Matilde Serao: Raccolta di opere
Matilde Serao
Nel paese di Gesù
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LA VIA DOLOROSA

III. Il cammino della Croce

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III.

 

Il cammino della Croce.

 

 

 

Chi percorre ora, questa Via della Croce, presa nella sua più ristretta essenza, non già dalla casa di Hannan, il gran sacerdote, colui che veramente meditò, decise e volle la morte del profeta di Galilea, non già dalla casa di Kaipha, strumento cieco nelle mani di suo suocero Hannan, ma da quel Pretorio romano, da quel lithostratos, dove Ponzio Pilato, furbo e umano governatore fu costretto a condannare Gesù, dopo aver tentato due o tre volte di salvarlo, — chi percorre dico, questa via, di cui ogni passo ricorda quell’ultimo fatale tragitto, chi la percorre volendo tutto vedere e tutto osservare, cioè con pacatezza mette qualche momento più di un’ora, per raggiungere il luogo del supplizio e della morte, il Golgotha, cioè la chiesa del Calvario.

Anche adesso, la Via della Croce è tutta in salita, abbastanza erta, in alcuni punti, e in varii altri vi sono degli scalini, come innanzi al vescovado copto, dove, per la terza volta, Gesù cadde sotto il peso della croce, come innanzi alla casa della buona Veronica: pure, è una via selciata, alla maniera gerosolimitana, di piccole pietre lunghe e strette, che stancano molto, ma, infine, è selciata. Un’ora e più, dunque, per il viandante cristiano, per il curioso di cose religiose e una relativa stanchezza, più che per aver camminato, due o tre ore, nei sentieri di campagna, dove il piede non ha l’urto di quelle piccole selci e dove l’erta non è continua, come nella Via Dolorosa. Ben più lunga dovette essere, pel Martire! Allora la salita doveva essere molto ripida, e la via non era selciata, e probabilmente era in cattivo stato, come tutte le strade di allora; Egli era carico della croce. Gli ultimi giorni li aveva passati in veglie e in emozioni profonde; le ultime due notti erano state terribili; egli era stato legato alla colonna, flagellato, vilipeso; il suo animo era abbeverato di amarezza e le sue forze fisiche erano stremate. Non morì, egli, rapidamente, sulla croce, mentre quel supplizio consentiva anche tre giorni di vita, e spesso si dovevano spezzare le gambe e le braccia ai condannati, poichè non morivano presto? Quando egli percorse, passo passo, lentissimamente, la Via Dolorosa, doveva essere in uno stato di accasciamento fisico tale, che questa strada, da noi percorsa in poco più di un’ora, gli dovette sembrare eterna!

 

 

