già, dapertutto ove mi son fermato, in grandi paesi e in paesi più piccoli, nei palaces e negli alberghi minori, io non ho trovato traccie di lady Montagu. Ella non era a Brunnen, ad Axenfels, a Engelberg, al Burgenstock, al Righi First: tutte queste rive del lago dei Quattro Cantoni, tutti questi monti coronati di alberghi, io li ho visitati, uno per uno, con una profonda pazienza. Torno da Zurigo, ora: ella non vi era, come non era a Gurnigel, presso Berna: e sono qui, per due giorni, per riposare della mia stanchezza fisica, per raccogliermi, per ritrovare le mie energie morali, che la inutile ricerca disperde, purtroppo. Ovunque io sono stato, non ho trascorso che un sol giorno, distratto e assorbito nella mia profonda cura, dopo di aver assaggiato una novella delusione; e i paesaggi svariati e gli ambienti diversi e le folle estive che la Svizzera richiama, da ogni paese di Europa, forse da ogni paese del mondo, non mi diceano nulla, poichè io nulla vedevo, più, dal momento che in quel paese e in quell'albergo non vi erano lady Diana Montagu e sir Randolph Montagu, e non vi erano neppure attesi. Dopo l'inchiesta vana, io me ne andavo in sala di lettura e cercavo, ansiosamente, il Journal des voyageurs o il Traveller's express, o l'Alpine Post, ove, con titoli diversi, vi è l'elenco completo dei villeggianti, dei viaggiatori di tutti gli alberghi del paese e, talvolta, della regione: dopo aver letto tre o quattro volte, minuziosamente, quell'elenco, non avevo altro desiderio che di partire, che di andare altrove.... Ora riposo, per due giorni, in questo paese, così seducente di beltà, di grazia, di poesia, fra il florido verde delle sue colline vicine, la maestà dei suoi monti poco lontani e il fulgore del suo lago sinuoso, Lady Diana Montagu non è qui, non può esser qui, poichè il suo sposo non l'avrebbe condotta, in viaggio di nozze, a Lucerna, piena di gente gaia e frivola, all'hôtel National, ove si passa di festa in festa: non è qui, Colei che a mi chiama, ma io, oggi, cerco di vincere la mia immensa lassezza, cerco di ridestare le mie forze morali, perchè io, domani, debbo riprendere il mio pellegrinaggio. Cantano nella via e ciò culla il dormiveglia del mio spirito affranto, del mio corpo affranto. Domani, io sarò pronto a partire, poichè Diana non è qui....»

 

«Interlaken, venticinque luglio

 

«Pazienza, pazienza, cuor mio! Ancora dieci giorni di viaggi, per ferrovia, per funicolare, per battello, per ogni dove, salendo sui monti più bassi, ascendendo sui monti più alti, navigando sui laghi: dieci giorni di tragitti continui, dormendo ogni sera in un paese diverso, riprendendo, talvolta, il viaggio nel giorno istesso. Nulla, nulla, cuor mio, e tu devi avere molta pazienza, come ne ebbero tutti i santi che, poi, toccarono il paradiso, dopo il martirio, tu devi tutto sopportare, tacitamente, in un eroismo silenzioso, sinchè ti sia dato il gran premio.... Domani, ripartiremo, cuor mio: questa notte staremo qui, poichè una pioggia violenta continua da tre ore e un mantello nero di nuvole covre la Vergine dei Monti, questa maestosa e terribile Jungfrau, e gli alberghi sono zeppi di una gente rumorosa, che non potendo escire, gremisce i saloni, suona, canta, balla, giuoca, ride, ovunque. Fuori il lungo temporale chiude ogni orizzonte. Ella non era in nessun posto da me visitato; Ella non è qui. Noi partirem domani, cuor mio, per andare più oltre, sempre più oltre. Forse, domattina, la bufera si sarà allontanata e candidissima e imperiosa dominerà la valle, la Vergine montana: e noi la saluteremo, un istante, e continueremo il nostro viaggio, altrove, non sappiam dove, povero cuor mio, che devi avere una pazienza sublime....»

 

 

«Ouchy, sette agosto

 

«È un momento che ho ritrovato le tracce di Diana, della mia Stella mattutina, della mia Torre d'avorio. Ella è poco lontana e io, forse, la rivedrò domani. Qui, oggi, ero giunto dopo aver esplorato tutte le rive del lago Lemano, da Ginevra a Evian, da Nyon a Montreux, a Territet: qui, oggi, ero piombato in un annientamento morale e fisico, che mi abbatte, ogni tanto, in quest'affannosa ricerca e che appesantisce, su me, un sonno lungo e senza sogni. Stasera, un momento fa, in questo salone dell'hôtel Beaurivage, mi addormentavo invincibilmente sovra una interminabile lista di nomi, nel Journal des Voyageurs, quando mi son svegliato, di colpo, leggendo che, a Montana, tre o quattro giorni fa, nel match finale di golf aveva vinto il primo premio il forte giuocatore inglese, sir Randolph Montagu contro Mr. Jos. Chandlers. Montana, Montana! È nel Vallese, Montana, sovra Sierre: è un ritrovo di sport estivo, tennis e golf, di sport

invernale: vi è un Montana Palace. E stasera non posso, non posso più partire, non potrò dormire, questa notte, poichè è alle cinque di mattina che potrò partire pel Vallese, per Montana, dove Ella mi chiama e mi aspetta....»

 

 

«Montana sur Sierre, otto agosto

 

«Ella è stata, qui, due settimane: ella non è più qui, da due giorni. Il vincitore inglese del match e la sua signora sono partiti, l'indomani del banchetto annuale dei golfeurs: sono lontani, ora, a Scheveningen, presso l'Aja, sul mare del Nord. Oh qui lo conoscono bene, sir Randolph Montagu, poichè egli vi viene, da quattro anni, ogni estate: e vi è venuto, puntualmente anche questa estate, con la sua sposa, une superbe italienne! Così mi ha detto il segretario di Montane Palace, molto cortesemente. Io gli ho chiesto, vagamente, notizie della sposa: egli ha compreso che io era italiano, un parente, un amico, forse.... On la voyail très peu.... probablement elle n'aime pas les sports.... mais quelle belle personne, monsieur.... E il paese non è neppure imponente, non è neppure ameno: e la società è tutta di giuocatori inglesi: e che mai ha fatto, qui, la mia bella rosa d'Italia, che ha fatto, tutta sola, la mia povera Euridice, che ha fatto, qui, mentre il suo sposo la lasciava per intere giornate, quassù, sola, sola, sola, Diana Sforza? Quanto è lontano il mare del Nord e come è stretto di tristezza, di rimpianto, d'inconsolabile rimpianto, il cuor mio, per voi, Diana....»

 

 

«Scheveningen, dodici agosto

 

«Partiti, partiti, partiti, come se fuggissero, in una corsa fantastica, come se mi sfuggissero, come se sapessero che io li cerco inutilmente, da cinque settimane, che li perseguito, di paese in paese, come se Ella sentisse, alle sue spalle, la mia persona ansante e il mio angoscioso amore, come se Ella avesse, forse, la noia, e, forse, il ribrezzo della mia persecuzione, lady Diana Montagu, la nobile sposa, la sposa in viaggio di nozze, fuggente innanzi a colui che si ostina pazzamente a seguirla, ad amarla, sol perchè l'udì cantare, in una sera di primavera romana e la vide piangere, nel delle sue nozze! Che è mai stato, di me, in questi giorni di viaggio vertiginoso, di treno in treno, in uno scompiglio delle mie facoltà, perdendo delle coincidenze, passando delle ore mortali in qualche piccola stazione tedesca, in qualche paesello belga, che è stato di me, sin ier sera, quando son giunto all'Aja, a mezzanotte, ed era impossibile raggiungere Scheveningen, prima di stamane? Io non so. Sono qui ed ella ne è partita. Dopo una via d'incanto, fra un florido bosco, ecco Scheveningen, spiaggia di pescatori olandesi, ecco questo pittoresco, questo poetico, questo gaio e semplice paese di mare, che conserva il suo aspetto arcaico, malgrado i suoi tre o quattro sontuosi alberghi di stranieri: e il suo Casino è come un circolo di famiglia, con spettacoli morali e divertimenti casalinghi: non si giuoca, a Scheveningen, al Casino, negli alberghi, se no, i buoni e onesti olandesi diserterebbero: e i forestieri si annoiano, qui, e van via, subito. Ça nous fait beaucoup de tort, monsieur — mi ha detto, con rammarico, il direttore del Britannia hôtel, ove eran discesi i Montagu e donde son partiti, dopo tre giorni di dimora. — Tout le monde chic nous laisse pour Ostende.... pour le jeu, monsieur, pour le jeu.... Gli sposi sono, ora, a Ostenda. Posso raggiungerli fra poche ore. E, invece, una mortale incertezza mi si apprende, ogni mia volontà di andare, di arrivare, è come morta: e ogni mio coraggio è svanito, in una infinita miseria di sordi dubbii, di fosche paure, di presentimenti fatali. Non è forse meglio che io me ne vada, qui, sulla spiaggia vasta, dalla sabbia finissima, ove ridono e cantano centinaia di fanciulli seminudi, innanzi a questo mare del Nord, che è, oggi, dormiente, in una tinta di acciaio, ma che, domani, può esser sconvolto dagli aquiloni, non è forse meglio che io mi distenda sulla sabbia, ignoto, solo, tacito e lasci scorrere le ore e il tempo, a Scheveningen e non vada mai, mai, a Ostenda, e non ritrovi mai più Diana Sforza e mai più io la rivegga? Tanti uomini, tante donne, han rinunziato, rinunziano, perchè il destino è avverso, perchè il mondo è avverso, perchè il Cielo è avverso, come me, cui tutto è avverso, anche l'animo di Lei che non m'ama, non m'ama e io la seguo invano? Io, forse, potrei restar tutto l' estate a Scheveningen; forse, dopo, potrei andarmene in una di queste isole olandesi, qui, in questo mare del Nord, verso Amsterdam: e rimanervi, ignorato, fra ignoti, tutta la mia vita: e morirvi, ignoto, poichè Diana Sforza è sposa, non mi ama, mi fugge, poichè non mi ama, non mi amerà mai! In una piccola isola: Zantwort, mi pare....»

 

 

«Ostenda, quindici agosto

 

 

«.... O vase d'élection, o Grande Taciturne, o mia Dama del Silenzio, o voi che mai mi avete risposto, o voi che mai, forse, mi risponderete, ecco, qui, una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove lettere di colui che sempre vi ha scritto, che sempre vi ha amato, e solo in queste lettere ha potuto aprire il suo cuore, pieno di voi. Sono cinquanta mortali giorni in cui non ho visto brillare la mia stella, Diana, e ieri, solo, di nuovo, essa ha scintillato innanzi ai miei occhi abbagliati: e in questi cinquanta giorni, di lei sempre pensando, per lei sempre soffrendo, invocandola, desiderandola, cercandola ovunque, seguendola dapertutto, io le ho scritto queste nove lettere, ove ogni tumulto del mio spirito e ogni miseria del mio animo, è passato, nelle febbrili o nelle fioche parole. Legga, legga, Colei che mai risponde: e vegga, dalla lettera scritta nel delle sue nozze religiose, in cui Ella volle piangere, guardando lo sconosciuto che ha osato amarla, in cui Ella gli fece, in cambio di tant'adorazione e di tanto dolore, il dono prezioso delle sue lacrime, da quella lettera di dedizione allo scoppio della gelosia furente di questo disgraziato, al suo distacco dalla casa e dalla patria, al suo pellegrinaggio d'amore, sino a ieri, sino a oggi, vegga Costei se il pellegrino d'amore non sia arso da un fuoco imperituro, vegga Costei se l'amore di Paolo Ruffo non sia più forte della vita e più forte della morte....».

