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VI.
Due paesi di Galilea si disputano la gloria di esser la patria di Maria: Sephoris e Cana. È vero che Anna e Gioacchino avessero in Cana qualche piccola proprietà, giacchè il padre e la madre della Madonna non erano assolutamente poveri, ma ne avevano anche verso il confine della Galilea, sul monte Carmelo, dove venivano ogni anno, con la piccola Maria: è anche vero che in Cana di Galilea vi fossero molti parenti di Maria, ma, oltre questo, non esiste nessun’altra prova e Cana si deve, si dovrà sempre contentare di essere il paese delle famose nozze, il paese dove Gesù si compiacque di fare il primo miracolo. Con una quasi certezza si può affermare che Maria Vergine è nata in Sophoris, un grosso borgo che resta a mezza via fra Tiberiade e Nazareth, ma molto più vicino a Nazareth, che a Tiberiade. Come quasi tutti i bei paesi di Galilea, Hephoris è collocata sovra una collina e la umile casa di sant’Anna e di San Gioacchino è proprio in cima al poggio e il nome di Maria, Miriam, Mariam, Mara, è molto comune in Galilea, e ritorna stranamente nella vita del Cristo, come per un magico concentramento: Maria, la sua dolce madre; Maria di Cleofe, la zia, cugina di sua madre, ardente e devota: Maria di Bethania, la sorella di Lazzaro, che lo ascoltava incantata, nei giorni in cui egli dimorava da loro; Maria di Magdala, la passionale penitente, che purificò così nobilmente l’impuro metallo della sua anima. La tradizione parla della infanzia della Madonna, come di un periodo soave: dice che ella era bruna e fine, che aveva delle piccole mani gentili e dei piccoli piedi, che ella amava la sua casa e la solitudine, che ella era una creatura laboriosa, sorridente e taciturna. Quando i due vecchi genitori partivano per qualche pellegrinaggio, a piedi, con quelle lunghe e lente tappe di Palestina, portavano sempre seco la piccoletta: e ancora la tradizione dice che ella ascese varie volte sul monte che chiude il golfo di san Giovanni di Acri, che di lassù Maria contemplò il cielo e il mare e che il Carmelo fu così benedetto dalla sua presenza, dal suo pensiero, dal suo sogno. Ma ella ritornava volentieri al silenzio della sua casetta di Sephoris: ella ne uscì, a tredici anni e mezzo, quando andò sposa a Giuseppe, il falegname di Nazareth.
Niuno che conosca l’Oriente si stupirà dell’età in cui si è sposata la Madonna: tali nozze sono consuete, in quei caldi paesi dove la vita è precoce. Nè è a meravigliarsi che sia stata data una giovanetta a un uomo già maturo, quasi vecchio. La donna orientale è così abituata a un profondo rispetto per l’uomo, che la differenza d’età non fa che raddoppiarlo: dice la tradizione che Maria venerava Giuseppe. La loro casa, piccola, sorge proprio all’entrare di Nazareth, avendo innanzi un lembo di quella valle beata: essa era addossata alla roccia, come quasi tutte le case di Galilea ed era fatta di due stanze, una di fabbrica, una di roccia e una terza piccola stanza, che chiamano la cucina della Madonna, e che ha una porticina sul giardino: anzi, da una viottola, che si parte da questa porticina, si raggiunge la bottega di San Giuseppe, attraversando dei campi, senza rientrare in Nazareth.
Ella visse colà, Maria, sino al giorno in cui fu la Prescelta, senza che la sua esistenza uscisse dal limite della sua famiglia, della casa. Come tutte le altre donne nazzarene, ella portava una gonna di un rosso cupo, stretta da una cintura alla persona: e un gran manto di lana azzurro cupo, anche stretto alla cinta, ricadente sulla veste e rialzato sulla testa, sino alla fronte; ella andava scalza, come moltissime nazzarene. La via che conduce dalla sua casa alla fontana, l’ha vista ogni giorno passare, portando l’anfora inclinata sul capo, o poggiata sul fianco: e la fontana vide chinarsi il bel volto fine e puro sulle sue chiare onde. La via è pietrosa, è lunga: la fontana è quasi fuori Nazareth: ma Ella vi è venuta, ogni dì, e vi ha compiuto l’umile ufficio di attingere l’acqua: più in là, in quella vasca, che è sempre circondata di brune e belle donne nazzarene, ella ha lavato i panni del bambino Gesù.
