Matilde Serao: Raccolta di opere
Matilde Serao
Il paese di cuccagna
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17 - L’OSTERIA DI BABBASONE. - IL DICHIARAMENTO

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17 - L’OSTERIA DI BABBASONE. - IL DICHIARAMENTO

 

Nella piccola osteria di Babbasone sulla via che dal Moiariello di Capodimonte, scende ai Ponti Rossi, non vi era, in quella chiara mattinata d’inverno, nessun avventore. Era proprio una casa colonica, rozzamente fabbricata, formata da un pianterreno in cui si trovava una grande cucina affumicata, dal grezzo e ampio focolare di tufo, e da uno stanzone dove erano poste le tavole rustiche per mangiare e per bere. Al primo piano, a cui si accedeva da una di quelle curiose scale esterne meridionali, dormiva l’oste, con sua moglie, nella stanza sopra la cucina: e l’altra stanza, nuda, che serviva da dispensa, era piena di salami nerastri e formaggi puzzolenti: alle mura pendevano le trecce degli agli, i mazzi delle cipolle, delle sorbe, e qualche popone d’inverno sospeso a un vinco. Giù, innanzi all’osteria, vi erano due o tre pergolati, che dovevano essere stati folti di verde, nella primavera e nell’estate e che adesso erano scoperti, mostrando la loro rete di legno: sotto i pergolati, le tavole polverose e sconnesse, coperte di foglie secche scricchiolanti: di fianco all’osteria, era un giuoco di bocce, circondato da siepi basse di mortella.

L’oste aveva fatto fare una scala di legno, interna, che metteva in comunicazione il pianterreno col primo piano: e alle spalle dell’osteria aveva fatto aprire una porta, che dava sui campi.

Dalle finestre del primo piano si vedevano i sobborghi napoletani della via Reclusorio, della stazione ferroviaria e le paludi fuori Napoli e la Collina del camposanto: alla osteria si accedeva da due strade, una che veniva dal Moiariello, l’altra dai Ponti Rossi: vi era anche la via attraverso i campi, ma non contava. Però, se era deserta la campagna intorno alla rustica taverna, qualche comitiva, certo, si aspettava, perché la serva che era incaricata della cucina, nel silenzio di quella bella mattinata, dava, sopra un gran tavolone, dei forti colpi a certe costolette di maiale; sul focolare la caldaia dell’acqua bollente pei maccheroni, gorgogliava. innanzi alla porta dell’osteria, l’oste, uno scaltro contadino dal naso aguzzo e dal mento aguzzo, in un tinello, per terra, lavava dell’insalata e dei finocchi, buttandone le foglie cattive alle magre galline che pigolavano innanzi. L’ostessa, la moglie di Babbasone, era assente, il marito la mandava spesso in città, al mercato di Porta San Gennaro, a comperare qualche pesce fresco, della trippa, ciò che lassù, al mercatino di Capodimonte, era impossibile trovare: la mandava via spesso, quando gli conveniva, rimanendo in casa con la sola vecchia serva, che era tutta intenta alla sua cucina, servendo lui, e un suo ragazzetto di dodici anni gli avventori. Il ragazzetto, in cucina, grattava il bianco e piccante cacio di Crotone, che sembra calce e che brucia il palato, ma a cui le gole del popolo napoletano non fanno opposizione. Era un’ora dolce e tranquilla, appressandosi il mezzogiorno: l’oste ogni tanto levava gli occhi dal suo lavoro, per guardare in giù, se qualcuno arrivasse dalla via bassa dei Ponti Rossi; o in su, se qualcuno scendesse dalla larga strada del Moiariello: ma la faccia arguta di Babbasone era serena, come la mattinata di dicembre.

