Matilde Serao: Raccolta di opere
Matilde Serao
Nel paese di Gesù
Lettura del testo

NAVIGANDO VERSO SORIA

II. Il Nilo

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II.

 

Il Nilo

 

L’anima dell’Egitto è il Nilo. Può la mercantessa sdraiata sul mare, come è Alessandria, con le sue vie mezzo moderne e mezzo antiche, un po’ europee, un po’ orientali, percorse dalla folla più diversa, darvi il segnale di una vita novella e curiosa: ma voi non giungerete a fissare, in quei mille particolari, il carattere egizio. Voi sentite che il segreto di quella esistenza non è in quella folla di arabi, di greci, d’italiani, di francesi, non è in quel grido gutturale di tutti, su cui stridono le voci dei venditori ambulanti, non è in centinaia di botteghe di sigarette, non è in quelle botteghe di tutte le nazioni: è altrove. Nella notte, avete mai percorso, dubitando, un gran salone oscuro? L’ombra è completa, nulla discernono i vostri occhi: ma se, a un altro capo del salone, in un angolo, vi è qualcuno, voi vi fermate, trepido, poichè voi sentite la sua presenza; e voi andate verso l’ignoto abitatore, senza che vi guidino gli occhi, ma con lo spirito vostro.

Così, irresistibilmente, per un misterioso potere, senza che ve lo dica, in Alessandria, come l’ora pomeridiana declina, voi prendete una carrozza, e uscite per la campagna, cercando. Se nulla avete ritrovato ancora, voi andate più lungi: e, a un tratto, nella campagna, qualche cosa di un pallido azzurro, finalmente scolorito, vi fa trasalire. È il Nilo. Impossibile vincere il palpito del vostro stupore, palpito che si viene trasformando, come voi contemplate da vicino il gran fiume e gli camminate accanto, dolcemente: voi vorreste intenderlo, comprenderlo, amarlo, in un intenso piacere dello spirito. Tutti i fiumi possiedono una poesia quasi indicibile: ma niuno dirà quella del Nilo. Essa non viene, qui, dalla sua grandezza, giacchè verso Alessandria il Nilo è sottile: essa non viene dall’impeto delle sue onde, giacchè, in molti punti, il Nilo è immobile come un lago: non viene dalla sua profondità e dall’oscurità del suo fondo, poichè esso ha, talvolta, tale limpidità, che il paesaggio delle sponde, coi suoi palmizi solinghi, coi suoi sicomori dalle bianche braccia ritorte, colle sue casette arabe, vi si rispecchia tutto. Ma se al Cairo, nel sobborgo di Boulacq, il Nilo vi appare vasto e solenne come il mare, con le sue ultime linee perdute nelle brume della lontananza, e voi ne sentite, colà, la forza e la potenza; invece, sotto villa Antoniades, nella campagna che da Alessandria va a Ramleh, dimora estiva del vicerè, il Nilo ha una grazia malinconica fra le sue strette rive, dove crescono dei piccoli fiori gialli. Se, al Cairo, esso si agita in mille gorghi vorticosi, che si rompono alle colonne ferree del gran ponte di Ghizeh, tanto da darvi il sacro terrore di questo fiume, che fu per gli egiziani una divinità terribile e anche misericordiosa; altrove, invece, nella campagna, esso vi un senso di serenità larga, di pace amorosa. Il Nilo racchiude in tutti i paesaggi fluviali, e tutte le loro espressioni; e gli occhi incantati mai si stancano di abbracciarlo, di chiuderlo, di portarne via, quasi, così, tutta la sua immagine.