Il lavoro e la preghiera, ecco quello che fu la vita prima di Maria, la sposa di Giuseppe. Nel beato giorno di primavera, quando Gabriele discese a salutarla ella pregava: l’Arcangelo le apparve sulla soglia della prima stanza, mentre Ella era nella seconda. Il cuore credente, laggiù, può evocare tutto il santo dialogo, tutta la mistica scena, mettendosi a orare, nel posto ove Ella orava, guardando nella penombra, se qualche cosa di luminoso non appaia!
Più tardi, Maria, stretto al petto il figliuolino, non fa che fuggire i pericoli, onde l’amata testa è minacciata: insieme con Giuseppe, essi si esiliano in Egitto, facendo mesi di cammino, errando di qua e di là, dormendo nei campi, nel tronco di un grande e vecchio albero, chiedendo il cibo alle erbe ed ai frutti. Sono anni di esilio fino a che, diradato lo sgomento della persecuzione, la Madonna ritorna a Nazareth, ritrova la sua casetta, riprende la sua oscura vita. Adesso, quando ella va alla fontana, mortificando i suoi piccoli piedi sui sassi della via, ella ha per mano un bimbo; quando, alla mattina, ella esce di casa, dalla porticina sui campi, ella porta Gesù alla bottega, perchè lavori da falegname, assieme col padre putativo Giuseppe. La sua maternità, in questi anni, ha qualche cosa di così profondamente tenero e di così sereno, ha un amore così pacifico e lieto, che questi sono, veramente, i soli anni in cui la Madonna è stata felice. Ah, sì, ella avrà avuto, ogni tanto, in questo lungo periodo di calma, la visione delle burrasche che avrebbe dovuto attraversare il suo Grande Figlio, ella avrà sentito il fremito della disperazione e della morte passare su lei, pensando alla divina missione, ma accanto a lei, sorridente e pensoso, buono e laborioso, bellissimo nel volto bianco, nei biondi capelli, nei grandi occhi azzurri, cresceva Gesù: ma ella ne vegliava la fiorente vita: ma ella ne stringeva la piccola mano fra le sue: ma ella lo benediceva ogni sera, prima che egli chiudesse gli occhi al sonno, ma ella godeva l’ineffabile e imperturbata soavità di esser la madre di un fanciullo divino! Anni placidi, di un benessere morale fatto di virtù semplici, trascorsi fra un giro di pietosi desiderii e di pie soddisfazioni, fuggiti, ahimè, troppo presto, per il cuore della Madonna!
Presto, l’adolescente diventa un giovane dall’occhio affascinante di dolcezza, dalla parola eloquente, dall’anima nobilissima: già i nazzareni si stupiscono dell’audacia di Gesù, e non lo amano, e lo tengono in conto di ribelle: già ella comincia a tremare, per lui, per il Diletto. Carico d’anni, compiuta santamente la sua missione, Giuseppe discende nella tomba, lasciando vedova Maria; Gesù istesso non vuole abitare Nazareth, dove è misconosciuto: ed ella lascia il paese della sua troppo breve felicità, ella va a Cana, dove ha dei parenti, mentre il figliuolo si abbandona alle sue peregrinazioni di Galilea, alle sue prime predicazioni nelle campagne, verso Tiberiade. Talvolta, ella lo segue, intimidita, sgomenta del volo d’aquila del suo Gesù; talvolta, nel vedere l’adorazione di cui è circondato, ella si rassicura. Ma come il Figliuol dell’Uomo si avvicina al trentesimo anno, la vita della Madonna diventa tutta un’ansia, tutta un palpito: il suo bel tempo è fuggito per sempre, ella entra nel martirio, ella diventa la madre dei Dolori.
