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II.
L’opera.
Il più alto vanto mistico dell’ordine di San Francesco, è che il loro grande capo sia stato, nello spirito e nella lettera, il più perfetto seguace di Cristo. La medesima umiltà, la medesima serenità di Gesù in San Francesco di Assisi: e lo stesso amore tenerissimo per gli innocenti, per i semplici, per i piccoli: e la stessa esaltazione della povertà e del candore: e lo stesso sentimento tenero, per la natura, per i fiori, per le piante, per gli animali: e, infine, infine, lo stesso movimento sociale, oltre che religioso, per i miseri contro i ricchi, per i deboli contro i violenti, per i pietosi contro i crudeli San Francesco, in tutta la sua opera in Umbria, in Toscana, in Palestina, ovunque egli ha portato i suoi passi e la sua parola fervida e ardente, ovunque egli ha eretto una chiesa, benedetto un santuario, fondato un convento, disseminato i gruppi dei suoi Minori Osservanti ha interpretato il pensiero e il sentimento di Gesù, come nessun santo e come nessun grande cristiano mai! Tutti hanno cercato, nella profonda obbedienza della loro anima, d’imitare Gesù Cristo nei detti, nei fatti, negli esempi, negli insegnamenti solo San Francesco è stato il più grande di tutti, in questa spiritual obbedienza ed egli solo, per il suo cuore, per il suo carattere, per il paese ove nacque, per l’ambiente ove visse, per il tempo felice che vide la sua vita, poteva esser tale. E, a malgrado la immensa lontananza e i lunghi, difficili, perigliosi mezzi di trasporto, a malgrado che la impresa potesse parer temeraria, a un povero piccolo fraticello di Assisi, seguito da un pugno di volenterosi ma ignari fraticelli, solo San Francesco poteva tentare, senza soccorsi, senza sostegni, domandando la elemosina nel suo tragitto di giorni, settimane e mesi, la elemosina per terra e per mare, per monti e per valli, di andare in Palestina, ad adorare il sepolcro del suo Signore. Ah, i suoi occhi sognanti, guardarono bene oltre l’orizzonte della sua verde Umbria, si fissarono oltre le terre lontane, oltre le onde tempestose, nel desiderio profondo di un pellegrinaggio pietoso! San Francesco, col suo semplice coraggio, col suo ingenuo ardire, con la sua energia fatta di tenerezza, era destinato a venire in questa terra di Gesù, non solo per pregare, ma per rialzare il sentimento abbattuto della fede, non solo per piangere, ma per agire, non solo per farvi gli atti dell’adorazione, ma per elevare, in onore del Dio Vivente, un organismo di preghiera e di azione, di insegnamento e di soccorso, un organismo mirabile che nè il tempo, nè l’uomo, nè le vicende potranno abbattere!
Dopo la partenza dei crociati, il Santo Sepolcro era stato quasi abbandonato dai cristiani, dai cattolici: e fu allora che pochi Frati Minori, condotti da San Francesco, vennero a stabilirsi presso la chiesa del Cenacolo e, più tardi, essi furono messi in possesso dei Luoghi Santi della Palestina, nel nome dei cattolici romani. Da che ci vennero con san Francesco, giammai più i Minori Osservanti hanno lasciato quei santuarii, malgrado le vessazioni, le persecuzioni, il carcere, la morte che, durante i secoli, i maomettani hanno fatto loro subire. I francescani di Terra Santa, e principalmente quelli del Cenacolo e del Santo Sepolcro, furono gettati in prigione nel 365, per ordine del sultano di Egitto che si voleva vendicare di Pietro I di Lusignano, re di Cipro, il quale aveva saccheggiato la città di Alessandria. Ma cinque anni dopo grazie alla Repubblica di Venezia, furono messi in libertà e reintegrati nella possessione di tutti i loro santuari. La seconda volta, in seguito alla distruzione della flotta turca, fatta da Doria, doge di Genova, nel 1587, Solimano I ordinò al governatore di Gerusalemme di