 

 

«Ostenda, diciannove agosto

 

 

«Un immenso orgoglio e una immensa tristezza rendono, o Diana, più penetrante, più toccante, più avvincente la vostra beltà; sì che niuno può incontrarsi in voi, senza esserne sorpreso e scosso. Qui, ove una folla femminile turbina, da mane a sera, ovunque, sulla vastissima spiaggia e nella lunghissima passeggiata lungo il mare, e nei ritrovi mondani e nei saloni d'albergo, qui, ove son tutte le bellezze muliebri più diverse e più raffinate e più semplici, dalla gran dama squisita alla cortigiana pregna di violenti profumi, alla esile e fine e innocente giovinetta, qui, voi, Diana, conquidete gli occhi e le anime di chi vi scorge; e, di lontano, io, nascosto fra la folla, vedo gli sguardi e odo le parole, che voi, orgogliosa, triste e bella, e distante da ognuno, e lontana da ognuno, non vedete, non avvertite. Mai vi vidi così chiusa nell'orgoglio e nella tristezza e mai, mai, foste più bella, Diana, che passate e nulla sapete, perchè nulla volete sapere, perchè nulla tocca l'orgoglio vostro e nulla consola la vostra tristezza, voi passate, in una beltà fatta, oramai, invincibile nel suo imperio. Non siete mai sola: altre dame del vostro mondo e dei gentiluomini, vi circondano, ogni volta che apparite, in pubblico, alle passeggiate, agli spettacoli, alle feste: un breve corteo è con voi, non sempre il medesimo: e intorno a voi, un altro se ne forma, d'ignoti ammiratori.... Mai sola, voi, Diana: e pure sola, solissima, come mai creatura umana fu sola, Voi che siete così affascinante nel duplice vostro possente mistero, dell'orgoglio e della tristezza. Di lontano, cautamente, con cento sottili precauzioni, ora vi seguo, ora vi precedo, ora mi allontano, ora ritorno, sempre vivendo nel magico larghissimo cerchio della vostra presenza e vi contemplo, talvolta, con tutta la forza dei miei occhi mortali e la folla si dilegua ai miei occhi e vi veggo come siete, veramente, sola, solissima, fra le amiche, fra gli amici, vi veggo, lentamente, volgere i pensosi, i fieri, i puri occhi bruni, cercando nel deserto che vi circonda, cercando e infine trovando lo sguardo dell'Uomo che, lontano, quasi nascosto, è sempre nell'orizzonte vago del vostro sguardo, fedele e immoto nella sua fede. Per un istante, un baleno, i due sguardi, il mio, il vostro, s'incontrano. È tutto, per me. Io non saprò mai che sia, questo istante, per voi. Mi pare che più lungi vi trasporti l'orgoglio vostro: mi pare che più profonda si faccia la vostra tristezza: e che divina si faccia la bellezza vostra. Mi pare. Non so. Non so.... Come son sontuose le vostre vesti, o magnifica Signora: e sempre diversamente ricche, e sempre conservanti un carattere di nobile eleganza: e come son smaglianti e singolari i gioielli di cui vi adornate. Io li conosco, ad uno ad uno, i vostri abiti, quasi sempre bianchi, adorni di rari merletti: ad uno ad uno, conosco i vostri gioielli: di lontano, ho sempre tutto visto, tutto notato. Eppure, Signora magnifica, voi portate queste vesti e queste gemme, come una livrea mondana: senza vanità, senza piacere, senza gioia. Nessuno me lo ha detto. Io lo so, questo. Poche cose so, di voi. Ma che vi sia indifferente il grosso filo di perle che portate al collo, la mattina, la sera, che vi sia indifferente il prezioso mantello che avevate, ieri sera, al concerto wagneriano, questo lo so.... Vostro marito, sir Randolph Montagu, quasi sempre è con voi, nel cerchio dei vostri amici, delle vostre amiche; ma non accanto a voi: ma niuna familiarità è fra voi, più di prima: i suoi atti di glaciale rispetto verso voi, sono immutati: vi parlate poco, a fior di labbro. Vi ho visto, anche, a una passeggiata, insieme, soli, sul pier, prima di colazione. Nella via parallela, dietro gli alberghi, ho seguito i vostri passi, rivedendovi a ogni via trasversale: voi, non potevate vedermi. Andavate, tranquilli, muti, con un passo eguale, accanto. Ogni tanto, scambiavate una frase. Siete andati molto lontano: e io con voi, nascosto dalle case, per la parallela. Vi siete fermati laggiù, laggiù, sulla spiaggia deserta, guardando il mare. Esso era di un grigio plumbeo, anche sotto il sole: lontano, diventava livido. Sir Montagu, col sottile giunco dal manico d'avorio, v'indicava qualche cosa, all'orizzonte, parlandovi: voi ascoltavate, a testa un po'bassa. Che vi diceva? Che vi additava? L'Inghilterra? L'Inghilterra, dove andrete, quando? L'Inghilterra, dove resterete, quanto? Siete tornati, camminando più lentamente. Mi è parso più grave di orgogliosa tristezza il vostro viso, Diana. Non so: non so. E alla porta dell'albergo, sir Randolph vi ha lasciata, con un saluto secco, allontanandosi verso la città. Voi amate sir Montagu, Diana? Ed egli, vi ama? vi ama?

«Paolo Ruffo».

 

 

«Ostenda, ventuno agosto

 

«Mai la mia vita fu più intensa, più energica e più veemente, in ogni sua forma e in ogni sua espressione; e gl'istinti e i sensi e i sentimenti, in un sol fascio, sono sospinti a una incalcolabile potenza. Mai uomo ebbe un più terribile, più inebbriante e più mortale segreto di vita, come me, oggi, ieri, domani, qui, dove voi altri siete, dove siete insieme, novelli sposi, in viaggio di nozze, e dove sono anche io, mentre dovrei esserne lontano mille miglia; qui, dove voi altri siete per amarvi, fra il lusso e i piaceri e io sono qui, terzo, fra voi, intruso, fra voi, amandovi di una passione impetuosa e clamante, e dove non dovrei adorarvi, amarvi, conoscervi; qui, dove io posso vedervi, molte volte, in un giorno, in una sera, dove sempre posso incontrarvi, sempre seguirvi, e avvicinarmi sino a voi, quasi a sfiorarvi e tutte queste volte non mi bastano, non mi basterebbero, mentre dovrei, debbo, fuggirvi, evitarvi; qui, dove, persino, io potrei facilmente giungere a esservi presentato, da comuni amici, presentato a sir Montagu e io sarei il più felice fra gli uomini, se potessi inchinarmi, innanzi a voi, baciarvi la mano, parlarvi.... e non debbo, non debbo, non debbo; qui, dove ogni ora della mia giornata, ogni minuto delle mie ore, è, per me, apportatore di una immensa emozione, di un immenso rischio, di un immenso sgomento, sgomento per voi, per voi, Diana! Vivo cento vite, tutte fuse, insieme, e ardenti e crepitanti e fumanti, come se tutto il mio essere fosse un puro e incandescente metallo, bollente in un crogiuolo: e mai mi consumo, mai mi estenuo, perchè voi siete qui, perchè tutto il mondo, intorno, dal cielo che s'incurva sul mare del Nord, e nelle vastissime distese di sabbia percorse da migliaia di persone, e nelle vie frementi di movimento, una divina presenza, anche nascosta, anche segreta, alimenta il fuoco, su cui brucia e fuma la mia vita, senza consumarsi. O Diana, quanto io vivo, da che vi ho ritrovata, da che vi ho riveduta: quanto io vivo, anche nelle inquiete ore di un breve riposo, con tutte le mie facoltà moltiplicate e con ogni mia virtù diventata singolare! Pensate bene, Diana: io so bene quale albergo abitate e non vi son potuto venire, malgrado il mio pungente desiderio, e non vi penetro neppure, per cercarvi un paio di amici miei, che hanno la fortuna di dimorarvi, accanto: e ho dovuto scegliere un albergo ignoto, non troppo lontano, non troppo vicino, ignoto, dove non ho dato neanche il mio nome, per prudenza, dove mi sanno come Giorgio Costa, il nome di mia madre, che si chiamava Giorgina Costa: e vi rientro, talvolta solo a notte alta, per dormirvi qualche ora: e vi resto, talvolta, chiuso un intiero giorno, per sparire dalla folla di Ostenda, folla, oramai, in cui tutti ci ritroviamo, sempre agli stessi posti, sempre agli stessi convegni.... Pensate, Diana, che io non so mai, il mattino, che farete, voi e sir Montagu, nella giornata, dove vi recherete, dove vi fermerete, come trascorrerete il pomeriggio, la serata: e che non posso farmi scorgere intorno al vostro albergo: e se vi vedo giungere, insieme, di lontano, debbo celarmi: e se siete sola, debbo astenermi anche più, debbo giudicare se seguirvi o no; e se entrate in un ritrovo di poca gente, non posso intervenirvi anche io: e se la gente è molta, debbo penetrare in tale posto, in modo che la gente istessa mi nasconda e non m'impedisca di vedervi, di contemplarvi, di bearmi del vostro volto; e debbo sparire, costantemente, perchè egli non mi vegga.... Pensate, Diana, che, da sette giorni, io sono qui, che io vi ho vista, sempre e che vostro marito non mi ha ancora veduto. Non m'ha veduto! Non m'ha veduto! Mentre io sono sempre intorno a voi, mentre io non mi allontano mai dall'alone che vi circonda, dal solco che voi lasciate, sir Montagu non mi ha visto. Egli mi conosce bene; egli mi riconoscerebbe subito: egli intenderebbe, subito, la ragione della mia presenza, qui. Che so, io, se egli non sappia molto più di quanto io creda, sul mio conto e sulla mia follia amorosa? Che so, io, se egli non abbia visto tutte le mie lettere o non ne abbia letta qualcuna? Egli mi conosce: egli sa, forse, tutto. Qui, non mi ha visto ancora. È un miracolo, Diana: ma, credetelo, è un miracolo dovuto al piano di audacia e di cautela, di costante sospetto e di costante vigilanza, di fiducia nella mia sorte d'amore e di diffidenza d'ognuno, il piano che, ogni notte, ogni mattina, io formo, io creo, io organizzo, io trasformo, io rendo perfetto, un piano diabolico, o mia stella d'amore, un piano infernale, solo per potervi semplicemente, umilmente, profondamente amare, senza che nessuno lo sappia, senza che egli lo sappia, senza che voi dobbiate soffrire, per questo amore....

 

 

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«La sera era già alta, quando i miei occhi e la mia anima sono stati così soavemente, così voluttuosamente ebbri di voi, Diana. Dalle sue cento finestre, dai suoi veroni, dalle sue terrazzine, il Kursaal, gremito di gente, fiammeggiava sulla oscurità della notte: e ogni balcone e ogni finestra di albergo, di restaurant fiammeggiava: e musiche più vive o più fioche, giungevano, a tratti, nella via, sul pier, ove i viandanti si diradavano, attirati dai divertimenti, dagli spettacoli, dai piaceri, che le luci e le musiche indicavano: e le tentazioni della beltà e del giuoco rendevano, oramai, deserta la grande spiaggia di Ostenda e restituivano all'imponente, all'austero mare, nell'ombra, nella notte, tutta la sua nobiltà. Io andavo, lentamente, solo, nulla sapendo di voi: e mai potevo dilungarmi da quell' hôtel Continental; e nella oscurità io ne contemplavo la facciata, ove i grandi appartamenti del primo piano, hanno quei larghi veroni coperti da un'arcata, quelle verande che sono, quasi, dei piccoli salotti, all' aria aperta, dove sono collocate sedie a sdraio e tavolini e, persino, delle lampade velate da paralumi; come in Inghilterra, in Belgio, in Olanda, nei palazzi signorili, negli alberghi aristocratici, queste verande aeree mettono una poesia, con la rivelazione di una intimità, che fa sognare il passante. Io, ieri sera, ero il passante: e voi eravate, lassù, non molto in alto, non troppo in basso, sulla veranda del vostro appartamento al Continental: prima in piedi, fra un gruppo di palme a grandi foglie, vestita di bianco, con una blonda di merletto sui capelli: poi, seduta in una poltrona, sotto l'arcata della veranda, presso il tavolino coverto da una stoffa chiara a fiori: la lampada, chiusa da un paralume trasparente, illuminava tenuemente il basso del vostro viso e le mani immote sui bracciuoli: dirimpetto a voi, ma in penombra, qualcuno, un uomo, in piedi, vi parlava, irriconoscibile: e voi lo ascoltavate, intenta, rispondendogli, ogni tanto.... Io era il passante: l'ombra mi circondava ed ero confuso in essa: e niuno potea scorgermi: e tutto io scorgeva, di voi, sulla veranda, ove, per la prima volta, eravate apparsa, nelle vostre vesti candide, col candore del merletto serico sui vostri capelli ondanti, ove, per la prima volta, io poteva guardarvi, a lungo, a lungo, io, che ero un'ombra dell'ombra, sulla via, quasi sulla spiaggia bruna, avendo, alle spalle, la profonda oscurità del mare e della notte senza luna. Tutta la mia vita si era raccolta nei miei occhi: e, da essi, penetrava in me tanta beatitudine, che le mie vene e i miei sensi e il mio cuore e tutta l'anima mia si struggevano di dolcezza. Ero immoto; la sera si faceva più fresca, più solitaria, più tacita; non un viandante, più, sul grande boulevard, sul pier: io solo, io solo, invisibile fra le tenebre notturne, io solo e non solo, poichè, lassù, non molto in alto, Diana Sforza prolungava la sua serata, all'aria aperta, sotto il lume velato di una lampada. Improvvisamente, colui che le parlava era sparito. Ella era sola. Con atto lento, ella si era volta verso l'ombra: come se sapesse che qualcuno era colà, colui che, sempre, è presente, ove i suoi occhi pieni di una tristezza superba lo cercano. Solo questo gesto di ricerca, per l'Eterno Viandante, per il Pellegrino di amore; gesto semplice, un volgere di occhi, una ricerca tranquilla ma, infine, infine, desiosa, sì, desiosa di questa immutabile, invincibile fedeltà di amore, nel povero viandante, nel povero romito e non più povero, costui, in quell'istante, Diana, ma ricco, ma ricco più di Pluto, poichè quel gesto è suo e null'altro egli possiede, ma tutti i beni della terra e del cielo sono suoi, se gli occhi di Diana Sforza lo ricercano, nell'ombra densa, nella notte senza stelle e senza luna! Occhi belli, occhi buoni, che vincono la loro tristezza e sono solo dolci e velati di una grave tenerezza — così vede, sogna, il viandanteinterrogando la notte solinga, guardando nelle tenebre fonde ove Paolo è ebbro di gioia, ove la sua ebbrezza palpita, tumultua, anche più, quando Diana Sforza si leva, alta, in veste bianca e si arresta, come se salutasse l'ombra.... Ha visto, Diana, agitarsi convulsamente un fazzoletto, nella notte, in segno di saluto, e diradar l'ombra col suo biancore e dire con quel moto il fremito di voluttà e di soavità della mano, della persona che lo agitava? Sì, Diana ha visto: un istante, la sua testa si è chinata, quasi a rendere il saluto: poi, essa è sparita; e poco dopo, un servo è venuto sulla veranda, a ritirar la lampada, i ninnoli del tavolino, i cuscini delle poltrone e i cristalli sono stati chiusi e le tende abbassate. Un uomo è escito dall'ombra, vacillante, con gli occhi abbarbagliati ed è rientrato nel suo ignoto albergo, a piangere le sue lacrime di gioia nel suo origliere....»