Si chinava, di nuovo, a immergere i ciuffi della lattuga nell’acqua già terrosa del tinello, quando senza che egli l’avesse veduta giungere, sorse dinanzi a lui una figura nera di donna. Era una ragazza, che di poco aveva oltrepassato i venti anni, ma così consunta dalla fatica, dalle privazioni e dai dolori, che pareva averne dieci di più: e nello scarno viso solo gli occhi grandi, neri, bruciavano. Era Carmela, la sigaraia, la infelice sorella di Annarella e di Maddalena, la disprezzata amante di Raffaele, detto Farfariello. Era giunta a piedi, naturalmente, senza far rumore: e sul volto, alla stanchezza del lungo cammino, si aggiungeva una esaltazione invano repressa. Era vestita come una stracciona, con un abito di percalla tutto sbiadito, in pieno inverno, con un cencio di scialletto rosso intorno al collo, e un grembiule di cotonina tutto aggrovigliato, legato intorno alla cintura.

- Buon giorno, compare, - diss’ella salutando l’oste con uno dei vocativi affettuosi del popolo napoletano.

- Buon giorno, bella figliuola, - rispose lui, covrendola con una occhiata di diffidenza.

- È permesso di bere un bicchiere di vino? - chiese, frenando il tremito della voce.

- Siete voi sola?

- E che fa? Non sono persona da spendere mezza lira?

- Voi bevetevi pure tutta la cantina, - disse l’oste, con un tono affettato di scioltezza.

E si scostò, per lasciarla entrare nello stanzone, seguendola sino a tavola. Ella si sedette a una rozza seggiola, dopo aver dato un’occhiata intorno, rapidissima: non vi era nessun avventore.

- Vino di Gragnano?

- Gnorsì.

- Una mezza di sette - gridò l’oste, verso la cucina, pulendo la tavola col suo grembiule. Ci volete mangiare qualche cosa? - soggiunse poi, sogguardando sempre la ragazza.

- Non ho fame, ho sete, - disse la ragazza, abbassando gli occhi. - Datemi due soldi di castagne secche.

L’oste, lentamente, andò a prendere una misurina di quelle bianche e raggrinzite castagne durissime, che eccitano la sete. Intanto il ragazzo aveva portato una caraffa di vetro verdastro, piena di un vino nerissimo, chiusa dalla solita foglia di vite. Carmela si mise a rosicchiare le castagne, piano piano, bevendo ogni tanto due dita di vino.

- Volete favorire? - disse all’oste, che gironzava intorno, un po’ inquieto.

- Grazie, - disse lui, che non rifiutava mai.

E siccome ci era un sol bicchiere, egli bevette un lungo sorso alla bottiglia, facendo gorgogliare il vino, asciugandosi le labbra.

- Come si sta quieti, qua sopra, - disse la ragazza, volendo attaccare discorso. - E avete gente, sempre?

- Non sempre: secondo le giornate.

- Vengono napoletani, eh?

- Vengono.

- Queste sono due lire, comprate un berrettino al vostro ragazzo, - mormorò ella, vedendo la diffidenza dell’oste. Costui le prese senza esitare e le intascò: poi stette, come aspettando la domanda.

- Deve venire una comitiva di giovanotti, verso mezzogiorno, eh?

- Sissignora.

- Ci sta un certo Farfariello?

- Così mi pare.

- Ah! - disse ella, con un profondo sospiro.

- Vi è fratello?

- Mi è innamorato.

- Non vi sono donne, con loro, - osservo l’oste, sbadatamente.

- Lo so, lo so, - diss’ ella, crollando il capo. - Ma non vengono soli

- Forse, viene pure un’altra comitiva.

- Per fare che? - gridò lei, sentendo concentrarsi la sua paura.

- Per mangiare, figliuola mia, per mangiare.

- Niente altro?

- Niente: da Babbasone, niente altro si fa.

- In parola vostra?

- In parola mia: fino a che stanno nella mia taverna, niente succede.

- Sì, ma dopo?

- Ah, dopo, dopo, io non ci entro. Quando si sono allontanati dieci passi, io non ci entro più, capite?