prendere i francescani della città santa e di Betlemme, imprigionandoli nella torre di Davidde. Di là furono, tardi, condotti a Damasco prigionieri, furono liberati per le cure di Francesco Primo, re di Francia e riebbero la Custodia di Terra Santa. Di nuovo, furono contestati i loro sacri diritti nel decimosettimo secolo, sotto il regno di Luigi XIV e la Francia intervenne in loro favore. Difatti, nel 1673, fu concluso fra Luigi XIV e la Sublime Porta un trattato di alleanza che dice, all’articolo trentatrè, in questi termini chiari: « I Francescani saranno, in avvenire, rispettati nel possesso dei loro santuarii, dentro e fuori Gerusalemme». Due volte Luigi XIV dovette insistere, con minacce, perchè questo trattato fosse rispettato. E in ultimo, Leopoldo I, imperatore di Austria, avendo battuto varie volte le truppe mussulmane, principalmente nel 1699, profittò della sua vittoria per istabilire che i francescani dovevano restare in pacifica possessione dei santuarii di Palestina, senza dover temere mai più le angherie del governo locale. Ma, purtroppo le persecuzioni, le spoliazioni non dovevano venire più a infierire contro i figliuoli e i fratelli di San Francesco, da parte dei turchi: tutto ciò che è stato loro tolto, glielo hanno strappato spesso a viva forza, spesso col sangue versato, i greci scismatici e gli armeni. A furia di danaro, di astuzia, di violenza, queste due sette cristiane, più fanatiche che religiose, dimenticando l’insegnamento di Cristo, avide di potere religioso, hanno tolto ai francescani di Terra Santa quanto potevano, non già come possesso materiale, giacchè i francescani nulla possiedono vivendo di elemosina, ma come possesso spirituale. Difatti, essi non godono più tutte le Custodie religiose, che erano state affidate nelle loro piissime mani. Dopo essere stati scacciati dal Cenacolo — questo se lo è preso la Turchia, con la scusa che vi è la tomba di non so quale maomettano, dentro — espulsi dalla chiesa dell’Assunzione, ossia Tomba di Maria Vergine, che è caduta nelle mani dei greci scismatici, impediti di dire la messa nella Chiesa della Natività a Betlemme, essi hanno anche perduto, or sono pochi anni, il diritto secolare della celebrazione dei divini ufficii, un giorno all’anno, nella chiesa di San Giacomo, occupata dagli armeni scismatici: neppure possono più dire messa, nella chiesa degli armeni scismatici, che sorge ove Gesù Cristo comparve, innanzi al gran sacerdote Caiphas. È vero, il capo dei Minori Osservanti di Palestina si chiama Custode del Santo Sepolcro e Guardiano del Monte Sion: è vero, essi conservano tutte le Custodie più belle e più commoventi; ma ogni diritto sacro che si strappa loro, non contrista, forse, il loro animo di figliuoli di San Francesco e di prosecutori della sua opera in Palestina?
I frati minori, che abitano la Palestina portano anche il nome di Padri di Terra Santa. Questo nome essi lo hanno acquistato, non cessando mai, durante sei secoli e mezzo, di dare ogni loro risorsa e quando ci è voluto, anche il loro sangue, per tenere la triplice missione, avuta da San Francesco e che la chiesa di Roma ha loro solennemente confermata. Essi debbono difendere, conservare, venerare i Luoghi Santi, resi adorabili dalla vita, dai miracoli, dalla morte di Gesù Cristo; ricevere i pellegrini che vengono a visitare la Terra Santa e dar loro tutti i soccorsi spirituali e materiali che sono in loro potere; far udire la predicazione dell’Evangelo, là dove è stato, in prima, pronunziato da Nostro Signore. Questa triplice missione i francescani la compiono specialmente nei paesi dove, oltre la cura dei santuarii, hanno delle parrocchie. A Gerusalemme, per esempio, essi sono Guardiani del Santo Sepolcro, ma sono anche missionarii, curati, medici, farmacisti, ospitalieri.