 

 

«Ostenda, venticinque agosto

«O lady Diana Montagu, signora di Montagu Castle e di Springfield Court, ricca sposa, sposa novella, che fate voi, quando la notte è giunta e voi siete sola? Come tutte le belle dame circondate di lusso, voi chiamate la vostra cameriera e le dite di acconciarvi, per la notte: essa discioglie la vostra capigliatura dalle sue costrizioni e ne fa delle trecce: essa scalza i vostri piedini dagli stivaletti, dalle scarpette fibbiate e v'infila le pantofole di tela d'argento: essa vi offre il vaporizzatore per aspergere il vostro viso e il collo e le mani di una pioggiolina rinfrescante e odorosa: e, infine, in piedi, in silenzio aspetta altri ordini, la cameriera, da voi che siete sola. Che farete voi, allora, nobil donna, sola come siete? Voi congedate con un gesto, con un'occhiata la vostra servente e restate anche più sola di prima. La vostra camera è grande: è una camera da sposi: e sul letto sono rimboccate le coltri, ai due posti ove gli sposi debbono coricarsi: da una parte e dall'altra, sono disposti i bonnes nuits contenenti le camicie da notte dei due sposi.... suppongo, suppongo, suppongo! La mezzanotte è già scoccata: voi lo vedete sull'orologio da viaggio, che è presso il vostro letto — presso il vostro posto, o cara sposa — e voi pensate che è tempo di riposare. Che fate, voi, allora, o lady Diana, lontana dalla vostra famiglia, dai vostri amici, dalla vostra patria, voi, congiunta a uno straniero, voi, in paese straniero, voi, diretta a una più lunga e forse molto lunga dimora straniera, voi, che siete sola, sola, innanzi al vostro Dio? Voi pregate: voi pregate, certo, molto, a lungo: voi pregate, tanto, tanto.... ma con quali parole, le vostre o quelle delle antiche orazioni, delle tradizionali preghiere? Con le parole vostre o quelle consuete, che gli dite mai al Signor Vostro, nella notte, sola e lontana, come siete? Che gli dite? Di che lo ringraziate, per che cosa a lui vi raccomandate? Certo, vi raccomandate, cara sposa fortunata, al Signore: vi raccomandate, lo suppongo, lo credo, lo so, perchè il Signore vi protegga, vi aiuti, vi conforti.... vi raccomandate, sposa bella, sposa giovane, sposa ricca, lady d'Inghilterra, prossima ambasciatrice, vi raccomandate! E, dopo aver pregato, voi sciogliete le vostre vesti e andate a letto, nobil dama, è vero, sempre in silenzio, sempre sola? Non suppongo: so. Leggete, in letto, perchè un po' di tempo passi? Perchè qualcuno ritorni, alla fine e voi non siate più sola, leggete pazientemente, perchè l'ora passi? Che leggete mai? Un libro di religione? Un romanzo? Chi sa che leggete! A un certo punto, qualunque sia il libro, voi lo chiudete, lo deponete sul tavolino da notte, presso l'orologio, fra la boccetta dei sali e il verre d'eau, voi voltate la chiavetta della lampada e la vostra testa e la vostra persona si accomodano, per il sonno notturno. Voi vi addormentate, sola, sino all'alba, sino alla mattina. Non lo suppongo, lo so.

«Da tre notti, lady Diana, il vostro novello sposo, il marito vostro, sir Randolph Montagu, ed io, restiamo insieme, sino all'alba. Egli non sa di questa mia compagnia: ma io son poco lontano da lui e vigilo, veglio, con lui, sino all'alba. È nel Cercle privé del Kursaal che io l'ho visto, per la prima volta, tre sere fa, cioè, tre notti fa. Ero entrato, , condotto da un amico, don Lodovico Massari, che ama il giuoco, sebbene non sia un forte giuocatore: io ho giuocato, un tempo, e ho anche perduto, ma senza grande piacere. Ho, poi, trovato di non esser abbastanza povero abbastanza ricco, per esser un giuocatore; e non ho giocato più. Abbiamo fatto un giro in quei maestosi saloni e nei salotti dove, ovunque, erano circondate le tavole da giuoco, baccarat, poker, trente et quarante da una triplice fila di giuocatori. A una di esse, di trente et quarante, era seduto sir Randolph Montagu, pacato, immobile, attento e intento al suo giuoco, che doveva esser forte. Ho dovuto, a traverso le teste, guardarlo due o tre volte, per esser certo che fosse lui: mi pareva impossibile che lo sposo novello di Diana Sforza giuocasse a carte, in quella notte, nella sontuosa bisca. Poi, ho pensato che si trattasse di una partita di un'ora. E ho atteso, pazientemente, altrove, ritornando in quella sala, ogni tanto, con discrezione, a occhieggiare; egli era sempre colà, calmo, assorto, giuocatore freddo e preciso. Vi è rimasto sino all'alba. Anche io. Mi son dovuto celare, all'alba, quando egli esciva dal Cercle privé, insieme ai più accaniti, ostinati giuocatori. Non mi ha visto. Era distratto, pallido e chiuso: pallido per la notte vegliata, non altro, perchè, mi han detto, dopo, che aveva guadagnato. Sono tre notti che, da mezzanotte in poi, sir Randolph Montagu viene alla sala da giuoco, prende il suo posto, giuoca sino all'alba, un grosso giuoco: e son tre notti che io mi aggiro per i saloni estremi del Cercle privé, per le stanze di lettura, di scrittura, vegliando anche io, per vedere a che ora, mai, si levi dal giuoco, sir Montagu. All'alba, sempre: con un gruppo di una ventina di giuocatori, come lui, inglesi, francesi, russi. Ho, poi, saputo che ogni notte, dalla prima in cui è giunto a Ostenda, egli è venuto a giuocare, egli è restato sino all'alba e che vi verrà, lo sanno bene, i croupiers, sino all'ultimo giorno. Fa un forte giuoco: guadagna, perde, per lo più è fortunato e, forse, la vincita o la perdita gli sono indifferenti, ma ama il giuoco per il giuoco, con quell' ardore segreto, vestito di compostezza e di silenzio delle anime nordiche. C'est un joueur serieux, dicono, gravemente, i croupiers del Cercle privé.... E ho saputo, altrove, ho potuto sapere, al vostro albergo, o sposi novelli, che sir Montagu prende una doccia, rientrando all'alba, e che si ritira nella sua stanza, a riposare, la sua stanza che non è neppure vicina alla vostra e che solo alle undici e mezzo, è permesso al suo domestico di bussare alla sua porta....

«O novella sposa, voi dormite sola, tutte le notti, voi dormite sola, e vi svegliate sola, e non rivedete lo sposo vostro che a mezzodì; ed egli, tutte le notti, va a giuocare, come prima, come sempre; va a giuocare, sino all'alba. O sposa novella, egli vi ha, voi siete sua, voi siete un fior di bellezza, voi siete giovane, e siete sua, sua, sua; egli vi ha voluta e vi ha sposata e vi ha condotta via, e la notte egli non è con voi, egli giuoca, egli rientra alla luce chiara, egli dorme nella sua stanza, come se voi non esisteste, sposa sua, donna sua.... egli vi ha, e non vi pensa, non vi desidera, non vi vuole, non vi prende.... ah, ah, sposa novella, lady Diana Montagu, sir Randolph Montagu non v'ama, non v'ama, non v'ama....

«Paolo Ruffo».

 

 

«Ostenda, ventotto agosto

 

«Un'ora fa, al Cercle privé, alla tavola del trente et quarante, circondato da tre file di giuocatori o di spettatori, stretti attorno alle sedie dei giuocatori maggiori, sir Randolph Montagu, che è sempre attentissimo al suo giuoco, che non guarda mai i suoi vicini, che non leva mai gli occhi su coloro che gli son dirimpetto, sir Montagu si è fermato, un istante solo, dal giuocare, ha alzato un po' la testa, ha levato gli occhi e, fra le tre file di coloro che erano in piedi e ove mi pareva di esser perfettamente nascosto, indietro, come stavo, mi ha scorto, mi ha guardato, mi ha riconosciuto. il colore del suo volto si è alterato, un muscolo di questo suo viso si è mosso: solo, le sue palpebre hanno avuto un piccolo battito che io ho scorto benissimo: e, mi è parso, un lieve tremito nella sua mano, che toccava distrattamente le monete di oro e i biglietti di banca, a dinanzi. Non altro. Egli ha continuato a giuocare. Io son restato immobile, di fronte a lui, non volendo allontanarmi, non volendo aver l'aria di fuggire. Egli non mi ha mai più cercato col suo sguardo. Ma, prima, mi aveva visto e riconosciuto, perfettamente. Ho atteso, muto, fremente nel fondo del mio animo, una mezz' ora; dopo, naturalmente, mi sono aggirato due o tre volte nei saloni e, poi, sono uscito. Ho avuto la forza di far questo tranquillamente, con una calma perfetta: ho camminato lentamente, nei saloni, nell'anticamera e persino nella via che conduce a questo mio piccolo, ignoto albergo Bellevue, come se pensassi che egli potesse seguirmi, che egli volesse raggiungermi e che non dovevo, non dovevo aver l'aria di fuggire, davanti a lui. Ah io non fuggo, non fuggo, io sono un uomo, io non ho paura di un altr'uomo, io non ho mai avuto paura, io ho rischiato, due o tre volte, la mia vita, per meno assai di questo amore, io mi son battuto in duello, con avversarii temibili, io ho corso dei gravi pericoli, in viaggio, a cavallo.... ma, ecco, questa notte, io tremo tutto di una emozione invincibile, perchè sir Montagu mi ha riconosciuto, tremo per voi, Diana, tremo come un fanciullo e un terrore misterioso, per voi, Diana, fa battere i miei denti e mi vergogno anche di questo tremore, di questo terrore, ma so, so che è solamente per voi, Diana, che, per me, siete sospettata da vostro marito, voi, novella sposa, voi, innocente, voi, pura, voi, forse, Diana, siete in pericolo, per me, per la mia pazzia, voi che non mi amate, voi che non mi avete mai amato e io vi fo perdere la pace, io vi comprometto, io, forse, vi fo correre qualche pericolo, ignoto, non so bene.... Oh che notte passerò mai, io, qui, non sapendo se egli non sia rientrato subito all'albergo e non vi abbia risvegliata, e non vi abbia insultata, per me, voi, che non mi conoscete, che non mi conoscerete mai.... che notte atroce, tremando, io che non sono un vile, io che non calcolo la vita, io che la darei per voi, mille volte, tremando, io, vigliaccamente, puerilmente, per voi, Diana, innocente, pura....