È lei che suscita il primo miracolo di Gesù. La madre e il figliuolo sono a Cana, in un banchetto di nozze. Manca il vino: e i padroni di casa sono imbarazzati e dolenti. Timidamente, sottovoce, Maria dice a Gesù: Vedi, Figlio mio, non hanno vino. Egli china gli occhi; è agitato; una lotta si combatte in lui, quasi egli si arretrasse innanzi alla manifestazione di un potere supremo: ma la dolce madre lo guarda, con gli occhi supplichevoli ed egli, d’un tratto, si decide: le sei conche di acqua, che erano fuori la porta, si trasmutano in vino. La sua spirituale essenza è rivelata e la Madonna, per la prima, venera il suo Divino Figliuolo. Ma questa rivelazione è anche il primo passo verso la Croce: e lei s’incammina con lui, seguendolo, tremando in silenzio per lui, provando nel cuore una gioia strabocchevole e un martirio infinito. Nel gruppo delle donne, affascinate dalla santa parola di tenerezza del Cristo, è lei, la madre, confusa con le altre pie donne che non possono lasciarlo, che lo servono, lo adorano. Le Marie! Resterà il nome di queste felici donne, che potettero udire i più alti accenti di cui sieno risuonati gli echi umani, che potettero ardere di un amore sublime dello spirito, e vivere, e soffrire, e morire per esso. La storia ritrova la Madonna nelle peregrinazioni di Gesù, lungo il meraviglioso lago di Tiberiade, dove egli predicava a un popolo di pescatori e di agricoltori, di donne e di bambini: ella alloggiava a Bethsaida, sulla sponda sinistra di quel bellissimo lago che meritò, per la sua grandezza, il nome di mare di Genesareth: e propriamente Maria era ospitata, come Gesù, nella casa dell’apostolo Pietro. Pietro aveva moglie, e figli, e aveva anche la suocera, ma per aver seco Maria di Nazareth e il profeta di Galilea, la modesta casa anche bastava. Ora, Bethsaida è un mucchio di rovine, giacché anche essa fu maledetta per non avere avuto fede ed è caduta come Capharnahum, come Chorazin: dei villaggi lungo il lago, non resta in piedi che Magdala, il paese dell’altra Maria. Nei suoi viaggi a Gerusalemme, pericolosi e aridi viaggi, poichè la feroce e ostinata città non voleva credere al profeta nazzareno, Maria sempre seguiva Gesù, nell’ombra, temendo per il suo diletto, ma non volendo mettere ostacolo all’espansione di quell’anima divina. Oscuro compito di madre e di adoratrice, che nasconde le sue sofferenze, che vede la gloria e sente le spine nel cuore, che sorride agli inni, ma che prevede la passione, l’agonia, la morte. O lunga, ineluttabile visione di un avvenire fatale, tu sei stato l’incubo di quel materno cuore, e Maria ha avuto la tortura della Croce, prima di suo figlio!
Nel giorno dell’ebbrezza in quella Domenica degli Ulivi in cui il Cristo provò le estreme gioie della sua gioventù e della sua vita, quando una folla di creature innocenti lo acclamava come il Figliuolo di Davide, come l’Eletto del Signore, attraversando quella magnifica Porta Dorata che giammai più i gerosolimitani hanno voluto aprire, la Madonna era nella folla. Nella notte del tradimento e dell’arresto ella vegliava, nella casa dell’apostolo Tommaso dove si era ricoverata e fu l’apostolo Marco, sfuggito alle persecuzioni dei soldati di Pilato, che l’avvertì del terribile fatto. Ed ella si mette in cerca di suo figlio, con le altre pie donne: e tutte insieme, lacrimando, senza lamenti, passano la notte dal giovedì al venerdì, fuori la casa del pontefice Hannah, dove Gesù era carcerato. Non sanno nulla le pie donne: salvo che il biondo e giovane profeta è preso dai suoi nemici: solo la madre sa che egli è perduto. Lacrima e tace. E nell’ora in cui la Passione comincia, quando egli è condannato nel pretorio di Pilato, quando egli esce con la Croce sulle spalle e inizia il più duro cammino, Maria gli va incontro. Gesù, vedendola, leva il capo, la saluta: salve, mater! Ed ella? Ella tace. È impietrita. Un supremo spasimo serra il suo cuore e, appoggiata alle altre donne, scalza, coi capelli discinti sotto l’azzurro manto, col volto straziato, ella cammina dietro il figliuolo, così, con la fissità di un cuore che non conosco più scampo. Essa non domanda, non si lagna, non geme: ma, in verità, non vi è nel mondo, un dolore simile al suo dolore. Madri che adorate i vostri figliuoli, ditelo voi! Madri che avete avuto il terrore della morte, vicino al letto di un figliuolo, parlate, parlate voi! Ella è irrigidita, ma si avanza, ma va, legata con le viscere e col cuore a quel martire, che si curva sotto la croce, trascinata da quell’istinto sublime, reso infinito dall’adorazione della donna per il Signore.
