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Ogni critico letterario — critica piccina o grande — dopo che si è sbrigato a sfondare porte aperte, ammazzando, in mezza colonna, un poetino tanto elzeviriano quanto innocuo, gli dà l'ultima botta, dicendogli: non scrivete più versi. Qualcuno, anzi, arriva sino a dargli l'aureo consiglio: Non scrivete più, nè in versi nè in prosa. Ma il poetino ginnasiale, liceale, o appena universitario — oltre questi limiti la coscienza si risveglia e proibisce le azioni delittuose in edizioni eleganti — il poetino, dico, è sempre profondamente convinto del suo merito incontrastabile; nutre un disprezzo altissimo per la critica e lo manifesta per lo più nella prefazione, nel commiato, o in qualche brano più o meno lirico del volume; anzi non è lontano dal credere che una vigliacca congiura sia stata ordita contro lui, per ridurlo al silenzio. Invece egli scriverà ancora, di più, sempre. Non vi è che dire, il risultato è soddisfacente....
Ma alle volte qualche critico bonario, sprovvisto della quantità di fiele necessaria alla professione, ha l'infelice sì, ma disgraziata idea di ammonire così il versificatore: scrivete in prosa. O critico, critico, davanti a quale tribunale speri ritrovare misericordia? Lettori — non oso aggiungere aggettivo a questo prezioso sostantivo — non potrete mai immaginare quale colluvie di calamità, è in questo malcauto consiglio. Figurarsi se un giovanetto ventenne, che si sente disperato, perchè la gloria manca alla sua vita, non voglia profittare dell'incitamento!... È a questo incitamento che dobbiamo la profileria, la schizzetteria e sopratutto la bozzetteria.
Teorema ricavato da quanto si è detto: ad un uomo che scrive, preferire un uomo che legge.
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In sè il bozzetto è una bella cosa. Prima di tutto è breve. Quattro colonne di lunghezza chilometrica, senza la macchina a vapore per il relativo divoramento, possono condurre il lettore alle idee più nere, non lontana quella del suicidio per impiccagione. Il bozzetto invece, è amabilmente corto. Occupa per un quarto d'ora; quei tali quindici minuti perduti, che molte persone consacrano ogni giorno alla propria cultura intellettuale. Il bozzetto non ha mai in sè una grande idea, una di quelle tali grandi idee che, non si crederebbe e non si dovrebbe dire, ma spesso riescono incomprensibili e noiose; vi è, invece un'ideuccia piccina, graziosa, che saltella qua e là, che fa la civettuola, e si nasconde il visetto dietro la mano e sorride fra le dita. Sissignori, sorride; perchè il bozzetto ha quasi sempre una certa spigliatezza allegra. Di bozzetti lugubri, io non me ne conosco: tutt'al più, non sono bozzetti, sono marcie funebri. Quest'ideuccia bionda si veste di azzurro: è sottile, leggiera, evanescente. Intorno ad essa vi è un delicato lavorìo di forma, un intarsio elegante, la materia vinta dall'arte: rassomiglia ai meravigliosi ventagli delle nostre bisnonne, dal manico di avorio intagliato stupendamente e fragilissimo, dal raso su cui si fondono armoniosamente le gradazioni di colore di un pennello carezzevole, dal lieve orlo di piume bianche che ondeggiano. Il bozzetto ha in sè qualche cosa di morbido, di attraente che seduce: gli stessi feroci nemici della letteratura altrui, i letterati, si lasciano affascinare dai suoi vezzi, e lo leggono. Nel bozzetto si odono le paroline fuggenti dell'amore, gli scoppietti trillati di risa; passano e fuggono i piccoli sentimenti, i pensierucci fini, le malinconie serene, gli scherzetti del colore, le ironie gentili. Arte minuta, chincaglieria: dicono le teste grosse del romanzo e del dramma, con una smorfia sprezzosa. Sicuro, chincaglieria. Ma in questo caso, il bulino vale lo scalpello.
Conclusione importantissima: nel mondo, vi è ancora qualche cosa bella.
N. B. Si accettano firme sotto questa dichiarazione.
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Di primo acchito, al giovanetto che si rassegna a scrivere in prosa, sorride l'idea del romanzo. Egli compra mezza risma di carta, ne forma dei fascicoletti, trova un titolo sonante — l'argomento è cosa secondaria — e lo scrive sulla copertina, a grossi caratteri, col suo nome e la data. Solitamente non va più innanzi della metà del primo capitolo; non parrebbe, ma nel romanzo ci vogliono azione, dramma, dialogo, calore e sovratutto una grammatica costante per trecento facciate di stampa. Questa ultima condizione specialmente, crea una schiavitù, a cui i liberi sensi dello scrittore non possono sottomettersi. La novella, allora; ma le difficoltà crescono, perchè egli vuole scrivere qualche cosa di nuovo, di eccezionale; poi per il romanzo e per la novella si perde troppo tempo; le probabilità della pubblicazione sono poche ed il giovanetto vuole essere subito stampato e subito celebre. Non vi è altro che il bozzetto, forma artistica che lo seduce; anzi, guardandosi nello specchio, egli si accorge di avere il bernoccolo del bozzetto.