«Paolo».

 

 

«Ostenda, trenta agosto

 

«Da quarantott'ore non esco da questa mia cameretta del Bellevue: l'alberghetto è celato fra le case della città, lontano dalla popolosa spiaggia e dal suo grande popolosissimo boulevard: l'unica mia finestra sovra una viuzza deserta: e qui mi chiamo Giorgio Costa: qui, non mi cercherà nessuno, non mi troverà nessuno. Da due giorni non esco: ho detto al cameriere che non mi sentivo bene, sebbene non avessi bisogno di medico: e mi portano in camera i pasti, a cui, quasi, non tocco, nutrendomi di caffè, di the, di qualche bicchierino di cognac, stordendomi col fumo di cento sigarette, passando dal mio letto alla mia poltrona, dormendo a sbalzi, sonnecchiando interrottamente, cercando di leggere, non comprendendo quello che leggo, cominciando delle lettere a Diana, che non continuo, perchè non so se gliele potrò dare mai, perchè non so più nulla, più nulla, più nulla, di lei, perchè anche la lettera ultima, con cui le dicevo che sir Randolph Montagu mi aveva scoperto e riconosciuto è qui, innanzi a me e queste parole istesse, questo diario della mia paura, quando, quando, quando lo leggerà ella mai?… Son qui, chiuso, nascosto, nascostissimo, come un criminale, come un ladro, come un assassino, come colui che abbia commesso un orrendo delitto ed è fuggito in una tana, in una grotta, a celarsi e ad ogni momento crede di esser ritrovato e preso.... Oh Diana e che m'importa, mai, se in un'aggressione io muoia o muoia Montagu! Oh Diana, con che furore mi azzufferei, con costui, che io odio, che io detesto, come vorrei che ci azzuffassimo, ci mordessimo, ci strangolassimo, io, lui, morendo per voi! Ma che solo un'ombra funesta passi nel cielo della vostra vita, per me, o Diana, ma che un essere umano possa credervi colpevole, Diana, per me, ma che qualcuno possa minacciarvi, Diana, ciò mi fa un tale orrore e mi un tale terrore, che io non oso più escire, di qui, temendo che egli m'incontri, di nuovo.... pensando, sperando, che egli non mi abbia visto, non mi abbia riconosciuto, la prima volta.... pensando, sperando che egli non sappia niente, di me.... sperando, sperando, per voi sola. Diana, che tutto questo sia un mio orribile sogno.... e che voi siate serena.... e che nulla sia accaduto.... questo sperando, io sono qui, prigioniero del mio sgomento e della mia speranza.... e forse, è vana ogni mia speranza ed è giusto il mio sgomento, per voi, perchè, forse, voi soffrite, per me, o mio giglio immacolato, voi soffrite per lui, che vi tortura e io sono qui, impotente e vile.... io non so nulla, non so nulla, so che debbo restar nascosto, niente altro, quanto tempo, non lo so....

«Paolo».

 

 

«Ostenda, due settembre

 

 

«Diana, la mia Diana, la mia povera cara Diana è partita da Ostenda, da cinque giorni, con suo marito, partita il seguente alla notte in cui egli mi ha scorto e riconosciuto nel salone della bisca. È con un'astuzia molto semplice e che mi è sorta in mente, solo dopo quattro mortali giorni di prigionia, in convulsioni spasmodiche del mio cuore e dei miei nervi, che qualcuno, dal mio albergo, ha domandato notizie, dal telefono, al Continental di sir e di lady Montagu: astuzia così puerile e che mi è apparsa solo ieri, quando non ne potevo più, quando ero deciso a tentar tutto, a osar tutto, ad affrontar tutto, pur di sapere la sorte della mia povera cara creatura di amore, di Diana.... ed ecco, in un istante, io ho saputo che ella non è più qui, che, da cinque giorni, è partita con lui. Non altro. È una notizia, netta e breve, che mi ha placato di colpo e che ha liberato la mia volontà. Sono stato un vile a restar prigioniero, quattro giorni, in una stanzuccia di albergo: ma vile per lei, vile per salvarla, vile perchè ella fosse tranquilla. Ella è partita. Dove, come, perchè è partita il seguente? Dove è andata? Dove l'ha condotta? Ma, ecco, io sono calmo e sono libero. Io posso escire, circolare, partire, viaggiare, raggiungerti in capo al mondo, o Diana mia.... ovunque tu sia, o Creatura del mio sogno e del mio desiderio.... ovunque egli ti abbia condotta.... ovunque egli voglia tenerti, chiusa, lontana, egli, il rapitore, il carceriere, il carnefice, ovunque io possa incontrarlo e, infine, affrontarlo, affrontarlo, io che ho avuto lo scorno, l'onta di tremare, per lui, e di celarmi, per lui....

«Paolo».

 

 

«Ostenda, tre settembre

 

 

«Sir Randolph Montagu e lady Diana, sua sposa, sono, appunto, partiti il ventinove agosto, a mezzodì, in una grande automobile da tourisme: faranno un grande giro in Olanda e, forse, anche in Germania. Non hanno lasciato indirizzo, al Continental, non conoscendo bene le tappe del loro itinerario. I loro servi, il domestico e la cameriera, sono partiti per l' Inghilterra, col grosso dei bagagli. Questa partenza è stata improvvisa. Tutto questo ho saputo io, personalmente, dalla bocca del portier dell'hôtel Continental: e null'altro, perchè null'altro sapeva quello che mi aveva informato. Sono escito, lentamente, dall'albergo, sul boulevard, sulla spiaggia, ove, ancora, con vivezza, con lietezza di gridi, brulicava la gente, brulicavano, sovra tutto, bimbi e bimbe, quasi ignudi nelle loro maglie da bagno, di colori forti: e mi è parso di vedere questo spettacolo la prima volta: e mi ha lasciato indifferente e inerte. Il mare del Nord aveva quel suo intenso color plumbeo: un sole piuttosto smorto vi batteva, sopra, senza mutarne le tinte: un grosso piroscafo nero si allontanava, fumando, verso le coste inglesi: inerte, atono, io considerava tutto questo che mi era estraneo e indifferente. Delle donne, in vesti ancora bianche, ancora chiare, andavano e venivano, rapide, sorridenti, ridenti, lungo il mare, battendo i tacchetti sul pier: dame, fanciulle, cortigiane. Qualcuna, credo, mi ha guardato e forse ha riso del mio volto di ebete e della mia goffa immobilità. Io son rimasto un'ora, molto più, senza più alcuna energia, senza più alcuna forza fisica, non sapendo più che cosa fare, che cosa pensare, che cosa decidere, dove andare.... Inerte: e inetto, inetto, così inetto a vivere....

«Paolo».

 

 

«Parigi, quindici ottobre

 

«La duchessa Spinelli d'Arco mi ha fatto promettere, ieri sera, quando l'ho lasciata, che, oggi, sarei andato al Bazar de charité, ove ella vendeva, a uno dei comptoirs di beneficenza, per i poveri della colonia italiana. Con quel suo bel riso che tanto ringiovanisce la sua bocca impallidita, mostrandone i denti bianchissimi e intatti, ella mi ha detto: È per i poveri italiani.... ma vi saranno delle belle italiane. Maria Spinelli ha, sotto le vivaci forme mondane, un cuore molto sensibile: ogni tanto, ella rammenta di discendere da quella nobile fanciulla napoletana, un'altra Maria Spinelli, che la leggenda vuole si facesse monaca, non potendo sposare colui che amava, il Pergolesi, per contrasto dei suoi austeri parenti: ogni tanto, la pia e tenera leggenda della sua antenata, rende pensosa la duchessa d'Arco. Ed ella ha compreso, in questa mia più lunga e più solitaria dimora in Parigi, che una intima e pungente cura mi tenesse: nulla chiedendomi, quando io andava a trovarla, ella ha tentato, con bontà, con grazia, di distrarmi, di consolarmi, senza troppo insistere, così come si sfiora con man leggera una ferita mal cicatrizzata. Io nulla ho detto a Maria Spinelli, perchè il segreto che io porto, nel fondo dell'anima, che è tutto il mio cruccio, ma è, anche, tutta la mia vita interiore, non mi appartiene. Un nome vi è congiunto: e mai io debbo dichiararlo a persona viva. E nulla ho detto, perchè questo doloroso amore non può esser consolato che da una sola creatura vivente: solo da Colei che lo ispirò, senza dividerlo, purtroppo, mai. Neppure a Dio io chieggo conforto: secondo la fede dei miei padri, Egli vede e sa le mie sofferenze, ma io amo la donna altrui, io sono in peccato mortale e per esser assolto e perdonato, dovrei non amar più. Debbo e voglio, or dunque, tener per me il mio segreto: e ne ho formato e ne formo ogni mio pascolo sentimentale, sia esso fatto di lacrime, di assenzio e di cenere. Nessuno sa niente: nessuno deve saper niente.... Solamente, coloro che mi voglion bene, come la duchessa Spinelli d'Arco, cercano di togliermi alla mia profonda malinconia, con gli svaghi del mondo, se non con i roventi piaceri della febbrile vita parigina. Io sono andato, dunque, al Bazar de charité, per far trascorrere un pomeriggio, per far contenta Maria Spinelli e per cercare, come ella dice, graziosamente, le nostre belle italiane, fra tante belle straniere.... più belle, le nostre italiane.... assai più belle....

«.... Faustina de Chambrun, cioè quella che, in Roma, si è chiamata, per venti anni, Faustina Ottoboni e, dopo, per la sua bellezza, per il suo fascino, il conte di Chambrun si è innamorato follemente di lei, Chambrun, giovane, simpatico, brillante, che l'ha sposata e condotta via, a Parigi: Faustina, in tre anni, ha conquistato Parigi e la sua società, Faustina, cette fleur de jeunesse et de beauté, coi suoi grandi immensi occhi azzurri, sotto la fronte bianca, sotto l'onda dei capelli neri, con una bocca florida del suo ricco sangue giovanile e una persona perfetta di linee, Faustina, di una eleganza inimitabile, a Parigi, proprio a Parigi, Faustina, dal riso paradisiaco.... ma fra le brume della lontananza e del ricordo, io veggo delinearsi un volto candido appena colorito di roseo e due occhi oscuri, come le oscure viole del pensiero e una piccola bocca serrata e una tristezza orgogliosa.... Anche l'altra italiana, Carla Busca, la nobile lombarda, dai lunghi occhi d'Oriente, dal viso scarno, dalla criniera biondo rossastra, dall'alta persona ieratica, Carla Busca ora piena di fuoco e ora misteriosamente languida, Carla, originale, eccentrica, perversa, che era, , accanto alla contessa di Chambrun, che donna seducente.... ma io evoco e mi riappare innanzi ai nostalgici occhi della mente un puro volto liliale, un volto composto e nobile e il suo gran silenzio, che nulla interrompe, rende più avvincente tanta nobiltà e tanta purezza.... e la duchessa d'Arco, istessa, così rosea nella sua delicata carnagione di rosa d'inverno, sotto i suoi capelli bianchi come la neve, così squisita nel suo toccante appassimento.... ma io veggo, sì, veggo, come se fosse vivente, innanzi a me, il mio grande giglio candido, un fiore di castità e d'intimo profumo spirituale, Diana, Diana! La contessa di Chambrun e donna Carla Busca erano allo stesso comptoir vendendo dei merletti, dei ricami, dei galloni, delle ceramiche, delle maioliche, tutte cose d'Italia: una ricca folla ondeggiava, dovunque, in tutto il Bazar de charité e s'infoltiva, sovra tutto, innanzi al largo banco des belles italiennes. Mi sono fermato, un poco, a chiacchierare con Faustina Ottoboni, rammentandole Roma — ella sospira, tace, poi scuote il capo e ride, ride in francese, come ella dice: io ho comperato qualche cosa da donna Carla Busca, che odora sempre di santal, quando una terza donna, una fanciulla, uscendo di dietro il banco, mi ha offerto una statuina gialletta di Signa:

«— È donna Oliva Sforza, Paolo.... — ha detto subito Faustina, facendo la presentazione. — Vivina cara, costui è Paolo Ruffo, un italiano, di Roma, un amico....

«Donna Oliva Sforza ha subito sorriso e tutto il suo vezzoso volto di brunetta, di un ovale così aristocratico, si è irradiato di quel sorriso, mentre i suoi begli occhi neri, sotto le fini sovracciglia diritte, scintillavano. Ella mi ha steso una manina inguantata di bianco, come era vestita di bianco la sua persona, e ha stretto la mia mano francamente. I miei spiriti smarriti non m'han fatto parlare, immediatamente, ma Faustina ha coverto la mia confusione, soggiungendo:

«— Oliva è mia ospite: di passaggio, purtroppo....

