Matilde Serao: Raccolta di opere
Matilde Serao
Nel paese di Gesù
Lettura del testo

IN GALILEA

X. Sul lago

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

X.

 

 

Sul lago.

 

 

In Tiberiade, si discende, come vi ho detto, non per una via, non per una viottola, non per un sentiero: ma per un solco scavato dalle zampe dei muli e dei cavalli, dai piedi degli uomini, fra la terra smossa, i sassi grandi e piccoli, gli spini: una discesa ripida e lunga e, singolarmente scabra e capace di fiaccare le forze e il coraggio del più intrepido cavalcatore. Se poi, in questo solco, s’incontrano degli animali e degli uomini che lo risalgano, allora la cosa diventa preoccupante. Giusto, il mio dragomanno ed io incontrammo un branco di capre, che ascendevano l’erta collina: capre ostinate e malefiche che s’impuntarono, che si ficcarono fra le zampe dei cavalli, che dovettero essere frustate dal capraio e tirate via a forza, mentre noi, immobili in questo solco, a perpendicolo, aspettavamo con la pazienza che si ha, o che si acquista in Oriente, per poter proseguire il cammino. Era il tramonto, le sette e mezzo di sera. Sulla città e sul lago di Tiberiade, cadeva il sole: ed era tale uno spettacolo che avrebbe distratto l’uomo più preso dalle sue cure, più vinto da una mortale stanchezza. Già, dal momento in cui, dall’alto della collina, tutto quel lago, il lago di Gesù, il mare di Gesù, mi era apparso innanzi agli occhi, annoiati da sette ore di paesaggio monotono, arido, deserto, da quel minuto in cui tutta la sublime beltà di Genesareth, confortò il mio spirito oppresso e sciolse i vincoli della mia fantasia, da quel minuto io non dissi più una parola al dragomanno, che avevo afflitto, coi miei sospiri, le mie lagnanze, i miei atti di fastidio, durante l’ultimo, interminabile pezzo di via.

Ah, egli lo sapeva bene, che appena giunta al cospetto del lago di Genesareth, io avrei obliato ogni amarezza, avrei ringraziato il Signore di essermi posta in cammino, quel mattino di giugno! Credo, persino, che, conducendo per la briglia il mio cavallo, in quel solco infido, che va sino alla gran porta romana di Tiberiade, egli sorridesse, ogni tanto, vedendomi assorta nella contemplazione del lago, su cui dileguavano le ultime fiamme del tramonto. Chi sa quanta gente il mio dragomanno aveva guidata, da Nazareth a Tiberiade, per il Thabor, e ne aveva pazientemente sopportato il malumore crescente: e chi sa in quanti egli aveva visto mutarsi il volto e lo spirito, innanzi al divino spettacolo; chi sa in quanti limpidi tramonti, nella chiarità degli ultimi raggi accarezzanti le acque del lago mirabile, il dragomanno aveva veduto involarsi, libera dalle fatiche terrene, l’anima umana librantesi in un’estasi profonda, spirituale. L’orientale sa ed apprezza il segreto di queste lunghe contemplazioni, molto intense. Egli stesso s’immerge nel silenzio, nella immobilità. Io non dissi più di essere stanca: io non mi lamentai più di tutte le sofferenze vere ed immaginarie, dei miei nervi e dei miei muscoli: io guardavo il mare di Gesù, il mare della sua parola e dei suoi miracoli, il mare di Genesareth, le cui onde furiose si sono chetate, sotto il suo piede divino.

