Matilde Serao: Raccolta di opere
Matilde Serao
Nel paese di Gesù
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NAVIGANDO VERSO SORIA

IV. Le Piramidi

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IV.

 

Le Piramidi

 

Per andare alle Piramidi, nei già grossi calori di maggio, bisogna levarsi prestissimo. Ora il prestissimo orientale non è alle sette, alle sei, e neppure alle cinque: il prestissimo varia dalle tre alle quattro del mattino, cioè in quelle ore piccole, piccolissime, in cui si decidono, pigramente, ad andare a letto i nottambuli europei. Del resto, alle tre e mezzo, comincia a far chiaro: alle quattro, mettendosi in cammino, la luce del giorno, limpidissima, si diffonde dappertutto. Non fa fresco. Fa freddo. Rabbrividire di freddo, al Cairo, stringendosi nel grave mantello che copre il leggero vestito, è una sensazione squisita. Tutte le città, le più volgari, le più monotone, acquistano, all’alba, una espressione originale e fugace, che mai più si ritrova, in qualunque ora della giornata, una espressione misteriosa, certo, dove vi è della stanchezza triste e della gaiezza rinascente, dell’intorpidimento morboso o della malinconia fatalistica, del lavoro che si riprende e dell’ozio che prosegue: e, forse, dietro le finestre sbarrate della gente più ricca - e che più dovrebbe esser felice, l’accasciamento che segue alle tormentose insonnie.

Mentre la carrozza vi trasporta verso la via diritta che, fuori porta, conduce alle Piramidi — questi mistici e funerei monumenti permettono che li andiate a visitare con la massima comodità moderna — mentre questa carrozza corre nelle strade del Cairo, il grande sbadiglio e il lieve sorriso dell’alba nella città, che è la perla di Egitto, le dànno un incanto tutto originale, che vi innamora sempre più. Già già, voi incontrate gli asinai coi relativi asinelli scorazzanti in tutti i sensi, le donne che scendono a prendere l’acqua, i facchini carichi di grandi conche di latte fresco: già già, le innumerevoli botteghe e le bottegucce di sigarette si vanno schiudendo: ma, al ponte di Ghizeh, sul Nilo, questo spettacolo dell’alba diventa stravagante. La carrozza s’invesca in tale una folla fitta di cammelli carichi di frutta, di verdura, di carbone, di legna, di mercanzia ignota, chiusa nei sacchi, che, per una buona mezz’ora, è impossibile fare un passo. Tutte queste buone e pazienti bestie da soma, questi cammelli, dall’aspetto così sciocco e così infelice, ondeggiano, senza muoversi: i cammellieri bestemmiano, io suppongo, in arabo: ma i soldati e le guardie di finanza, all’entrata del ponte, flemmaticamente, non fanno passare se non un cammello alla volta, in fila, a passo lento, mentre dalla campagna di Egitto ne continuano a giungere, sempre; e la loro folla si allarga, si allunga, all’imboccatura del ponte, e i gridi salgono al purissimo cielo bianco di Egitto, e la carrozza del viaggiatore, che par naufragata fra quel mare di bestie, compie, a grande stento, la sua liberazione, fuggendo in senso inverso, sulla larga via, al soffio del vento mattutino. Siamo tranquilli. Anche in questo giorno, il Cairo mangerà, poichè, dai più lontani paesi di Egitto, sul dorso dei grandi animaloni gialli, è giunta l’enorme valanga delle sue provvigioni da bocca, per i poveri e per i ricchi.

Due ore complete di buon trotto, per giungere a queste Piramidi. Già, un’ora prima di esservi sotto, voi le vedete salire all’orizzonte, e preponderare, ben precise, ben delineatepoichè la finezza e la limpidità dell’aria, in Oriente, ai miopi l’illusione che sia singolarmente cresciuta la loro forza visiva — e tutte di un biancore pietroso, un bianco caldo di pietra, che inclina al giallo. E già, un’ora prima, voi vedete comparire sempre sulla strada lungo le siepi, nei campi, sulla soglia di qualche casetta, sulla porta di qualche capanna, sparsi, solinghi, i beduini, signori delle Piramidi. Giacchè, sarebbe logico supporre che queste immense e tetre tombe degli antichissimi re dell’Egitto appartengano al governo khediviale, o sieno, almeno, un monumento nazionale, sulla terra di Cleopatra. No. Le Piramidi sono di assoluta proprietà di una larghissima tribù di beduini. Chi le ha donate loro? Chi le ha loro lasciate in eredità? Sono forse, essi, questi beduini del deserto, i discendenti dei Ramsès, dai grandi occhi allungati e pensosi, e dalle bocche sinuose, senza sorriso, suggellate? Sono, forse, questi beduini, i nepoti dei grandi Chéops, dalle mani sottili appoggiate sulle ginocchia, dai puri e austeri volti, dove par che una fiamma arda sotto il granito? Che! Che! I beduini sono tribù selvagge, vagabonde, rapinanti, venute dal deserto. E, allora, chi le ha date loro, queste Piramidi? Le hanno prese, ecco tutto: tanto più che queste moli superbe o tragiche non offrivano resistenza. Le hanno circondate e non le lasciano più. Chi li può scacciare di ?