«E si è allontanata, per portare in giro, in vendita, i suoi merletti di Abruzzi, i suoi ricami siciliani. Io ho potuto, allora, pronunciare delle parole banali e fredde:

«— Non rimane, qualche giorno, ancora, a Parigi, signorina Sforza?

«— Oh così poco, ancora! — ella ha esclamato, con un vivo rimpianto. — Ho visto quasi nulla, qui.... ho tanto desiderio di vedere....

«— Non conosceva Parigi?

«— Oh no! — ha trillato la voce cantante di Vivina Sforza. — Io sono una ignorantella: io non ero uscita da Perugia, sino alle nozze di mia sorella Diana....

«— Ah! — ho esclamato io, voltando il viso in , per nascondere il mio pallore, il mio rossore.

«— Vado da lei, ora, in InghilterraVivina ha soggiunto, lietamente. — E vedrò Londra.... e l'Inghilterra.... resto un mese, due mesi.... forse più.... con la mia bella Diana. Non conosce, signor Ruffo, mia sorella, la mia grande sorella?

«— .... di vista.... da lontano.... — ho risposto, con un soffio di voce.

«— Non l'ha incontrata, in Roma? Se sapesse quanto è bella! Ora è maritata, signor Ruffo, con un diplomatico, inglese: è lady Diana Montagu, la bella lady Diana Montagu....

«— Ed è felice, anche, di queste nozze, la sua grande sorella? — ho osato di chiedere alla cara e schietta fanciulla.

«— Felicissima! — ha esclamato con vivacità Vivina, con un moto leggero delle sue sovracciglia. — Che potrebbe desiderare di più? Sir Montagu è perfetto, con lei. — Un po' freddo, forse.... ma è inglese, comprende, signor Ruffo? Ripeto, è perfetto, con Diana....

«— ....ella la raggiunge, dunque, in Inghilterra?

«— Sì, a Montagu Castle, nel Sussex: è una provincia inglese, vicina a Londra. Ora, son forte in geografia inglese! Diana mia, la mia buona Diana, è un po' sola, da due settimane: e rimpiange l'Italia e la sua famiglia, si sa.... Montagu che vuole una migliore residenza di Vienna, non vi è tornato e ha chiesto di restare, qualche tempo, a Londra, al Foreign Office: così passa la settimana a Londra e rientra dal sabato al lunedì, a Montagu Castle. Lei conosce mio cognato?

«— Un poco.... di vista....

«— Ha molti annisoggiunge, più lentamente, un po' pensosa, Vivina Sforza. — Ma li porta con eleganza.... son così eleganti, gli inglesi....

«— Le piacciono tanto, gli inglesi? Anche lei, ne sposerebbe uno? — ho l'audacia di dire a questa vezzosa fanciulla, con un accento affettuoso.

«Ella china gli occhi, pensa un istante, come scossa, e poi risponde, con un sorriso malizioso:

«— Per ora, nessuno mi vuole.... ma io preferirei sempre un italiano.

«— Meno male! — esclamo io.

«Ella tace, guardandomi fuggevolmente. Io compero non solo la statuina di Signa, ma un tappetino di Ciociaria, un covri-libro siciliano, da Oliva Sforza, la leggiadra sorella di Diana. Ella è così contenta! Ma io non oso parlarle più di nulla, non ho neppure il coraggio di chiedere alla contessa di Chambrun il permesso di andare a trovarla, per salutare Oliva Sforza, prima della sua partenza per l'Inghilterra. Forse la fanciulla l'attendeva, questa richiesta. Ma io avevo tanto, tanto bisogno di esser solo! Ho salutato le belle italiane, signore e fanciulle, senza dire altro: donna Oliva Sforza mi ha stretto la mano, un po' freddamente, pentita, forse, della sua improvvisa familiarità. Ma io volevo allontanarmi, fuggire. … Poco distante, ho baciato la mano alla duchessa Spinelli d'Arco, la mia amica discreta e tenera:

«— Avete salutato Faustina e Carla? Avete conosciuto la leggiadrissima Vivina Sforza? Carina, non è vero?

«— Carina — ho ripetuto, automaticamente.

«— Quante fanciulle vi sono, che potrebbero far felice un uomo.... — ha soggiunto Maria Spinelli, pensosa. — Ma gli uomini non le sposano.

«— Non le sposano, è vero.... — ho ripetuto, ancora, come una eco.

«— Gli uomini sognano.... sognano.... — ha mormorato Maria Spinelli.

«— Sognano.... sì — ho replicato.

«E la ho lasciata, libero, infine, di esser solo, nella via, solo, in vettura, solo a casa mia, nella mia stanza, per raccogliere i miei pensieri, i miei sentimenti, per raccoglierli intorno a Colei, per cui, da un tempo infinito, incalcolabile, sei settimane, languivo e agonizzavo, in silenzio e in solitudine, nulla più sapendo del Mio Bene. Ed ecco che la mia dolorosa vigilia, che la mia trafiggente pazienza d'amore hanno avuto il loro compenso. Sul mio cammino deserto, verso me, è apparsa la incantevole Vivina Sforza e la sua fresca voce e la sua anima nuova, tutto mi han detto della mia Euridice e io, solo, qui, posso schiudere le porte del mio cuore, e lasciarne fuggire la pena e riempirlo, ancora, di nuovo, di una fulgida speranza....

«Paolo».

 

 

«Parigi, diciassette ottobre

 

«Nel paese straniero ove voi dimorate, nella solitudine da cui siete circondata, vengano a interrompere il gran silenzio, che voi tanto amate, ma che, forse, talvolta, opprime e contrista il cuor vostro, Diana, Stella del mio cielo notturno, vengano queste mie lettere a portarvi la parola di un assente, di un lontano, di colui che una sera di agosto, in Ostenda, innanzi al gran mare nordico, nell'ombra, si è beato del vostro volto bianco nella notte, stella, stella mia, e, da allora non vi ha più riveduta, son giusto, questa sera, sette settimane, mai più, mai più, vi ho vista, stella Diana! Sono solo quattro lettere queste, ma quante egli ne ha scritte, in questa lunga serie di giorni pesanti, di giorni inutili e dopo averle serbate due o tre giorni, le ha rilette e scoraggiato, sfiduciato, profondamente deluso dall'assenza, dalla lontananza, dalla mancanza di vostre nuove, le ha lacerate. Ma voi immaginate quanto intenso e segreto dolore sgorgava in quelle lettere, che la sua stessa mano ha distrutte: lo immaginate, da queste lettere, in cui egli vi narra tutta la sua triste ventura, quando egli è fuggito vilmente, innanzi a sir Randolph Montagu, quando si è nascosto vilmente, per non farsi ritrovare da sir Montagu e tutto questo per salvar voi da qualunque periglio, da qualunque ingiuria, da qualunque sospetto: la sua triste ventura quando egli ha conosciuto la vostra improvvisa partenza da Ostenda, verso l'Olanda, verso la Germania: la sua triste ventura, quando un dubbio mortale ha paralizzato ogni sua volontà, poichè egli non poteva, non doveva seguirvi, nel vostro viaggio errabondo, in città piccole, ove sarebbe stato subito visto, osservato, riconosciuto: la sua triste ventura quando in un'incertezza mortale, egli è venuto a Parigi, così, per andare in una vasta e tumultuosa metropoli, per andare in una grande città di passaggio, chi sa.... chi sa.... per andare in una città cosmopolita, ove, forse, avrebbe appreso qualche cosa.... chi sa.... per andare, infine, in un paese ove avesse potuto trovare un viso amico, una mano amica, in un paese, infine, ove egli avesse potuto isolarsi, fra l'alto rumore della folla e la febbre della vita. Ah l'amarezza dell'isolamento, che quotidiana bevanda e come egli l'ha assorbita tutta, a lunghi sorsi, in Parigi, sei settimane, in Parigi, non avendo conforto dalle inebbrianti vertigini parigine, da qualche volto affettuoso, dalla discreta parola carezzevole di Maria Spinelli, da nessuno, un conforto, Diana! Voi siete passata di qui: forse vi siete rimasta due giorni: ma io non l'ho saputo: ma io non vi ho incontrata.... sino a che, l'altro giorno, la dolce messaggera, Iride, vostra sorella, Vivina Sforza giovine e smagliante, come Iride, mi ha aperto delicatamente il cuore, con la gran notizia. Diana, ecco le quattro lettere ove ho narrata la mia misera storia, sette settimane senza voi, luce mia, aria mia, sole mio, come dicea la canzone di Lucerna, come dice la canzone di Napoli, misera storia di un uomo che non può vivere senza voi. Diana, le lettere che vi invio e che, sono certo, capiteranno nelle vostre mani, perchè io so i giorni in cui siete sola, a Montagu Castle, perchè io so che i mariti inglesi non si occupano delle corrispondenze delle loro mogli, me lo hanno detto tutti, tutti, queste lettere mi precedono di pochissimi giorni. So dove siete, so come vivete: non posso restare più qui; e i pochissimi giorni io li concedo, non alla mia prudenza ma all'amor mio istesso, per non giungervi innanzi d'improvviso. Diana, io parto per Londra: io cammino verso voi, passo per passo, per raggiungervi, come è mio destino, come è vostro destino: parto per Londra e dopo verrò anche nel Sussex, a Montagu Castle: ci verrò, ci vengo e non importa che sir Randolph Montagu mi vegga, mi riconosca, mi affronti, e mi provochi e mi uccida, giacchè questa è la mia sorte ed è anche la vostra sorte. Diana, io vengo verso voi, per rivedervi, perchè siete l'essenza della mia anima, perchè siete il sangue del mio cuore e non posso vivere senza voi ed è meglio morire, che vivere senza voi....

«Paolo».

 

 

«Londra, Piccadilly Hotel, venticinque ottobre

 

«Diana, sono qui, da ieri sera, anelante, ansioso, da che ho lasciato Parigi. Appena la nave si è staccata dalle coste francesi, la mia esaltazione è cresciuta ed io ho attraversato la Manica, all'avanti della nave, per riconoscere subito le coste inglesi, fra le brume già fitte dell'autunno, e quando abbiamo toccato terra a Dover, mi sono precipitato nel treno, sono restato in piedi dietro i cristalli del mio vagone, guardando con occhi allucinati fuggire la campagna inglese, sotto i veli ondeggianti della nebbia, nell'ora crepuscolare, e il mio cuore batteva da rompersi, nel petto, quando io sono entrato in Londra e mi sono diretto a quest'albergo, nel centro della colossale città e sono penetrato nella mia stanza, al quarto piano: era come se vi dovessi incontrare, salutare, parlare, stringere la mano da un istante all'istante, e tremavo, tremavo.... Poi, lentamente, un gran freddo è disceso sul bruciore del mio sangue, un gran brivido è sopraggiunto a diradare la mia gioia. Un senso di novella delusione mi ha invaso. Sono qui. Niente altro. Voi siete nel Sussex, in un castello; poco lontano, ma infinitamente lontano: ma fra alte muraglie, forse, che vi chiudono; ma fra gli alberi folti di un parco profondo, alberi oscuri, alberi tetri, dei paesi nordici: ma prigioniera di tutto ciò, voi siete! Sono qui. Null'altro. E posso sino alla fine dei miei giorni, non vedervi mai più, luce degli occhi miei, aria del mio respiro, vita mia, vita mia!

«Paolo».

 

 

«Londra, ventisei ottobre

 

«Diana, Diana, datemi un segno! Un segno purchè io sappia che siete viva, costà, a Montagu Castle: che sapete, ancora, che io son vivo: che sapete, ancora, come io vi adori; che avete ricevuto le mie ultime lettere da Ostenda, da Parigi, e, ieri, quelle da Londra: che io possa sperare di vedervi, qui, non so come, non so quando, ma che vi vedrò: che io possa trovare il giorno propizio, l'ora propizia, il momento propizio, in cui io possa anche tentar di vedervi, costà a Montagu Castle.... un segno, Diana! Un segno! un segno!

«Paolo».

 

 

«Londra, ventisette ottobre

 

«È questo il segno, Diana? Possibile che sia questo il segno? Giacchè io ho incontrata, oggi, in Londra, Vivina Sforza, vostra sorella: oggi, un'ora fa, sul marciapiede a diritta, di Regent Street, ferma innanzi ad una vetrina di argenti. Era accompagnata da una signora anziana, vestita di scuro e dall'aria per bene, una governess, io credo. Stupito, commosso, ho rallentato il passo, cercando di non incontrarmi con vostra sorella. Ma ella si è volta improvvisamente, mi ha riconosciuto, e con la sua franca scioltezza, un po' arrossendo, un po' sorridendo, mi ha salutato, mi ha stretto la mano, quasi sembrandole naturale che io fossi in Londra.