Ella rimase in silenzio, pensosa. Una macchia di vino era sulla tavola ed ella, col dito, l’allungava, disegnava dei geroglifici di vino.

- Compare, mi volete fare una carità?

- Non parlate così.

- Una vera carità, compare, che Dio vi renderà su quel bel figliuolo vostro! Fatemi assistere a questa mangiata, da una stanza, da un granaio, da un buco qualunque, donde io possa vedere, senza essere veduta.

- Figliuola mia, questi sono imbrogli in cui Babbasone non ci si mette.

- Se volete bene a quel figlio, non mi dite di no! Non è imbroglio, per quanto è grande il nome della Madonna! È un pensiero mio, è un capriccio mio, voglio vedere che fa questo innamorato mio…

- Già, per far qualche scenata, qualche lite

- Non mi movo, compare mio, non mi movo, ve lo giuro per la vista degli occhi! Guardo questa mangiata, niente altro!

- E non uscite?

- No.

- Non parlate con nessuno?

- No, no.

- Se vi trovano, non dite che vi ci ho posta io?

- No, no, no.

- Venite con me. - disse lui, risolutamente.

Ella si mise dietro all’oste, che uscì dallo stanzone terreno, e prese su per la scaletta esterna, che conduceva al primo piano: dal poggiuolo Carmela dette ancora un’occhiata alle due vie, che da Napoli conducono all’osteria di Babbasone, ma erano calme, deserte: non il più piccolo rumore di carrozza o di passi arrivava, in quella tranquillità del meriggio. L’oste fece attraversare a Carmela la stanza dove egli alloggiava con l’ostessa e le schiuse la porta di quella più piccola, accanto dove conservava le provviste per l’osteria. Un tanfo di lardi rancido e di formaggio piccante, afferrò alla gola Carmela che tossì.

- Qui starete benissimo, figliuola mia, - le disse Babbasone, portandola a una finestra che dava sulla facciata della taverna. - Se quei galantuomini vengono, mangeranno qua giù, sotto le pergole e voi vedrete ogni loro movimento. Solamente, mi dovete promettere che resterete dietro i vetri.

- Sissignore, sissignore, - promise Carmela.

- Che non scenderete giù, qualunque cosa succeda, avete capito? Io non voglio compromettermi, coi miei avventori

- Sissignore, non scendo, non dubitate, - ella mormorò, socchiudendo gli occhi quasi che vedesse innanzi a sé uno spettacolo spaventoso.

- Se no, vi chiudo dentro

- Non vi è bisogno, per quanto voglio bene alla Madonna, e non mi movo.

- E a rivederci, - disse quello, andandosene.

- Dio ve lo renderà, - gli gridò dietro la fanciulla.

E l’attesa cominciò, lunga, poiché i minuti che passavano, sembravano all’appassionata ragazza, avere la pesantezza del piombo. Pure, rimaneva inchiodata dietro quei vetri sporchi di polvere: il suo alito caldo li appannava sordidamente. Vi erano in quella dispensa un paio di sedie sgangherate e uno sgabello di legno, ma ella non pensò a sedersi, troppo le premeva fare la guardia alla finestra, guardando le due vie soleggiate, nella mitissima giornata d’inverno, scrutando la pace di quel paesaggio, dove tacevano i rumori della città. Solo, due volte, andò innanzi e indietro, in quella stanza ingombra di salami nerastri, di brune forme di cacio, il cui malo odore la soffocava: e vide che vi era un’altra finestra, che dava sulla parte posteriore dell’osteria, sui campi che salivano verso Capodimonte; anche da quest’altra parte vi era un grande silenzio, una calma perfetta. E come il tempo passava, una angoscia più acuta le mordeva il cuore; forse colui che le aveva riferito di quella scampagnata di Farfariello, insieme con altri amici, all’osteria di Babbasone, l’aveva ingannata, o forse ella aveva inteso male le spiegazioni datele: Farfariello e i suoi amici, e gli altri, forse, a quell’ora, erano già in qualche altro posto, e tutto accadeva lontano da lei, senza che ella potesse opporvisi; forse, a quell’ora, era già accaduto; ogni tanto ella volgeva gli occhi disperati al cielo, chiedendo che questo non fosse! A un certo punto, ella, non arrivando a domare la sua inquietudine, cavò il rosario dalla tasca e si mise a dire macchinalmente le avemmarie e i paternostri: diceva, pensando a un’altra cosa, vedendo una tetra visione, che ogni tanto faceva slanciare il suo cuore disperato verso la Madonna, perché salvasse Raffaele dalla disgrazia:

-… e nell’ora della nostra morte, - si sorprese a dire, ad alta voce, in un certo momento.

E fu nel medesimo momento, che un rumore di ruote, e uno schioccare di frusta si udì, dalla via di Capodimonte, e in una carrozza da nolo apparve Raffaele, insieme a tre altri giovanotti, quasi tutti della sua età.

- O Vergine Addolorata! - pianse la voce di Carmela, di dietro ai vetri.

La carrozza fu pagata da Raffaele: e contrariamente alle consuetudini, poiché sempre il cocchiere partecipa ai piaceri della scampagnata, questa volta il cavallo voltò e la carrozza scomparve dalla via donde era venuta. I giovanotti, coi calzoni stretti al ginocchio e il cappelletto sulle ventitré, facevano adesso grande baccano nello stanzone inferiore, forse perché il pranzo non era pronto: subito il ragazzetto dell’oste distese la tovaglia sopra una delle tavole che avrebbe dovuto esser ombreggiata dalle fronde del pergolato: ma questo era nudo. Intanto, con la più perfetta disinvoltura, quei giovanotti si erano messi a giuocare alle bocce, aspettando che si cuocessero i maccheroni: e Raffaele, specialmente, andava, veniva, quietamente, con quella grazia popolaresca che inteneriva il cuore di Carmela.

- Che tu possa esser benedetto! - mormorava lei, un po’ rassicurata da quella disinvoltura.

Adesso, seduti ai quattro lati della tavola, tirando i maccheroni nel loro piatto, da una larghissima scodella che era stata deposta nel mezzo, Raffaele e i suoi amici mangiavano, tirando continuamente, col grande appetito della giovinezza, e quello che l’aria fine d’inverno, e la freschezza della campagna. Bevevano molto e ogni tanto levavano su il bicchiere colmo del nero vino, dai riflessi bluastri, e guardandosi fisamente fra loro, dicevano qualche cosa e tracannavano di un fiato, senza fare una smorfia. Carmela, che non udiva le voci, capiva che portavano dei brindisi a qualche persona o a qualche cosa.

Sino ad allora tutto procedeva come una semplice e lieta scampagnata invernale, in una bella giornata confortata di sole, in una grande quiete campestre: e l’osteria, e l’oste sulla soglia, e il fanciullo che serviva la tavolata, e i quattro commensali avevano l’aria di una perfetta serenità, armonicamente fusa con la serenità intorno. Ma un nuovo rumore di ruote giunse, dalla via dei Ponti Rossi, e uno schioccare pomposo di frusta: Raffaele e i suoi amici levarono il capo, come per una mera curiosità, mentre Carmela, ferita al cuore da quel rumore, sentiva che le gambe le mancavano e pregava mentalmente il Signore, perché le desse la forza di non morire, in quel punto. Era una comitiva simile alla prima, di quattro giovanotti coi calzoni chiari e stretti al ginocchio, con la giacchetta nera attillata e il cappelletto abbassato sull’orecchio. Quello che conduceva la comitiva, Carmela lo riconobbe, Ferdinando l’ammartenato, disse qualche cosa al cocchiere, pagandolo, e il cocchiere ascoltò, abbassando il capo; si allontanò lentamente, per la via donde era venuto, senza voltarsi.