Era la sera. Io era discesa, quietamente, nell’orto dell’ospizio. L’orto si apre con un largo poggiuolo, quasi sulla spiaggia. La notte era chiarissima, come per imminente luna: e la coppa di purissima forma che è così azzurrina pallida, sotto il sole, era di un azzurro forte, notturno, nella sera d’Oriente. Il lago era deserto, silenzioso: qualche più vivace stella vi si rifletteva. Le sue acque erano immobili: se esse lambivano la sponda, nessun sussurrìo ne veniva sino a me. I lumi della città di Tiberiade che, duemila anni fa, fu eretta ad attestare la grandezza romana, ed è, ora, purtroppo, una città giudea, data al giudaismo più ieratico, si venivano spegnendo, ad uno ad uno: e i miei occhi seguivano, con ansietà tutte queste luci sparenti. Tacitamente, desideravo che ogni traccia di vita attiva e fervida sparisse, nelle ombre che mi circondavano: speravo di potermi trovare sola, innanzi al mare di Gesù, nella notte deserta, dove non voce, non fiato umano arrivasse sino a me: volevo la grande illusione della solitudine, fra la mia anima e la divina anima, ancora trascorrente sui verdi piani che circondavano il lago, sulle picciole barche dei pescatori che diventarono pescatori di uomini. Non un fruscio muoveva le tamerici del breve orto, un insetto ronzava intorno, con quel mormorio animale che è così strano nella notte. Infine, l’ultimo lume si spense, nella gran torre romana, che Erode Antipa elevò alla gloria di Tiberio Druso; e il paesaggio diventò più solitario, più inanimato, più abbandonato da ogni forma di vita. Così si deve vedere, questo lago di Genesareth, sulle cui sponde, Egli visse i tre più felici e più luminosi anni della sua vita. Già grandioso, nelle tenebre, il lago di Tiberiade diventa immenso e merita veramente quel nome di mare di Galilea, che gli evangelisti gli dettero, raccogliendolo dalla voce del popolo: e l’occhio vagante su quelle azzurre acque profonde, può rivedere nella fantasia, le scene di quei tre anni di pellegrinaggio, di predicazione.

È laggiù, alla sinistra di Tiberiade che sorgevano Bethsaida, la patria di San Pietro, e Capharuhaum, dove Cristo volle fare i suoi miracoli più nobili e più alti: le due città, dove invano furono fatti i miracoli, sono cadute in rovina: ma voi sognate che esse sieno ancora colà, bianchissime fra le ginestre gialle, fra l’acuto odore di lavanda. Se aguzzate gli occhi, vi par di vedere Magdala, il piccolo paese della grande penitente. Nella notte, fra le molli freschezze di Galilea, rasentando con lo sguardo la superficie tranquillissima di quel lago, voi pensate alla piccola e grezza barca, dove Egli si lasciava condurre così volentieri, immerso in un sublime pensiero: alle sue gite, dove egli umilmente teneva compagnia ai poveri pescatori e li aiutava a gittar le reti e a ritirarle, e benediceva tacitamente il loro lavoro, e le pesche erano miracolose: alla giornata di bufera, quando i suoi apostoli tremarono così fortemente per la loro vita ed egli fece tranquillizzare il lago furente, con un cenno della mano: e al torbido, nubiloso pomeriggio, in cui, a un tratto, lo videro camminare sul lago di Genesareth, mirabilmente. Qui! Tutto tace. Siete solo. Una dolcezza immensa vi strugge il cuore di essere qui, dove la sua istoria ebbe il suo periodo più alto e più efficace: una tenerezza soffoca il vostro cuore, mentre vi chinate a interrogare le acque che egli amò, ove vi pare corra, lambendole, come soffio divino, la sua parola di bontà, di carità. Qui! Ah, che voi benedite il giorno in cui partiste, per venire sino al mare di Genesareth, attraversando tanti mari e tanta terra, cercando questa notte di solitudine, qui, su queste sponde, sentendo il tempo trascorrere dolcemente sul vostro capo, e godendo di esser solo, godendo di non poter dire, di non poter comunicare ad alcuno la vostra emozione. Dio concede queste felicità a coloro che umilmente e coraggiosamente vengono a cercarle, da paesi lontanissimi; queste ore supreme, dove l’anima vive mille vite concentrate e mute, sono date in compenso a coloro che non curarono le fatiche, le tristezze dell’esilio, la lontananza della patria, per cercare la terra del riposo, la patria di Gesù, il mare di Gesù. Alta, la notte. O silenzio immenso e suggestivo! Non Lui, dunque, viene sino a voi, sulle acque, radendone la cima col passo lieve? Chi, nellombra, parla nel vostro cuore, dicendovi di sperare, di sperare sempre, poichè Egli è la Speranza? Notte di lungo sogno religioso e spirituale, notte di visione, notte di dolcezza, sulle rive del mare miracoloso, fra l’imperturbato silenzio, sola, sola! Che importa, se il tempo dei miracoli è trascorso? Qui, nel vostro spirito il miracolo si rinnova, poichè voi sentite aprirsi l’anima vostra, come un fiore, poichè voi siete una di quella turba di poveretti, che lo seguì e lo amò, che camminò sulla sabbia di queste sponde, che lo vide navigare sulle acque, che udì gli echi delle colline ripetere le sue parole; poichè voi vorreste levarvi e seguire i passi della Dolce Ombra, ovunque ella appaia, ovunque ella sparisca.

 

 

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License