«— Sono venuta a Londra per commissioni — mi ha spiegato presto, presto — ma ritorno fra un'ora a Montagu Castle.

«— È bello, Montagu Castle? — ho chiesto stupidamente, banalmente.

«— Stupendo! Una vera poesia.... — ha esclamato donna Vivina. — Perchè non viene a vederci? — Poi si è subito pentita: si è morsicato le labbra.

«— .... Debbo ripartire.... Non ho il bene di conoscere lady Montagu.... — ho soggiunto, con indifferenza.

«— Ah, è vero — ha detto lei senz'altro, pensosa, improvvisamente.

«Ci siamo salutati. Mi è parso che arrossisse di nuovo, un poco. È sparita con la muta governess. Diana, Diana, è questo il segno? Può essere, questo, il segno?

«Paolo».

 

 

«Londra, Piccadilly Hotel, ventotto ottobre

 

«Questo elegantissimo magazzino di fiori freschi, che è a sinistra del portone di Piccadilly Hotel, ha la sua bella bottega che si apre anche nel vestibolo dell'albergo, perchè i viaggiatori possano fornirsi di fiori, offre, da che io sono qui, ai miei occhi distratti, lo spettacolo dei fiori più delicati e più ricchi, una meraviglia floreale raccolta in vezzosi mazzetti, in fini branches circondate di capelvenere, e nulla stupisce e incanta di più che questi magnifici fiori, in Londra, in autunno … Essi hanno consolato la mia cura segreta, la mia sottile angoscia persistente, questi fiori: e oggi, oggi un'ora fa, essi mi hanno portato il segno, il vostro segno, Diana adorata, Diana celeste! O misterioso fluido dell'amore che mi ha condotto, un'ora fa, su questa terrazza coperta del Piccadilly Hotel ove si prende il the, si fuma, si guarda passare la folla incessante in Piccadilly, nei pomeriggi caldi di estate, nei pomeriggi tiepidi di autunno. Oggi faceva freddo: ma era una giornata di sole, era un glorious day inglese e sulla terrazza coperta, fra gli alberetti rotondi e scuri, che sorgono dai larghi vasi di terracotta, tutte le piccole tavole, lungo la balaustra di pietra, che sulla via, erano occupate, ed io ne ho occupata una, in fondo, tutto solo, avendo un po' freddo, ma penetrandomi dell'aria chiara, del cielo di un azzurro pallidissimo, ma libero, del sole di un biondo un po' smorto. Così, attraverso le masse dei pedoni che fluttuavano in Piccadilly street, attraverso le file che si rinnovavano, continuamente, delle automobili, degli autobus, dei cabs, ho visto giungere un'automobile e voi dentro di esso, voi, nella vostra sobria veste di un cupo azzurro, voi ricinta dalla grande sciarpa di ermellino, voi, sotto il bianco berretto di ermellino, voi, col vostro viso diventato cento volte più bello, cento volte più affascinante, voi, con la vostra regale persona, che si erge, con un gesto sovrano, voi, col vostro passo ritmico, armonioso, voi, che camminate come nessuna donna cammina, voi siete apparsa e discesa dalla vostra automobile, seguita dalla cara sorella, dalla leggiadra Vivina vostra, voi siete discesa e, nel discendere, i vostri oscuri occhi, così grandi, han cercato, sì, han cercato se io fossi sulla terrazza, come se lo sapeste, come se lo indovinaste; e dopo tanti innumerevoli giorni, i nostri sguardi si sono incontrati, di nuovo, si sono incontrati e uniti, mentre io mi sentivo morire di un'ebbrezza suprema: dopo un momento di esitazione, io vi ho visto penetrare, non nell'albergo, ma nella bottega del fioraio, insieme a Vivina, così carina nella sua breve giacchetta di pelliccia nera, sotto il suo berretto nero, un fiore di giovinezza, Vivina vostra, e voi, mia superba donna, voi, mia magnifica signora, voi, mia magnifica regina! Io ho scosso quella paralisi delle mie forze fisiche che, quasi sempre, m'impietra innanzi a voi, mi sono precipitato per le scale dell'albergo, palpitando e fremendo, e son giunto nel vestibolo e son restato fermo, presso un tavolino, ove la gente si ferma ad aspettare od a scrivere, fermo con gli occhi fissi sul cristallo di quella porta del fioraio, che sul vestibolo di Piccadilly Hotel. Confusamente, io vedevo la vostra figura, tutta vestita di un bruno azzurro, ma avvolta, in alto, nell'ermellino bianco, volgermi un po' le spalle, curvandosi sui fiori disposti sul banco, come cercando, come scegliendo, e trepidavo, stretto alla gola da un nodo di spasimo, di voluttà, di speranza. La porta del fioraio si è schiusa; avanti, è apparsa Vivina, portando nelle braccia un grande fascio di orchidee stupende; più indietro, voi, portando dei fasci di rose, rose bianche, rose rosse, fiori mirabili venuti da Nizza, dal Cairo, non so, fiori mirabili, che Vivina teneva leggermente e che voi stringevate sul petto, sul candore dell'ermellino e le rose vi lambivano il volto. Vivina mi ha visto, e si è arrestata, un istante: il suo bel volto si è colorato di quel gentile rossore di quando ella mi vede; e con un sorriso grazioso ha risposto al mio profondo saluto. Eravate più indietro, voi, ma mi guardavate e mi avete salutato con la testa e per la prima volta, la prima volta, la prima volta, ho visto volare, per un secondo, il sorriso sulla vostra bella bocca. Come un lieve baleno di luce, come il battito di un'ala, tale sorriso: e nell'emozione invincibile, che mi ha fatto struggere di dolcezza, voi siete uscita nella via, siete salita in automobile con Vivina, siete sparita. Questo è un giorno memorabile, Diana. Io debbo ricordarlo, e se l'anima mia vivrà oltre la tomba, lo ricorderà ancora: voi mi avete sorriso. Io mi prostro e bacio il lembo della vostra veste. Voi mi avete dato il segno, voi siete venuta: voi mi avete salutato, voi mi avete sorriso. Io mi prostro, come innanzi a Dio, e benedico il giorno in cui voi siete nata, e l'ora in cui vi ho udita cantare nella sera di primavera, e benedico tutto il mio dolore e ogni mia lacrima, e mi prostro, mi prostro, mi prostro....

«Paolo Ruffo».

 

 

«Sherborne (Sussex), tre novembre

 

«Il veroncello della mia stanza, in questo lindo piccolo albergo della Rosa di York, è circondato, quasi nascosto dalla folta verdura delle piante rampicanti, che salgono dal florido giardino dell'albergo, lungo la facciata, che ne nascondono il color rosso di mattone stinto e che formano delle cornici fresche, alle finestre e ai balconi. Non debbo escir fuori, sul veroncello, appoggiarmi alla balaustra antica, di legno di quercia, per poter scorgere, alla mia destra, in fondo, in alto, non vicino ma non lontano, visibile bene ai miei occhi acuti, Montagu Castle, che si erge, sulla collina e il suo parco di olmi e di faggi, di un verde intenso, sale a celarlo, in parte. Qui, sotto i miei occhi, il paese di Sherborne si distende, con le sue vie un po' arcaiche, con le sue case dello stile di Elisabetta, la Vergine Rossa, ma con le sue industrie e i suoi commerci agricoli, in continuo fervore: e la Rosa di York vede andar e venire mercanti e agricoltori e commessi viaggiatori, nessuno trattenersi troppo e tutti discorrere di affari e di contrattazioni, nel salone terreno, innanzi a grandi tazze di ale. Io ho scoverto Sherborne, Diana! Esso è dirimpetto a Montagu Castle, ma fuori di ogni vostro contatto, fuori di ogni vostro cammino: ma per andare a Londra, in automobile, voi dovete passare da vie opposte, ma per giungere da Londra, in automobile, sir Randolph Montagu deve prendere tutt'altra via: e la stazione di Sherborne è sovra una linea secondaria, che non ha rapporti con Montagu Castle: e Montagu Castle ha la sua stazione di Bordon Camp, dall'altra parte, sovra una grande linea. Ho scoverto Sherborne, io, Diana, io, il temerario, io, l'audace vostro innamorato, che non ho potuto pazientare un giorno solo, a Londra, dopo avervi visto uscire dalla bottega del fioraio, in Piccadilly, ove le rose lambivano il vostro viso e un sorriso lievissimo è apparso e scomparso con un balenìo soave, sulla vostra bocca! Oh ma io sono stato prudentissimo, astutissimo, nel mio delirio di raggiungervi, Diana, di venire, nel Sussex, in questa grande e verde e poetica campagna inglese, presso a Montagu Castle, io ho avuto delle finezze di poliziotto, io, il folle innamorato e ho saputo, certamente, le consuetudini di sir Randolph Montagu, a Londra, le sue ore di lavoro, al Foreign Office e la stanza di bachelor che occupa, per cinque giorni della settimana, al Wellington club, al suo antico club e l'ora in cui parte, il sabato, nel pomeriggio, per Montagu Castle e l'ora in cui ritorna, il lunedì, a Londra.... tutto io so, minuziosamente, come se fossi un uomo ragionevole e calmo e non un pazzo di amore, per voi, Diana Sforza! E ho studiato, io, come se fossi un geografo, come se fossi uno stratega, tutta la carta del Sussex.... oh amor mio, con quanta profonda attenzione, per potermi appressare alla mia Divina Donna, per esserle vicino, per respirare ove Ella respira e non essere scorto e non essere scoperto! Una notte intiera, ho trascorso, in questo studio acuto, comparando la carta e le sue linee e i nomi dei suoi paesi, con la rete dei treni inglesi.... una notte intiera e ho trovato Sherborne, qui, qui, Sherborne che era, per me, il paese ideale e sono venuto a Sherborne e Sherborne mi tiene.... Dalla soglia del mio veroncello fiorito, aguzzando gli occhi, io intravvedo le vostre grandi finestre, in alto, oltre le cime degli olmi e dei faggi, in alto, non molto lontano, ma da un'altra parte: e il mio occhialino mi riavvicina a Montagu Castle e a voi, Creatura del mio amore, come se mi foste presente, accanto. Qui, all'alberghetto della Rosa di York mi han chiesto solo il mio nome e se contavo restare qualche giorno, con quella parsimonia cortese di domande tutta britannica, quella parsimonia che tanto conviene a me e al segreto della mia vita. Io mi chiamo, a Sherborne, come a Ostenda, Giorgio Costa, dal nome di mia madre, Giorgina Costa: ho detto che mi trattenevo una settimana. E tutti sono freddamente gentili con me e il domestico mi serve con tacita premura e io non chiedo di più. Quanto son temerario, non è vero, non è vero, Diana? voi, Anima cara, sir Randolph Montagu, venite, verrete, dovete venire, da queste parti: Sherborne esiste, ma non vi riguarda: voi non conoscete, non conoscerete le vie di questo paese, la Rosa di York, lo strano e muto viaggiatore italiano che vi è giunto, ieri sera, che parla le sue poche, pochissime parole inglesi con un accento esotico e preferisce tacere, che non è un mercatante, un farmer, un commesso viaggiatore, che non esce dall'albergo, che passa la sua giornata nella sua stanza.... Dal veroncello suo si scorge un piccolo lago bigio chiaro di Montagu Castle, fra gli alberi del suo parco.... Temerario, temerario, poichè oggi, domani, il Caso, l'Occasione, possono rovesciare e distruggere l'edificio mio leggero.... poichè oggi, domani, qualcuno mi vedrà, io lo sento, in fondo al mio spirito, ma sono qui, alla mia vedetta, guardando le muraglie del vostro castello, le vostre grandi finestre e vivo di tutto questo e senza tutto questo, morrei....

«Paolo Ruffo».

 

 

«Sherborne (Sussex), quattro novembre

 

«È sabato sera, Diana. Tutte le finestre di Montagu Castle sono illuminate: io ne scovro quattro al secondo piano, due al primo. Sir Randolph Montagu è, certamente, giunto da Londra, qualche ora fa, per il suo week end in famiglia. Avrà portato seco degli amici, come fa, quasi sempre. Vi è gran pranzo, dunque, da voi: e, dopo, mentre gli uomini maturi fumano e bevono, Voi e Vivina farete musica, o canterete, per i giovani, credo.... o Diana, mi struggo di amore, di tristezza, di desiderio e di gelosia, qui, solo, solo, in una stanzetta di alberguccio, in un paesetto d'Inghilterra, fissando freneticamente le vostre finestre splendenti col mio occhialino e gli occhi mi si abbagliano. Mi struggo di amore e di gelosia, Diana....