Le due comitive, guardandosi in faccia, seriamente, si salutarono con molta correttezza; e mentre Raffaele e i suoi continuavano a mangiare tranquillamente, quegli altri quattro si levavano i cappelletti e li appiccavano ai rami nudi degli alberi. Per loro i maccheroni furono serviti assai più rapidamente, poiché l’oste aveva fatto buttar nell’acqua bollente, quanti ne servivano per le due comitive: tanto che, a un certo punto, rallentando di mangiare la comitiva di Raffaele, e affrettando i bocconi quella di Ferdinando, si trovarono all’istesso punto: andarono procedendo di conserva, divorando a due ganasce le costolette di maiale e le foglie della lattuga in insalata, bevendo dei bicchieri di vino, uno dopo l’altro, come se fosse acqua. Quando bevevano, ogni tanto, le due tavole scambiavano qualche occhiata lunga ma improntata d’indifferenza. Malgrado il molto vino tracannato, tutti quanti pareva che conservassero la massima freddezza e qualcuno, talvolta, si arrovesciava sulla sedia, con un’aria di perfetta disinvoltura.

Eppure tutta quella scioltezza, tutta quella spensieratezza, eguale nelle due tavolate. bizzarramente eguale, quasi che le due compagnie ubbidissero a un tacito accordo, mancava affatto di quella lietezza naturale alle scampagnate napoletane, dove le risate, le grida e le canzoni salgono al cielo, in un coro che non finisce mai. Ogni tanto, i giovanotti che circondavano Raffaele detto u farfariello, si piegavano verso di lui ed egli sorrideva alteramente: era l’unico segno di allegrezza di quella brigata; e alla tavolata di Ferdinando l’ammartenato non sorridevano neppure, buttavano giù i bicchieri di vino, sempre, senza perdere una linea della loro serietà.

Di lassù, Carmela guardava: e i sorrisi del suo innamorato, e i bicchieri di vino tracannati dalle due brigate, e quella scioltezza pacifica non l’affidavano. Fra le altre cose, ella vedeva gli atti della conversazione, ma non udiva le parole; e le sembrava che un silenzio profondo regnasse fra tutta quella gente che s’intendeva a segni, un silenzio lugubre, oramai, nella gran pace della campagna. Una lenta ma sempre crescente angoscia le opprimeva il respiro, come se il cuore si fosse ristretto e non palpitasse che ad intervalli: ogni volontà, in lei, era vinta. Ella restava appoggiata, con la fronte al vetro impolverato della finestra, irrigidita, coi grandi occhi dolorosi fissi sul volto di Raffaele, quasi che vi volesse leggere quello che la mente di lui pensava. Adesso l’oste e il suo ragazzetto avevano portato le frutta, cioè le castagne secche bianche e un fascio di finocchi, dal torsolo bianco, dalle lunghe e sottilissime foglie verdi: insieme, altro vino. Poi, a un tratto, dopo aver udito qualche cosa all’orecchio, dal padre, il ragazzetto si tolse il grembiule bianco, si mise il berretto sulla testa e si allontanò correndo, per la via dei Ponti Rossi. E come la fine del pranzo si approssimava, Carmela sentiva vacillare la sua ragione, ella vedeva salire e crescere nell’anima sua un solo desiderio, quello di scendere di , di prendere pel braccio Raffaele e di portarselo via, con sé, lontano, dove non lo raggiungesserocamorristiguappi. Non osava. Da un mese Raffaele, già freddo, seccatissimo di lei, la fuggiva così ostinatamente, che ella arrivava nei posti ove egli era stato, sempre dieci minuti dopo: le aveva anche fatto sapere, che tanto, era inutile, che egli non voleva più saperne di lei. - Almeno mi dicesse lui, il perché, e mi contento, e me ne vado, - esclamava lei, piangendo, verso coloro che le riferivano le parole di Raffaele. Ma da un mese ella non lo aveva visto: e se aveva saputo che in quel giorno, due compagnie di guappi dovevano andare a un misterioso appuntamento, all’osteria di Babbasone ai Ponti Rossi, era stata una indiscrezione, strappata a forza, a un padrino di Raffaele: e costui glielo aveva detto, guardandola negli occhi, con una intenzione segreta che ella dovette indovinare, perché lo lasciò subito e a piedi, dalla sua casa dei quartieri bassi, si era recata lassù, ansando, dolorando, mordendosi le labbra, per non gridare e per non piangere.