Il pretorio di Ponzio Pilato è, adesso, una caserma turca: vi abitano dei fantaccini musulmani. Pure, con quella cortesia turca che fluisce sempre sovra coloro i quali non domandano denaro e spesso ne offrono, mediante una mancia, si può entrare in questa caserma, dove principia la Via Dolorosa e ogni venerdì, anzi, i padri francescani, seguiti da pellegrini e da altri devoti, vi cominciano il Cammino della Croce, per seguitarlo in tutte le quattordici stazioni, liberamente. Or dunque, voi salite in questa caserma turca, per una ventina di scalini, vi aprono la porta, passate sotto una grande bandiera rossa, con la mezzaluna e la stella bianca; penetrate in un grande cortile, dove sono i fasci di fucili, dove i soldati lavano le loro gamelle: è questo il Pretorio, questo è il lithostratos, qui Gesù fu condannato a morte. Ricordate le estreme parole di Pilato: io mi lavo le mani del sangue di questo Giusto? È lassù, su quel muro dirimpetto, che egli le proferì: è quaggiù in questo cortile, dove le canne dei fucili scintillano al sole, dove i soldati strofinano le fibbie dei loro cinturoni per farle diventate lucide, che il popolo ebreo pronunziò tumultuando, la tremenda imprecazione: cada il suo sangue sulle nostre teste e su quelle dei nostri figli, sino alla settima generazione! Ma ecco, Gesù discende la scala, è nella via: lo caricano della croce: qui è il posto, segnato da una pietra bianca, nel muro, giacchè qui era la scala santa, che fu trasportata a Roma. La salita comincia: i soldati circondano i due ladroni, Cosma e Disma, e Colui che per ischerno era chiamato il Re dei Giudei. Per un certo tempo, con un novo coraggio, Gesù cammina, curvo, pallido grondante sudore, e gocciolante sangue dalla fronte, ove gli misero la corona di spine. Ma arrivato all’altezza dove la via del pretorio s’incontra con la via di Damasco, ecco, egli cade in terra: in questo angolo, vi è una colonna spezzata in due, che indica il primo abbattimento delle forze del Martire. La via, qui, è larga, è percorsa da pedoni, da cammelli carichi, da asinelli che vanno al bazar, che è poco lontano: degli arabi passano seminudi. Infine, il Martire si rialza, ma dopo cento passi ecco un gruppo di persone che gli va incontro, è Maria Vergine, è la Madre che cerca suo figlio. Egli la vede, la guarda, la saluta: Salve, Mater! Ed ella? Ella non dice nulla: ella tramortisce fra le braccia delle donne. È una viottola, dove è accaduto l’incontro; rare persone la percorrono una piccola cappella è poco lontano, dedicata a Nostra Donna dello Spasimo. Ma le forze di Gesù, dopo l’incontro con la madre, decadono sempre più: i soldati hanno fretta di finirla, giacchè la Pasqua si approssima e vogliono goderla liberamente: essi trovano un contadino, un tal Simone di Cirene, e gli caricano addosso la croce di Gesù; ma Simone non la porta che per poco tempo. È innanzi a una casa bigia, in un gomito che fa la Via Dolorosa, che il Cireneo ha alleggerito, per poco, le spalle dolenti del Martire. La strada si fa più ripida, cominciano gli scalini: mentre il condannato ascende, affannato, morente, grondante di sudore e di sangue, quell’erta, invocando la morte a ogni passo, una donna esce dalla sua casa. Essa si chiama Berenice ed è giudea: che importa? La pietosa, senza tema alcuna, si avanza fra i soldati e asciuga con un lino la estenuata faccia dell’agonizzante: e sul lino resta l’impronta di quel volto, e da quel giorno, ella non si chiamerà più Berenice, ma Vera-icon, vera immagine. La sua piccola casa esiste, sotto un arco oscuro, sopra certi scalini: ed è bruna, scavata nella roccia: ora, forse, vi faranno una cappella. Ma il tragico andare continua: a sessanta metri dalla casa di Veronica, in una via che era quella della Porta Giudiziaria, Gesù cade, per la seconda volta, sotto la croce. Attorno attorno, vi sono delle piccole case bianche: sopra una finestretta, una rosellina bianca cresce, coltivata da qualche gerosolimitana, dagli occhi pesanti di languore: su le scalette, dei monelletti giuocano, parlando lestamente in arabo. Ma a furia di colpi, il morente si rialza: egli è così degno di una profonda pietà, che, a poca distanza, un gruppo di donne di Gerusalemme lo guarda passare e piange. E la gran profezia esce dalle labbra di Colui che va ingiustamente alla morte: Figlie di Gerusalemme, non piangete su me, piangete su voi stesse e sui vostri figliuoli! Poi, Egli riprende il suo cammino: è lungo, il cammino, l’ascesa è difficile; già il Golgotha, il luogo dell’infamia e della morte, appare, ma per raggiungerlo ci vuole un altro sforzo. Adesso, questa via è chiusa dalle costruzioni posteriori di Gerusalemme; e chi vuole seguire Gesù, in tutto il suo cammino, bisogna che faccia tre o quattro giri, che ritorni indietro e che, infine, arrivi a una delle ultime stazioni, in un piazzale alto, dove, in vista già del Calvario, Gesù cade per la terza volta sotto la croce. Questo piazzale soprasta un angolo del bazar, è uno dei posti più frequentati e più sporchi di Gerusalemme: il posto dove l’ultimo spasimo doveva colpire Gesù, al ludibrio di questi arabi, di questi musulmani, di questi abissini copti, di questi pallidi ebrei. Lanimo si stringe e il cuore soffre una mortale oppressione.

 

 

Ora, il resto della disumana scena, è tutto nella chiesa del Calvario, in alto, dirimpetto alla fredda roccia, dove fu calato il corpo dell’Estinto. Una grande rosa di pietra in terra, indica il posto dove Gesù fu spogliato delle sue vesti e i soldati le giuocarono, tirandole a sorte; è poco distante, nella medesima chiesa del Calvario, che un quadrato del mosaico indica dove il Martire fu inchiodato sulla croce; quattro metri più in , verso l’est, un buco cilindrico, foderato di argento, dice il posto dove fu rizzata la croce. Essa guardava l’Occidente, e gli occhi di Cristo spirante, tante volte si fissarono su quel lato del mondo, dove dovea fondarsi la sua fede! Ma, ormai, la lugubre scena volge al suo termine: le sette parole sono stata pronunziate egli ha perdonato al buon ladrone, egli ha parlato a sua madre, a Giovanni, egli ha messo il suo spirito nelle mani di suo Padre: la morte è venuta. Qui, dove è questo picciolo altare dello Stabat Mater, per opera dei pietosi, Gesù Cristo è disceso dalla croce, deposto nel grembo di Maria: quaggiù, su questa pietra di marmo, la pietra dell’unzione, il suo corpo è lavato, è profumato di nardo e di mirra. E a venti passi di distanza, ecco, nel breve giardino del buon Giuseppe d’Arimatea, nel sepolcro ancora nuovo, la salma è deposta, mentre la notte cade. La Via Dolorosa è finita.

 

 


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