«Paolo».

 

 

«Sherborne (Sussex), cinque novembre

 

«Stamane, domenica, la maid dell'albergo, prima di portare via il vassoio del mio caffè e latte, mi ha domandato discretamente se io, essendo italiano, ero cattolico. Ho risposto di sì, un po' sorpreso: ed ella, sempre con parole discrete e semplici, ha subito soggiunto che vi era, nelle vicinanze, una chiesetta cattolica, s'io volevo recarmi alle funzioni domenicali. Il boy dell'albergo era pronto ad accompagnarmici. Ho ringraziato: ho detto che mi sarei deciso, più tardi. E una sorda agitazione mi ha tormentato, da quell'istante. Una cappella cattolica, poco lontana, una cappella della mia, della nostra religione, Diana! Una cappella cattolica e voi siete restata tale, Diana! E voi, forse, stamane andrete a messa, colà, qua, nelle vicinanze, con Vivina, andrete, forse, Vivina è cattolica come voi, con lei, andrete e senza sir Montagu che è protestante? Andrete. … andrete? Che pensare, che credere, che decidere? Potrei vedervi, sola, senza lui, in chiesa? Potrei incontrarvi sulla porta della chiesa e darvi l'acqua benedetta? E Vivina, Vivina, che direbbe? Potrei nascondermi, forse, dietro una siepe, fra gli alberi e vedervi passare, al ritorno? Ma vi andrete? E non vi accompagneranno altri? Non so, non so.... non so niente.... non posso saper niente.... non posso far niente.... debbo torturarmi, qui, innanzi a questa carta, che vi giungerà solo domani e il tempo fugge e fugge l'occasione bella....

«Paolo».

 

 

«Sherborne, cinque novembre

 

«Diana, è sera. Ritorno dalla cappella del Redentore, dove sono andato nel pomeriggio condottovi da un ragazzo dell'albergo, Joe, un boy simpatico e svelto. Un'ora di strada, a piedi, da Sherborne, dalla Rosa di York: fra grandi boschetti di faggi e larghe praterie su cui ondeggiava in quest'ora crepuscolare una nebbia sottile, fredda e penetrante. La cappella era aperta, per i vespri domenicali: è alle porte di Barnes, come sapete, e a Barnes, vi sono, per un caso strano, delle famiglie cattoliche. Si pregava, in chiesa. Delle vecchie donne, delle ragazze, dei bimbi, rispondevano alle preghiere del prete, sull'altare: poi, hanno detto il rosario. Voi non vi eravate, Diana. Ma vi eravate stata, stamane; lo so, l'ho saputo. E mi consumo talmente dal desiderio di vedervi, che non ho potuto resistere e sono andato, alla cappella del Redentore, dove voi avete inteso la messa e pregato, stamane, quasi per riconoscere la vostra presenza, quasi per ritrovare la vostra traccia, quasi per sentire, nell'aria, per vedere, nell'aria, qualche poco del vostro fluido, Diana.... Vi sono andato, a piedi, e vi sono rimasto mezz'ora: ho preso l'acqua benedetta, dove forse la vostre dita si sono immerse: mi sono inginocchiato innanzi al banco signorile, che porta lo stemma della città di Barnes, chi sa, forse, colà, vi siete inginocchiata anche voi: ho cercato di raccogliermi, celando il viso nelle mie mani, ho cercato di pregare, ma è la vostra figura che mi è apparsa, con tutte le sue grazie, è il vostro volto che mi è apparso, con tutte le sue seduzioni, sono stati i vostri oscuri occhi così tristi e così fieri, che mi han guardato, con soavità, a Londra, è stata la vostra florida bocca su cui ho visto alitare un sorriso, a Londra. … oh io vorrei morire, di gioia, di ebbrezza, per un bacio di quella bocca.... A testa bassa, nell'ombra, nel freddo, sono tornato a Sherborne, col boy che correva allegramente innanzi a me, ma io vedevo quegli occhi, nella nebbia della sera, io vedevo quella bocca, innanzi a me.... Oh Diana, morire per un bacio! Splende di lumi Montagu Castle: e io deliro, qui, verso un vostro bacio, mia donna, mia donna che siete di altri: deliro e non so che sarà di me e di voi, forse, di voi, in questo mio delirio....

«Paolo».

 

 

«Sherborne, sette novembre

 

«È notte. Io rientro nella mia stanza dell'albergo, tenuemente illuminata da una lampada velata, resa tiepida dal buon fuoco di legno, che arde sotto la cenere del mio caminetto. Io tremo di freddo e di stanchezza.... Io ho passata tutta la sera, nell'oscurità, sotto gli alberi di Montagu Castle, aggirandomi nel vostro parco, venendo quasi, temerario, pazzo che sono, a sfiorare le mura del vostro castello, quasi a farmi divorare dai vostri grossi cani di guardia che, per fortuna, eran legati nelle loro cucce di legno e ringhiavano. È martedì, sir Randolph è a Londra; lo so, lo sapevo, stamane, e da due giorni premeditavo di venire, costà, di penetrare, costà, di giungere sino alla vostra dimora, di toccarne la soglia e di varcarla, sì, di varcarla, forse, chi sa.... Lo premeditavo così profondamente, che null'altro pensiero ho avuto, per due giorni, che varcare la distanza lunga che divide Sherborne da Montagu, scendendo nella valle e risalendola, verso il castello, che introdurmi nel vostro parco, il quale non è cintato, il quale confina con la campagna aperta, con i suoi filari di alberi e le sue siepi facili a scavalcare.... Sono partito alle cinque di sera, dicendo che andavo a Barnes e che sarei tornato tardi, nella sera: è mezzanotte e io ho camminato quasi sempre, per queste sette ore, appressandomi a voi, aggirandomi intorno a voi, sempre più avvicinandomi a voi, per queste grandi vie di campagna, ma deserte e gelide, nella notte, per i larghi sentieri del vostro vasto parco, pieno di ombre nei posti più lontani, qua e illuminato, presso il castello. Sette ore, Diana, ho camminato, sono stato in piedi, non sentendo il freddo della notte, respirando la nebbia, trovando la mia strada miracolosamente, giungendo fin quasi alla vostra porta.... Non avete udito i vostri cani? Qualcuno deve averli uditi abbaiare fortemente, per poco: poi, ringhiare a lungo. Io mi sono allontanato, cautamente, come ero giunto: ma non sono partito, sono rimasto sino a tardi, andando di qua e di , non sapendo allontanarmi.... Ad uno ad uno si sono spenti tutti i lumi nel castello ed esso è diventato un'ombra nell'ombra: io sono partito, lentamente, voltandomi ancora, nella notte, a guardare quelle mura di pietra, ove voi siete chiusa.... Ho camminato, ho camminato tanto, per tornare, qui; ho perduto due volte la mia via, nella oscurità, e sono giunto, stanco, stanco morto, in questa mia camera, così confortevole, con la sua luce tenue, col suo tepore: ma ho un freddo che mi fa battere i denti, malgrado il grande ceppo che ho messo nel caminetto e che arde, arde: ma ho una tale stanchezza che non posso levarmi da questo seggiolone, per mettermi a letto. Sette ore, Diana, sette ore, nella notte, nella campagna, nel parco, sotto il castello dei Montagu, come un pezzente, come un ladro.... oh che gelo, nelle mie ossa e nel mio cuore, Diana!…

«Paolo».

 

«Sherborne, otto novembre

 

«Quello che io temevo, con presago cuore, è accaduto. Stamane, alle undici, in Sherborne, mentre io esciva, dall' ufficio postale ove era andato a impostare, per voi, l'ultima mia lettera, ho incontrata donna Vivina Sforza, vostra sorella. Essa era in un buggy e guidava lei un vispo cavallino, avendo accanto un groom: io l'ho vista giungere di lontano, dall'altro capo della via e mi son fermato, incapace di fare un passo, più, per rientrare nell' ufficio postale, per nascondermi: ho sperato che procedesse innanzi, col suo carrozzino, al passo rapido del cavallino. Ma ella, invece, si è fermata davanti al magazzino di merletti inglesi, che è accanto alla Posta, ha gittato le redini al groom ed è discesa prestamente. Allora, mi ha visto. Oh Diana, i suoi occhi si sono spalancati per una sorpresa grandissima: e il suo volto si è trascolorato. Perplesso, smarrito, io non ho fatto che salutarla: ella mi ha reso il saluto, con uno smarrimento forse maggiore del mio.... Diana, perchè vostra sorella impallidisce o arrossisce, vedendomi? Perchè non le sono indifferente? Sa chi sono? Sa chi sono? Lo sa? Lo sa? Vostra sorella? Glielo avete detto? Ha trovato, ha visto qualche mia lettera? Ha indovinato qualche cosa? Perchè mi guarda così stranamente? Perchè muta di colore? Mi odia, forse, perchè io insidio la vostra pace? È una egoista, Vivina? È una perfida? È una stupida? Perdonatemi, perdonatemi, ma l'incontro di stamane mi ha sconvolto, perchè io non conosco Vivina, non so il suo animo, non posso apprezzare il suo carattere e i suoi sentimenti. Che avrà pensato, vedendomi a Londra, ove non aspettava d'incontrarmi? E, qui, a Sherborne, a Sherborne, in un piccolo paese d'Inghilterra, dove non vi è nessuna scusa, perchè io vi sia e non vi è che una sola ragione, l'amore? Che avrà pensato? Si è dominata, poi, stamane ed è entrata nel magazzino dei merletti inglesi, ove è restata un po': nel suo buggy mi ha raggiunto, mi ha sorpassato verso la fine della grande via: andava più lentamente: si è voltata a guardarmi, con un'occhiata lunga, scrutatrice, mi ha salutato con un cenno vago, della testa. Che farà, che dirà, Vivina, di me, a Sherborne? È capace di denunziarmi, di denunziarvi, Vivina, a vostro marito? È una traditrice, Vivina?

«Paolo».

 

«Sherborne, nove novembre

 

«Diana, Diana, perchè non vi vedo, mai, mai, da una settimana che sono qui e voi lo sapete? Perchè restate chiusa nel vostro castello e nel vostro parco, ove io ho osato penetrare solo una notte e non oserei, mai, di giorno? Perchè non uscite, non passeggiate, non circolate, in vettura, in automobile, in treno? Da due giorni, senza freno, io vi cerco su tutte le vie che circondano Montagu Castle, avvicinandomi per quanto io più possa, io vi cerco a Sherborne e a Barnes, chi sa, chi sa, come Vivina, vi foste, io vi cerco nelle due stazioni di Kettering e di Granville per cui si parte, per Londra, io son tornato alla cappella del Redentore, presso Barnes, ma era chiusa, poichè essa si apre solo la domenica. Dove siete? Che fate? Vivete? Vivete? Io non so più se siate una creatura vivente, io dubito di me, dei miei occhi, della mia ragione, della mia anima, in alcuni momenti, non so se siate mai esistita, poichè non vi vedo più! Diana, da sette mesi vi amo, vi scrivo, vi seguo: da sette mesi non ho più patria, casa, famiglia, per voi: da sette mesi sono un pellegrino d'amore, un vagabondo d'amore, un mendico di amore: e sono in fondo a un paese ignoto, obbliato, fra gente di un'altra razza, di un'altra lingua, di un'altra fede.... e voi, voi, non mi avete mai corrisposto, non avete mai risposto alle mie lettere, le più ardenti e le più umili, voi ora, in questa mia tappa fra le più bizzarre e le più dolenti, vi serrate nel vostro silenzio e nel vostro orgoglio, più che mai, vi celate nella vostra dimora patrizia, vi nascondete in consuetudini che io ignoro, mi sfuggite, mi sfuggite, come non mai, perchè, perchè Diana, non vi vedo, non vi posso vedere, anche da lontano, anche in un'apparizione fugacissima? Oh Diana, Diana, che orgoglio, che indifferenza, che gelo, nella vostr'anima!

«Paolo».