Non osava scendere: capiva che Raffaele l’avrebbe vilipesa e scacciata, come aveva fatto sempre, villanamente, negli ultimi tempi: tremava di quella voce irata, di quelle parole di disprezzo. Adesso il pranzo finiva assai tranquillamente e già le due brigate fumavano i loro sigari, guardando in aria, con la seria beatitudine di chi ha bene pranzato e di chi si prepara a ben digerire; e in certi momenti era tanta la pace che trapelava da tutte le cose intorno, e tanta la tranquillità di tutti quei giovanotti, che Carmela, per un istante, sentiva addormentarsi la sua angoscia, sperando che tutto fosse un tragico sogno. Solo un istante, per poi ricadere di nuovo, più profondamente, in un abisso di dolore, in cui i minuti avevano una pesantezza drammatica. La tavolata di Ferdinando l’ammartenato si levò; e i quattro giovanotti, col movimento solito dei guappi si tiravano su i calzoni, stringendone le cinghie, si tiravano su le giacche, si mettevano i cappelletti, con un gesto altero, di traverso sul capo. Se ne andavano: passando accanto alla tavolata di Raffaele, seriamente si toccavano tutti il cappello con la mano, e gli altri risposero, con un lieve cenno del capo, dicendo tutti una parola che Carmela non potette udire e che era:

- Salute.

Se ne andavano: ella ebbe un respiro di sollievo. Ma invece di voltare per i Ponti Rossi, donde erano venuti e dove, forse, la carrozza li aspettava, Carmela li vide girare intorno alla casa, e a uno a uno, - ella era corsa all’altra finestra che dava sull’orto dell’osteria e sui campi, - ella li vide sparire, dietro una cortina verde di alberi. Affannata, di nuovo, era corsa alla finestra che dava sul piazzale dell’osteria, e dove la comitiva di Raffaele, o farfariello, si apprestava anche a partire. Tutto era salvo, se costoro prendevano la via di Capodimonte, donde erano venuti: volea dire che quelli erano stati veramente due pranzi, niente altro, con nessuna premeditazione, con nessuna conseguenza. I preparativi erano alquanto lenti, ma a un motto di Raffaele tutti si affrettarono, mentre costui, col sigaro smorzato in un angolo della bocca, pagava il conto all’oste, quietamente. E si levò, tendendo le braccia a prendere il cappello sospeso a un ramo d’albero: mentre faceva quel gesto, il panciotto si sollevò un poco e Carmela vide luccicare qualche cosa, alla cinghia che faceva da cintura: era il calcio della rivoltella. Pure, per un ultimo minuto, sperò ancora. Forse se ne andava, pacificamente, per le quiete vie campestri, alla città rumorosa; tanto, Raffaele la portava sempre, la rivoltella di corta misura! Ma l’orribile fatto che temeva, in un secondo, le apparve come una realtà: pian piano, Raffaele e gli altri tre giovanotti voltarono, non per la via di Capodimonte, ma dietro l’osteria per l’orto, e per i campi, seguendo la stessa strada dell’altra comitiva, raggiungendola, cioè camminando pacatamente, col loro passo elastico, uno dietro l’altro. Ah ella non potette più durare, sentendo lacerarsi qualche cosa dentro; corse alla porta della dispensa, la trovò chiusa, l’oste l’aveva serrata dentro! Ella, furiosa, cieca di dolore e di collera, cominciò a scuotere con le mani quella porta che era vecchia e tarlata e che le oppose poca resistenza: il paletto che l’oste aveva tirato si schiantò alle scosse, ella per poco non precipitò sul pianerottolo, per l’urto. A dirupo discese la scala esterna, ma sull’ultimo scalino trovò l’oste, che aveva udito tutto quel rumore e che era pallido nel suo volto raggrinzito di contadino. Costui le sbarrò il passo:

- Dove andate?