Il giornale domenicale, clandestino e letterario di Peretola, Il Tramonto, dove una schiera angelica di giovinetti idealisti si dà il gusto di pubblicare i proprii componimenti settimanali, stamperà subito il bozzetto, richiamando l'attenzione sovr'esso; oppure il giornale idem clandestino e letterario di Panicocoli, Lo Scorpione, in cui versano le loro imprecazioni domenicali molti giovanotti che non oserebbero ripeterle a casa per timore della mamma, accoglierà il bozzetto realista. L'autore compera venti copie del giornale e le spedisce agli amici; l'autore che si vede innanzi la via aperta e la celebrità prossima, si propone di scrivere altri bozzetti, molti bozzetti, sempre bozzetti. Moltiplicate questo caso unico; pensate quanti e quanti giornaletti si pubblicano in Italia; ritrovate la cifra immensa di bozzetti che fioriscono nel giorno che si dovrebbe consacrare al riposo — ed in ultimo riflettete con terrore, che il numero degli analfabeti va pur troppo diminuendo.
Osservazione pratica. La statistica è cosa inutile e dannosa: quando dice la bugia, non serve; quando dice la verità, urta i nervi.
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Classifichiamo dunque la Philoxera Bozzettistica Noiatrix, inclinazione morbosa che andrà a finire in epidemia. Chi ha scritto un bozzetto, ne riscriverà. È come il giuoco, è come l'ubbriachezza. Costano così poco — e valgono lo stesso. Un giovinettino che ne fa, mi confidava che potrebbe scriverne quattro al giorno, senza stancarsi: un altro che rimane dodici ore, scrivendo, cancellando, correggendo, lacerando, rifacendo, sudando, pur di cavarne le mani: ambedue mi spaventarono ugualmente. Un po' è anche la colpa di quella benedetta facilità con cui ogni cosa del mondo, creato ed increato, può essere soggetto di bozzetto. Nulla rimane di sacro. La tranquillità grassa e quadrata del terzo stato è turbata dai bozzetti borghesi, il popolo è più o meno male rappresentato nei bozzetti popolari; l'aristocrazia è afferrata e messa per forza nei bozzetti high-life; nessuno stato sociale, per umile e modesto che sia, sfugge al bozzetto. Amore, bohême, arte, mare, odio; tramvia, monumenti, divorzio, alpi, riabilitazione, pianura, mostre artistiche, natura morta e natura viva; non vi è che da scegliere. Si arriverà, io credo, al bozzetto amministrativo, al bozzetto fondiario, al bozzetto logismografico. Libero bozzetto, con quel che segue. Questa smania fa sì che gli autori non conoscono più nessun rispetto. Il bozzetto dovrebbe essere breve e lo fanno lungo, lungo, lungo; dovrebbe essere grazioso, e vi giuro che è appunto il contrario; dovrebbe essere lindo, leggiero, brillante come un gioiellino e chiamo a testimoni i numi che non vi è niente di questo; si desidererebbe umilmente che fosse piacevole ed invece....
Riflessione filosofica: le cose belle vanno soggette a guastarsi, non durano. Quindi tenersi da conto la propria bruttezza, che almeno è immutabile.
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Del resto, per sollevare gli animi afflitti al pensiero di tanta morbosità, bisogna soggiungere che è una morbosità tutta individuale; attacca l'autore, non danneggia il lettore. Fra i grandi misteri dell'umanità — attenti! — che rimangono inspiegabili, appunto perchè misteri, vi è il meraviglioso istinto del pubblico; quell'istinto, signori, per cui dalle prime righe di uno scritto purchessia noioso, il pubblico intende e butta via il giornale; quell'istinto sottile per cui i bozzetti, gli schizzetti, i profilucci, non trovano lettori; quell'istinto per cui il pubblico rifiuta in massa di leggere e massimamente di comperare un libro dal titolo perfidamente unico, in cui egli sospetti che sieno riuniti dei bozzetti. Questo istinto sviluppato, ampliato, educato, finemente, rende del tutto innocui poesie elzevire, giornaletti, bozzetti di tutti i generi e di ogni dimensione. (Questo paragrafo non è altro che un incensamento da cima a fondo, per ringraziarsi i lettori. Anzi:)
Conclusione delle conclusioni: Il pubblico lettore, è sempre una persona di molto spirito. (Applausi prolungati).