 

 

«Sherborne, dieci novembre

 

«Dall'alba, piove dirottamente. Un velo fitto di pioggia chiude questa piccola casa della Rosa di York e la divide dalle altre di Sherborne, anch'esse scomparse dietro la pioggia, dentro la pioggia. Fa freddo; fa umido; il cielo è basso, con le sue nuvole grosse, pesanti e oscure, da cui la pioggia cade, rapida, folta, battente, con scroscio forte ed eguale, da quattr'ore. Io sono qui, nella mia stanzetta ove arde, sempre, il mio buon fuoco di legna secche e fragranti, unico conforto delle mie vene gelate, del mio cuore gelido: quando respiro, il fiato che esce dalla mia bocca diventa una nuvoletta lieve di vapore. Qui dentro, sono prigioniero della pioggia: poichè invano, da stamane, io tento di scorgere, dai cristalli del mio balconcino circondato di verdura, le linee, almeno le linee di Montagu Castle. Neppure le linee, Diana, io ne posso vedere, a malinconico e sterile conforto della mia desolazione, in questa giornata di prigionìa. Montagu Castle è sparito dal Sussex, dall'Inghilterra, dal mondo: Montagu Castle non esiste. Che farò, io, con la mia povera anima solitaria, con il mio povero cuore deserto, ove il mio amore è un lago nero, senza onde e senza riflessi, che farò io, carcerato, oggi, con la mia anima dolente, col mio cuore dolente, con il mio amore senza speranza e senza più forza di nulla desiderare? Che sarà di me, in questa giornata tetra, cupa, fredda, in questa stanza in cui l'aria si aggrava e in cui son solo, lontano dal mio paese, dalla mia famiglia, da Lisa mia? E voi, Diana, che fate voi, a Montagu Castle, il castello fantasma, su cui più greve si abbassa il cielo pesante di nuvole, a cui la pioggia, intorno, mette un cerchio fatato, fatale che lo chiude? Come vivete voi questa giornata orrenda, voi che siete, come me, del paese ove un sole di oro scintilla in un cielo azzurro? Avete acceso un immenso fuoco nei vasti caminetti di pietra? Si fa tiepida ma quasi irrespirabile, l'aria, intorno a voi? E che fate? Che fate per voi, per chi è con voi, per far trascorrere l'orribile giornata? Pensate, leggete, fate musica, cantate? Cantate, forse? Ah quella voce, quella voce sonora, grave, toccante, perchè ho dovuto udirla, in Roma, la voce che chiamava Euridice, il suo bene perduto, quella voce penetrante di ardore, di passione, perchè ho dovuto udirla, quando diceva che Ninetta dormiva.... che Ninetta era morta…? Ah non avessi mai udito voi cantare, Diana, che mi avete fatto bere un filtro possente, nella vostra voce.... Diana, che siete Isotta.... e almeno Tristano fu amato, fu amato....

«Paolo».

 

 

«Sherborne, dieci novembre

«La campagna e i paesi e i borghi, stamane, si sono risvegliati in un immenso flutto di nebbia. Non piove più, da ieri sera: ma le nuvole si sono trasformate in un mare di nebbia, dentro il quale salgono, a renderlo più denso, i fumi e i vapori della terra bagnata. L'aria è bigia: la luce è bigia. Non si ode un rumore. Non si ode un passo, non si vede un'ombra. Ieri, prigioniero della pioggia: oggi, prigioniero della nebbia. E questa, mi si è detto, può durare settimane e mesi. Diana, sono stanco, triste, malato: una pungente nostalgia mi trafigge, della mia patria, di coloro che mi amano, laggiù, da cui io sono lontano, ed essi non sanno la mia ventura. E ogni mia stanchezza, ogni mio male, ogni mia nostalgia, sarebbero guariti dal balsamo sublime dell'amor vostro, o Donna: e ogni mio morbo dell'anima e del corpo si sanerebbe, solo che la vostra divina presenza mi fosse concessa. Ma voi non mi amate, non mi volete amare, non mi potete amare: ma, voi, da che io sono qui, in un paesello inglese, struggendomi di vano desiderio, struggendomi d'inutile ansietà e ora, consumandomi in un languore mortale, non avete più voluto apparirmi e io ne ignoro la causa e tutto è mistero.... Oh che nostalgia di amore è quella di cui io soffro, Diana, e non posso più reggere senza l'amor vostro e non so più vivere senza il vostro viso e sono stanco di una invincibile stanchezza, sono triste di una tristezza infinita e malato, infine, malato di solitudine, di miseria morale, di disdegno vostro, di abbandono vostro....

«Paolo».

 

«Sherborne, undici novembre

 

«Mando questo biglietto a mano, a Montagu Castle, per lo svelto boy dell'alberghetto. Lascerà il biglietto per voi, senza dire donde proviene. Non posso attendere che la posta ve lo porti, domattina. Non posso! Voglio pregarvi oggi, in ginocchio, perchè veniate domattina alla messa, alla cappella del Redentore, presso Barnes. Ve ne scongiuro, per tutti i vostri morti, Diana: per tutti quelli che amate, sulla terra, Diana: per la nostra patria lontana: per lo stesso nostro paese: per tutto quello che ci unisce, di razza, di sangue, di sentimenti, di costumanze; Diana, venite, domattina, alla chiesa. Non posso più continuare a vivere, senza vedervi: non posso! Mi nasconderò dietro il boschetto di olmi, sul limitare della via che va a Barnes: nessuno mi scorgerà. Io vi vedrò passare: non altro, Diana, perchè io viva! Fatemi vivere, Diana! A domattina, Diana, per carità di un uomo che vi ama e che non può seguitare a vivere, così, senza il sorso d'acqua della vostra presenza, un istante, un istante solo....

«Paolo».

 

 

«Sherborne, dodici novembre

 

«Non siete venuta alla messa. Vivina è venuta. E quando, da dietro agli alberi folti ove io mi ero celato, ho veduto giungere il buggy che ella guida ed ella discendere sola, lasciando le redini al suo groom, e penetrare, sola, nella chiesa, non ho avuto più nessun ritegno e sono entrato io stesso, in chiesa, liberamente, come un uomo che non ha nulla da temere. Vivina era molto avanti, nella cappella, presso l' altar maggiore, inginocchiata innanzi a quel banco signorile, di legno, col capo curvo sul suo libro di preghiere. Io era molto indietro, in piedi, appoggiato a uno dei pilastri che sostengono la loggetta dell'organo. E non mi sono raccolto nella preghiera o nella meditazione: non ho udita una sola parola del sacerdote: e i suoi gesti mi sono parsi lenti e fastidiosi. Fremevo, dentro, di dolore, di collera, sì, anche di collera, perchè voi non siete venuta, in chiesa: e fremevo d'impazienza, anche, perchè finita la messa, io potessi avvicinarmi a Vivina Sforza e parlarle e interrogarla, non sapendo più resistere a tanto mistero, a tanto silenzio, a tanto abbandono. Ella non mi ha visto, prima: e ha pregato, intensamente, mi è parso, con quella vera pietà religiosa che è nelle anime giovani. Si è creduta sola, fra inglesi della sua religione, ma non della sua razza e si è data alla preghiera, tutto il tempo della messa e anche un poco dopo. Ha fatto un largo segno di croce, salutando l' altare e si è avviata alla porta. Sulla soglia, di fianco, io l'aspettava. Ella era in penombra: non ho potuto scorgere il suo viso: ma mi è parso che ella facesse un moto, indietro, vedendomi. Forse, per la sorpresa. Io l' ho salutata, le ho steso la mano: un istante, ella ha lasciata la sua, nella mia, molle e, mi è parsa, un po' tremante. Ma essa sorrideva, con un caro sorriso di bontà e di lietezza: e restava, in piedi, presso me, sorridendomi.

«— Tempo inglese, donna Vivina! — ho detto io, facendo un gran sforzo, per sorridere, per parlare.

«— Brutto, brutto! — ha esclamato Vivina, con una smorfia. — E pensare che durerà molto.... chi sa quanto....

«— Lei rimane, ancora, a Montagu Castle? — ho domandato, io, con una cortesia fredda.

«— Sì, ancora tre settimane — ella ha risposto, guardandomi un poco. — Dopo, parto per l'Italia: ho la sorellina Anna, sola e i fratelli....

«— A Roma, non è vero, donna Vivina?

«— Oh non a Roma! — ella ha esclamato, malinconicamente. — A Perugia, ove è casa nostra.... non a Roma.... purtroppo....

«— Perugia è assai bella.... — ho soggiunto io, vagamente.

«— Conosce? Conosce Perugia? — m' ha chiesto, con ansietà gentile.

«— Un poco....

«— Vi ritornerebbe? Vi ritornerà? — m' ha chiesto, precipitosamente. Poi se ne è pentita: ha arrossito: ha chinato gli occhi.

«— Vi ritornerò, certo.... più tardi — ho detto io, sempre freddo.

«— Resta in Inghilterra? — ella ha chiesto, timidamente.

«— No: parto — ho soggiunto senz'altro.

«— Ah! — ha esclamato lei, a bassa voce, come se non osasse chiedere altro.

«E, vedendo che il colloquio cadeva, non ho saputo contenermi.

«— Lady Montagu sta bene?

«— Dice di star bene mia sorella: ma a me, non pare.... — ha mormorato la fanciulla, come se parlasse a stessa. — Non vuol confessarlo: ma il clima le fa male.

«— Perchè non vuol confessarlo? — ho insistito io.

«— Per non dispiacere a suo marito, sir Randolph, che è inglesissimo e adora naturalmente il suo paese.

«— Lady Montagu ama molto suo marito?— ho osato chiedere io, senza pentirmi dell'audace inchiesta.

«Un po' pensosa, ma semplicemente, Vivina Sforza mi ha risposto:

«— È una donna di grande virtù, mia sorella. Sono certa che essa rispetta profondamente sir Montagu.

«— Egli lo merita — ho detto io, a denti stretti.

«— Sì. Stamane, ella non è venuta a messa, per non dargli noia. Egli la lascia libera, molto, nella sua religione.... Ma qui, Diana, per delicatezza.... si astiene un poco.... comprende, Ruffo? In Italia, è altra cosa....

«— E quando verrà, in Italia, lady Montagu? — ho chiesto io, insistendo.

«— Chi sa.... chi sa.... — ha mormorato Vivina, sempre più pensosa.

«Tutti si erano allontanati dalla chiesetta, per diverse vie: lo spiazzale erboso era deserto. Restavamo soli, Vivina ed io, col groom che teneva pel morso il cavallino del buggy, il quale scalpitava. E, a un tratto, Vivina mi ha detto, come se non potesse più frenarsi:

«— Avrei tanto voluto presentarla, Ruffo, a mia sorella.... far fare loro una buona conoscenza.... non ho potuto.... che peccato!

«Ed ha taciuto, subito dopo, guardandomi coi suoi begli occhi dolci e lieti.

«— Sarà per un'altra volta.... — ho mormorato io, a bassa voce.

«— Speriamo.... in Italia.... ci rivedremo, non è vero, in Italia, nel paese nostro? — ella mi ha chiesto, con una sincera ansietà, stringendomi la mano, accingendosi ad andarsene.

«— In Italia: certamente — le ho risposto, con accento più fermo.

«Ella è salita in buggy più vivamente. Prima di partire, sorridendomi deliziosamente, mi ha gittato un bocciuolo di rosa che aveva all'occhiello della giacchetta e ha detto, frustando il cavallino, partendo: — ....ricordo di una italiana!

 

.    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .

«Diana, donna di grande virtù; Diana, che non avete voluto conoscermi; Diana, che non avete avuto pietà di me; Diana, che rispettate profondamente sir Montagu e, quindi, disdegnate l'amor mio, io penso di partire. Non andrò via, domattina, per non incontrarmi col vostro sposo, che rientra a Londra. Partirò domani sera. Mi sento assai debole nelle forze fisiche, perchè, forse, a me, come a voi, questo clima fa male: ma la mia volontà è forte e ferma. Vado via. Sarò a Londra, a mezzanotte, domani sera. Dopo, non so. Forse avrò bisogno di riposo, perchè questi giorni pesanti, odiosi, del Sussex mi hanno estenuato. A volte, ho qualche vertigine. Ho vissuto male, nove giorni. Sovra tutto, non vi ho vista. Sovra tutto, voi non mi amate. Sovra tutto, non mi amerete mai. La vostra virtù è così alta, che rinnega l'amore e rinnega la vita. Oh nobile donna, io parto domani sera! Addio.

«Paolo Ruffo».

 

«Londra, Piccadilly Hotel, quindici novembre

«Diana, sono qui, disperato di esser partito, disperato di essermi allontanato da voi. Vi adoro.

«Paolo».

 

«Londra, Piccadilly Hotel, sedici novembre

 

«.... sono malato.... credo di essere molto malato, Diana. Non mi reggo in piedi.... la mia mano appena sostiene la penna. Domando a Dio la forza di poter discendere, nella via.... per impostare questa lettera.... l'ultima, forse.... con le mie mani. Dopo, risalirò in casa.... e mi coricherò nel mio letto.... poichè sono così malato.... addio, Diana....

«Paolo».

 


 


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