- Lasciatemi!

- Dove andate? Siete pazza?

- Lasciatemi

Egli le aveva afferrati i polsi e la guardava negli occhi: - Siete voi la femmina per cui si vonno ammazzare, eh?

- Madonna, assistimi! Lasciatemi!

- Vi volete fare uccidere?

- Sì, sì, lasciatemi!

- Volete che vi uccidano!

- Non importa! - gridò lei, svincolandosi con una strappata possente.

E correndo, affannando, singhiozzando, coi capelli disciolti sulla nuca che le sferzavano il collo, con la veste che le sbatteva intorno alle gambe, inciampando, rialzandosi, piangendo, empiendo quella serenità silenziosa campestre della sua disperazione, ella corse dietro alle due comitive, per la stessa via, voltando dietro la stessa collina di alberi verdi trovandosi in una stretta via di campagna, seguendola per istinto, comprendendo che quella era da seguirsi. Andava, andava, velocissimamente, scoppiando di singulti, tendendo l’orecchio, interrogando il silenzio.

Ma a dritta, un rumore secco e stridulo la fece sussultare; e subito dopo un colpo di rivoltella si udì, seguito da altri. Ella si buttò nel campo dove le due schiere dei popolani duellatori. continuavano a tirarsi dei colpi, a poca distanza. Buttandosi addosso a Raffaele, ella urlò disperatamente.

- Vattene, - disse lui, cercando di sciogliersi.

- No, - urlò lei.

- Vattene!

- No.

- Non è per te, vattene!

- Non importa!

Questo, in un minuto secondo: i colpi continuavano ancora, ripercuotendosi lugubremente nella campagna.

In un intervallo, ella scivolò lentamente, per terra, con le braccia aperte, con una palla nella tempia. La caduta di Carmela fu il segnale della fuga: tanto più che, violato brutalmente il gran silenzio verginale della campagna dai molti colpi di rivoltella, si udiva adesso arrivar gente dal villagio di Capodimonte, dalla via dei Ponti Rossi. Precipitosamente, le due schiere si dettero, a traverso i campi, per vie non tracciate e sparvero subito; sul campo del dichiaramento non restò, per terra, versando un rivolo di sangue dalla tempia, che Carmela. Accanto a lei, Raffaele, un po’ pallido, cercava stagnare la ferita, applicandovi un fazzoletto bagnato; ma il sangue continuava a sgorgare, come da una fontanella, gorgogliando, facendo una rossa macchia intorno al capo della fanciulla. Ella aprì gli occhi e chiese, fiocamente:

- Dimmi per chi è stato.

- Non ci pensare, pensa alla salute, - disse lui, agitato, guardandosi intorno.

- Adesso viene gente: scappa, - diss’ella, intendendo, pensando solo alla salvazione di lui.

- Ti lascio così?…

- Non importa, qualcuno mi aiuterà. Scappa, o ti arrestano.

- Addio, - disse lui, sollevato. - Ci vediamo all’ospedale dei Pellegrini: ti vengo a trovare.

- Sì, sì, - mormorò lei, chiudendo gli occhi e riaprendoli. - Scappa: addio.