Chi mai dipinse bene il volto di Maria, mentr’ella seguiva suo figlio, nella via della croce, dal Pretorio al Golgotha? Chi mai interpretò questo dolore ineffabile e senza confine? Nessuno. Maria è passata dalle visioni degli artisti nell’arte, in tutte le forme della sua castità, della sua purezza, della sua tenerezza lieta, ma niuno ha creato il viso terribile della madre fra le madri, straziato in quel momento, da uno spasimo che non ha nome. Questa tragedia materna sgomentò la mano di ogni artefice e solo la nostra fantasia può supporre, nei suoi sogni, questo spettacolo di terrore e di pietà. Ella giunge al luogo della sua morte: ella è lì, a pochi passi: non può accostarsi, non le lasciano abbracciare la croce: e allora tutta la vita di Maria si concentra negli occhi. Ella guarda morire Gesù. Una madre! La storia non dice dei suoi pianti, dei suoi gemiti. Nei suoi occhi le lacrime si sono disseccate, la voce si è spenta nella gola. Nulla le potrà mai far distogliere lo sguardo dall’agonia di suo figlio. Giammai sguardo ebbe maggiore intensità: e giammai zolla di terra sostenne uno strazio così immenso, in così lieve persona. Qui, in questo punto, tutti coloro che hanno sofferto, dovrebbero venire e baciare la terra, pensando che nessuno di essi provò il dolore che Maria ha provato, guardando morire suo figlio. Egli emette il grido supremo, il cielo si oscura, la terra trema, il velo del tempio si fende: ella non trasalisce, guarda, aspetta quel cadavere: e come cade la notte, il pietoso Giuseppe di Arimatea e i discepoli più fedeli calano quel corpo. Allora soltanto le materne braccia si schiudono e serrano quella salma e il volto della madre tocca quello del figlio, nell’ultimo bacio.
Marta, Maria di Cleofe, Maria Maddalena, qualche discepolo di Gesù lasciano Gerusalemme, temendo le persecuzioni: una barca peschereccia li porta da Jaffa alle coste della Provenza. La Madonna resta a Gerusalemme: ella ha una cara tomba da custodire, da visitare, ogni giorno. Suo figlio è salito al cielo, la fede si comincia a propagare, ma ella non si muove dal paese, dove Gesù ha sofferto ed morto. Addio, dunque, bel paese florido di Galilea! Non più i tuoi sentieri saranno percorsi dal piede leggiero della Vergine: non più ella porterà la sua anfora alla fontana: non più ella rivedrà la piccola casa di Nazareth che i profumi degli orti carezzavano, nè Cana la gentile, nè la piccola Sephoris, ove ella nacque: non più rivedrà i suoi amici e i suoi parenti. Ella resta dove la tragedia di Cristo ha avuto il suo cruento scioglimento, ella non vuole dimenticare, ella vive fra la tristezza e la preghiera. La bella fontana di Siloè, fuori di Gerusalemme, vede questa donna, talvolta, chinarsi pensosa sulle misteriose acque, che fuggono, che si nascondono e che riappariscono: ma è un volto consumato dagli anni e dai dolori, la bruna giovanetta che ebbe l’annunzio di Gabriele, è una sottile matrona su cui la vita ha impresso i suoi solchi. Ella vive sempre in casa dell’apostolo Tommaso, che la circonda di una pietà filiale, nella memoria del Cristo. Sino a che un giorno, salendo per il colle degli Ulivi, ancora una volta, Gabriele le appare: egli ha una palma, nella mano: le dice che il corso della sua vita è finito, e che Gesù si degna di richiamarla alla Sua gloria. Ella è vecchia, è stanca, ha desiderio di morte e di cielo; la divina ambasciata la trova pronta, come allora, nella casetta di Nazareth, adesso, a Gerusalemme. Ella sale a suo figlio; lascia cadere la sua bianca cintura, perchè Tommaso la raccolga, in ricordo. La sua umile e grande istoria, sulla terra, è finita.