Essi dirigono delle scuole, dove non insegnano se non la lingua italiana, poichè San Francesco era italiano, dirigono delle officine, raccolgono gli orfani e le orfane, li istruiscono, insegnano loro un mestiere, dànno loro un’anima religiosa e una coscienza di cristiani. Essi sostengono le vedove, gli invalidi, i poveri, pagando le pigioni delle loro case, dando loro costanti elemosine di pane, di cibo, di vesti, insegnando loro a lavorare, per non abituarli a vivere di mendicità. La Custodia di Terra Santa, oltre la casa centrale di Gerusalemme, ha il suo noviziato al Nazareth: l’insegnamento delle umanità, per gli studenti dell’Ordine di San Francesco, si dà a San Giovanni nelle montagne, patria del Precursore. I fraticelli compiono gli studii di filosofia a Betlemme, quelli teologici al convento di San Salvatore, a Gerusalemme. I francescani hanno quarantatrè conventi, trenta scuola e centinaia di alunni, in tutta la Terra Santa: e ai conventi e alle cure d’anime aggiungono delle case ospitaliere, per i pellegrini, in questi paesi: Jaffa; Ramleb; Gerusalemme; Betlemme; San Giovanni nelle montane; Emmaus; Nazareth e Tiberiade.
E sapete in qual modo i francescani di Palestina sostengono tutto questo stupendo organismo di fede, di culto, di propaganda, di carità, di ospitalità? Sapete voi come hanno fatto a erigere i loro conventi, le loro chiese, le loro case ospitaliere, a mantenere il fasto dei riti, a soccorrere i poveri, a far andare avanti le scuole e le officine, a far vivere i pellegrini che non pagano nulla negli ospizi? Sapete come compiono, da soli, questo miracolo? Con la elemosina. L’ordine di San Francesco, come sapete, è fondato essenzialmente sulla povertà e nessun fraticello minore, neppure il superiore di tutti i francescani, padre Luigi da Parma, può possedere più di due tonache. La elemosina! Da tutte le parti del mondo, arrivano, alla Custodia di Terra Santa, le elemosine piccole e grandi; dai paesi più lontani, più strani, i credenti di Cristo si rammentano della sua Tomba e dei pietosi monaci che la guardano. Le Americhe del Sud, specialmente, sono larghissime di carità, l’Italia, ahimè, l’Italia cristianissima, l’Italia di San Francesco, l’Italia che ha la gloria del Papato, è quella che manda meno! Vi è un giorno speciale dell’anno, in cui tutte le questue, tutte le elemosine, sono destinate alla Custodia del Santo Sepolcro. Il credente che vive laggiù, spesso, quasi sempre, è povero: quando è ricco, la stessa vicinanza di quella sacra tomba, lo induce alla più generosa carità. Ogni pellegrino che è albergato, può non lasciare nulla: vi è chi non ha e non lascia nulla: vi è chi ha ed è avaro: ma vi è chi, avendo fatto una dimora di dieci giorni, lascia mille lire. I francescani non domandano; non si scoraggiano, se il danaro manca: sono fidenti; aspettano. E non aspettano mai invano, poichè San Francesco ha loro insegnato di esser poveri, ma fiduciosi: di esser poveri, ma di avere sempre in cuore una sublime speranza: di esser poveri, ma di credere nella gloria di Nostro Signore. O voi che mi leggete, oggi, domani, quandochessia, se mai il racconto semplice del mio semplice viaggio vi commosse, se mai quanto io vi provai, vi diede un sussulto di tenerezza, facendo risalire nella vostra anima i ricordi della fede infantile, se quanto io scrissi, schiettamente, con lealtà di cuore cristiano, senz’arte, senza adornamenti, come io vidi e sentii, se mai io abbia potuto avere questo successo di sentimento, il solo che io cerco, con queste disadorne parole, ebbene, rammentatevi dei fratelli, dei figliuoli di San Francesco, in Palestina. Compatiteli nelle traversie loro: ammirateli nel loro coraggio: imitateli nella loro fede operosa: amateli, nel nome di Cristo: aiutateli, in questo medesimo nome, che è la loro adorazione, che è la vostra, la nostra adorazione.