Nessun governo egiziano l’oserebbe. Il dominio dei beduini sicuro, imperturbato, si estende intorno intorno, per un circuito di varie miglia, dove essi hanno le loro case, i loro campi, case decenti e nette, campi bene coltivati e pingui. Uscendo sulle porte, camminando nella campagna, i beduini levano i loro belli, fieri e maliziosi occhi verso le Piramidi, e le sogguardano, col legittimo orgoglio del proprietario, di colui che non vedrà mai perire la sua proprietà, e la legherà ai figli e ai nepoti, morendo.

Ora, un beduino delle Piramidi è, per lo più, un uomo molto alto e molto snello, di un colorito bruno dorato: le sue mani e i suoi piedi hanno una eleganza natia e, in quanto alla testa, essa riassume tutte le figurazioni poetiche che il mondo si è create attorno alla bellezza maschile, in questa regione di Oriente, cioè profilo classico, linee gentili e pur forti, denti bianchissimi che ridono, quasi sempre, attraverso alla bella bocca chiusa. Essi sono vestiti tutti di bianco, con un gran mantello nero e un turbante bianco: ma questi abiti bianchi sono così candidi, e sono drappeggiati con una grazia tanto naturale, con un’inconscia e pur sapiente intenzione di arte, che quel semplice bianco e quel semplice nero formano sempre un quadro. Per lo più, sono scalzi, o portano solo un paio di pianelle, che smettono subito, quando vogliono correre. Che correre? Volare. Niuno eguaglia, nell’agilità e nella instancabilità, il beduino, niuno è miglior cavaliere, niuno è miglior tiratore di lui. Cavalcano, appena appoggiando sulle staffe: le staffe hanno un piccolo sprone. Vi è sella, sul cavallo? Non si vede bene. Si vede, cioè, un sacco, cioè tutto il loro bagaglio, formato da un vecchio tappeto ricucito, e che pende dai due lati, come due borse. Se scendono precipitosamente da una pendice, o se, a cavallo, spariscono nella polvere, snelli, slanciati, impetuosi, essi hanno l’aria di volare.

 

 