È maggio, ma è estate, in Egitto: e le grandi dahabeah, le navi color bianco perla, così simili a case galleggianti, hanno le loro vele ripiegate, sono ammarrate alla riva del fiume, poichè nessun viaggiatore più, per diporto, risale il grande fiume, dal Basso Egitto all’Alto Egitto, in una lenta navigazione, che è una delizia della fantasia. Solo qualche barcaccia di pescatori, di trafficanti, fila sul fiume, alla vela, nelle ore in cui il vento rinfresca: e voi la seguite con l’occhio, invidiando coloro che possono andarsene così, fra le acque di un azzurro molto pallido, di un color così nobile e così tenue, verso le sponde più ampie, dove si specchiano le ruine degli antichi templi egizi. Sulla riva, spesso, un gruppo di fellahine, le donne arabe del popolo, tutte chiuse nel gran manto nero, col viso coperto dal velo nero che è fermato sulle sopracciglia dalla fibbia di metallo, coi piccoli piedi scalzi, riempie le anfore di acqua del Nilo, sollevandole sulle spalle, con un moto grazioso: alcune di queste fellah immergono le gambe nell’acqua, e vi si curvano quasi dentro, come se il sacro fiume le attirasse. La leggenda antichissima del Nilo non parla solo della sua fecondità benefica, ma anche di una freschezza mirabile delle sue acque, ed attribuisce ad essa virtù speciali e bizzarre. A ogni gomito della via, che va lungo il fiume, la visione cambia: ora è una piccola moschea, con tre o quattro arabi che vi giacciono attorno, sdraiati, ora è una casa tutta bianca, dalle gelosie serrate, dietro le quali le donne guardano, mentre l’ombra e la freschezza fan diventare trasparente la loro carnagione; ora è un gruppo di palmizi, non più di due o tre, dal grosso ciuffo; ora sono le siepi di rose di una villa, il pergolato di un semplice caffè di campagna; ora è una solitudine grande, tagliata dalla linea di un cammello carico, ondeggiante, guidato da un arabetto minuscolo, in camicia bianca o azzurra. E sia una capanna di fango coperta di strame, sia una pianura arida e desolata, sia la miseria di un borgo, distrutto dall’incendio, tutto assume, sulle sponde del Nilo, un carattere di mistica poesia, una seduzione mistica, irresistibile. È il fiume, che la sua anima alle sue cose brutte, alle cose abbandonate, alle cose morte, e le vivifica, e le rifà, e le suggella di una indimenticabile impronta.

È nella notte, sotto il breve e freddo raggio di un arco lunare che, percorrendo le sue sponde, il Nilo vi offre la sua misteriosa e più suggestiva visione. Intorno, vi è un silenzio incommensurabile. Nessun soffio d’aria agita le cime degli alberi: nessun passo d’uomo cauto e lieve sfiora la terra, accanto a voi nessuna voce umana rompe questo silenzio incalcolabile che vi avvolge. Il paesaggio, qualunque esso sia, è colmo di segreti. Le acque vanno, non si sa dove: donde vengano, s’ignora. Si sentono passare, quiete, solenni, eterne. Appena appena, il raggio della luna le raggiunge, e loro una tinta più chiara, fra le grandi ombre della campagna. Se tendete l’orecchio, forse udite il loro fruscio, sottile, lungo le sponde. Un profumo vivace viene da giardini ignoti, da ignote siepi silvestri. Dalla riva qualche più grande albero piega i suoi rami sulle acque. Non un lume, nelle case. E non più case, innanzi, ma esso solo, nella campagna vasta, il Nilo, fra tanto quasi tangibile silenzio, fra i veli bruni della notte, che il picciol arco metallico, gelido della luna non dissolve, non vince. Esso solo veglia il Nilo, esso solo vive, esso solo ha un’anima; e le cose tutte vegetali e umane sono trasfuse in esso, e voi stesso più non esistete che per esso e, invero, qualche cosa di divino vi ha tolto alla miseria vostra, e vi ha immerso in un sogno sacro. È lo stesso sogno, forse, che dilata i grandi occhi degli antichi idoli egizi: è il sogno dei pensosi occhi della sfingi di granito: è il vostro lungo sogno forse, o Cleopatra.

 

 

 


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