È fuori di dubbio, però che nell’universo non vi siano ladri più schietti e più semplici di questi beduini. Non dico di quelli che fra i monti di Moab, circondano il Mare Morto, e, sulle vie di Samaria, derubano, depredano, saccheggiano e poi fuggono, camminando per quindici giorni di marcia forzata, per non farsi ritrovare: costoro sono ladri grossolani, imperfetti, che il misero depredato, indigeno o straniero, non giunge neanche a vedere, tanto è rapida l’azione, del furto di strada maestra. Parlo di questi qui, civilizzati, mansueti, simpaticissimi, che possiedono le Piramidi. Arrivando nel più stretto cerchio del loro dominio, dove la campagna florida cessa, dove comincia la prima striscia gialla della sabbia del deserto, e dove sorgono, sul limitare di quella paurosa vastità, le Piramidi, qua e si vedono dei gruppi di uomini, in ammanto bianco e nero, formarsi, sciogliersi, rifarsi, sempre in linee involontariamente artistiche. Sono beduini, che vegliano sul loro tesoro. Quando voi, disceso dalla carrozza, accompagnato dal fido dragomanno, vi avanzate, camminando con un certo stento sulle arene già brucianti del deserto, il capo di questi beduini si avvicina a voi, e augurandovi il buon giorno in tre o quattro lingue, — dacchè essi ne conoscono cinque o sei, mi pare — vi si mette accanto e seguita a parlarvi con una voce musicale e col sorriso più schietto. Pian piano, staccandosi dalle basi della prima piramide, sorgendo da dietro i monticelli di sabbia, altri otto o dieci beduini vi circondano, salutandovi, sorridendo, ridendo, offrendovi tutto l’offribile. Chi vuole farvi salire sul cammello, che porta per la briglia, perchè leviate i piedi dalla sabbia calda dove affondate: chi propone il suo piccolo asinello, allo stesso scopo: chi vi vuole accompagnare dentro le Piramidi: chi vi vuole accompagnare sopra le Piramidi, poichè vi sono dei viaggiatori così accaniti, che salgono sulle Piramidi. Per queste offerte insistenti, il dragomanno si infuria in arabo, il capo dei beduini finge d’irritarsi moltissimo contro i suoi subalterni e costoro fingono di giustificarsi, verbosamente; essi si allontanano per un minuto, ma riappariscono subito, vi mettono in mezzo, vi portano in corteo, sino ai piedi delle Piramidi. Essi vendono di tutto, colà: monetine antiche egizie, frantumi di alabastro, mummiettine di creta, piccoli scarabei verdi, piccole sfingi verdi, collanette di vetro verde che portano fortuna, amuleti di cristallo: e cavano tutte queste cosette da certi grandi portafogli di pelle nera, che tengono nascosti nella tonaca bianca. Tutti questi beduini sono così petulanti e così tenaci nell’offrire e nel chiedere, sono così belli di malizia, sono così ingenui e così ardenti nella loro avidità, che, a poco a poco, voi date loro tutte le lire spicciole, tutte le mezze lire, tutti gli scellini inglesi e tutte le piastre turche di cui è piena la vostra tasca cosmopolita. Il più gelido e burbero inglese non resiste loro, tanta è la seduzione di questa incessante richiesta, tanta è l’amabilità di questo scrocco. Se vi arrabbiate, essi hanno l’aria di cedere, di tacere: appena l’ombra di un sorriso si disegna sulle vostre labbra, essi corrono a voi, parlano in coro, in tutte le lingue, e sono così insinuanti senz’essere servili, sono così umili, senza avere l’aria ignobile, che il viaggiatore , infine, volontieri, il suo denaro, compensando lo spettacolo nuovo, che non vedrà, forse, mai più. Il più giovane di essi, Mohammed, agilissimo, offrì di fare l’ascensione e la discesa della più alta piramide, in dieci minuti. Essa è alta quattrocento piedi inglesi, è tagliata esternamente a grandi sassi, che formano gli scaglioni; e Mohammed voleva tre scellini, prezzo consueto. Gli furono concessi. Pretese che si cavasse l’orologio per contare precisamente i minuti. Poi, gittò il mantello: e in un battito, io lo vidi saltare, tutto bianco, sul primo sasso, e sempre più piccolo, arrampicarsi, sempre più piccolo, lassù, lassù, divenuto un cencio bianco, un fazzoletto bianco, un punto bianco. Giunto alla cima, aveva impiegato cinque minuti e mezzo: immediatamente, rifece la via, scendendo, saltando, abbassandosi, torcendosi, ridiventando più grande, sino a che, trionfalmente, egli mi capitò innanzi, anelante, senza fiato, è vero, ma indicandomi l’orologio. Aveva impiegato tre minuti e mezzo, per discendere: in tutto, nove. Volle un altro scellino, per quel minuto di meno. Glielo diedi, domandandogli, ironicamente, che altro mai egli desiderasse. Con molta improvvisa fierezza, egli mi disse che io doveva applaudire Mohammed, e che, andandomene al mio paese, più tardi, sempre, mi fossi ricordato di dir bravo, Mohammed. Così dicendo, egli si drappeggiava nel suo mantello nero, dignitosamente. In quanto ai denari, li prese il suo capo. Di quei quattro scellini, Mohammed avrà avuto cinque soldi, cioè una piastra turca. Questi deliziosi e implacabili ladri sono formati in una rudimentale associazione cooperativa, e versano, fedelmente, ogni loro guadagno, che, poi, viene ripartito equamente. Essi hanno le loro ore di guardia alle Piramidi, e gli uffici speciali assegnati; e i più giovani, sopra tutto, o salgono sulle Piramidi, o aiutano a salire l’europeo, che ha questo fòlle pensiero. Ci si mettono, furbescamente, in tre, guadagnando un paio di scellini per uno: e l’europeo... al quarto macigno scalato, ha già le vertigini e si fa metter giù, pagando, naturalmente, assai felice di non dover salire sino in cima, e i beduini assai felici di non aver fatto nulla. In fine, quando essi vi hanno cavato, graziosamente, quanto più denaro è possibile, vi fanno scorta gentile, e ossequiosa, per un bel pezzo di strada, augurandovi buon viaggio e buona salute in tutte le lingue, chiedendovi se ritornate, inchinandosi, toccandosi la fronte, avvolgendosi nei mantelli, abbassando i bei volti, soddisfatti della preda. Di lontano voi vi volgete a rimirarli, ancora, non potendo serbar loro rancore, tanto vi hanno rubato con infinita grazia: essi sono aggruppati di nuovo, in masse bianche e nere, ai piedi delle Piramidi, aspettando gli altri viaggiatori, e le altre placide vittime.

In quanto alle Piramidicredo di aver detto, più volte, che esse sono altissime.

 

 

 

 


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