Anch’egli fuggì, lestissimamente, senza voltarsi indietro; ella lo seguì con lo sguardo, mentre, sollevata a metà, si appoggiava il fazzoletto alla tempia e il sangue seguitava a colare nel collo, sulla spalla, in grembo. Era sola. Abbassava la testa, in una debolezza infinita; e quando arrivarono contemporaneamente dei contadini, il delegato di Capodimonte, due guardie, un carabiniere e un ortolano del Real Palazzo, dovettero sollevarla sopra una sedia, che l’oste Babbasone aveva portata, .

Andavano lentamente, per la stessa via per cui ella era venuta, mentre ella giaceva, con le gambe battenti ai piuoli, con le braccia prosciolte, e il capo che le batteva qua e , a ogni scossa della seggiola, versando larghe stille di sangue sul terreno. Innanzi alla osteria, dove ancora le due tavole erano coperte dalle tovaglie chiazzate di vino, la sedia fu posata:

- Volete qualche cosa? - domandò il delegato, un uomo tarchiato e bruno.

- Un poco d’acqua, per bere, - ella disse, schiudendo gli occhi lentamente, come se anche le palpebre le pesassero. Intanto, mentre si cercava una carrozza per trasportarla all’ospedale dei Pellegrini, le applicavano delle pezze bagnate nell’acqua fredda, sulla ferita.

- Come state? - domandò il delegato, che voleva procedere all’interrogatorio, vedendo che le forze le mancavano.

- Meglio: non è niente.

- Chi vi ha fatto questo?

- Nessuno, - diss’ella, quietamente.

- Chi vi ha fatto questo? Ditelo, tanto lo sapremo lo stesso, - insistette il delegato.

- Nessuno, - mormorò Carmela.

- Era un dichiaramento, eh? Quanti erano? - chiese con forza il delegato, il cui cuore era indurito, ormai.

- Non lo so.

- Quanti erano?

- Non so niente.

- Badate che, dopo, vi fo metter dentro!

- Non importa, - ella disse, chiudendo gli occhi.

- Era per voi, eh, che si sono tirati questi colpi di rivoltella? Per causa vostra?

- No, no, - disse ella, dolorando nel volto improvvisamente.

- E per chi era?

- Non lo so: non so niente, - ella soggiunse, definitivamente, come se non volesse rispondere più altro.

Il delegato si strinse nelle spalle, furioso. Ma un altro interlocutore giunse, dalla via dei Ponti Rossi: una donna dal vestito di lana verde tutto orlato color di rosa e dalla baschina di lanetta color granata, dai capelli neri lucidi tirati su, su, e dalle guance cariche di rossetto: era Maddalena, la disgraziata sorella di Carmela. Ella giungeva, affannata, con la fisonomia stravolta, con la pettinessa d’argento che non le reggeva più il cumulo dei neri capelli, con le scarpette di copale tutte impolverate, con un fazzoletto appoggiato alla bocca per reprimere i singulti: e quando vide folla intorno a una persona ferita, si buttò nel gruppo, disperatamente, gridando, scostando le persone, gittandosi alle ginocchia di sua sorella, avendo in quel gesto tutto l’abbandono di un dolore immenso, strillando:

- Sorella mia, sorella mia, e come è stato?

L’altra aprì gli occhi e mostrò sulla faccia un senso di doloroso stupore: con le deboli mani cercava carezzare i capelli neri di Maddalena, ma le dita livide tremavano:

- Come è stato, sorella mia! - esclamava singhiozzando clamorosamente Maddalena, mentre calde lacrime le rigavano le guance e le disfacevano il rossetto.

- Così, è stato, - disse Carmela, senz’altro.

- Sorella mia, e chi ha avuto il coraggio di farti questo, chi è stato l’assassino, dove sta, dove sta, portatemelo avanti?! - gridava Maddalena.

- Cercate di sapere la verità, - sussurrò all’orecchio della mala donna il delegato.

E fece cenno agli altri di scostarsi un poco, di lasciare le due sorelle, sole. Ora avevano fasciata la testa della fanciulla, rozzamente, e sotto quella benda il viso sembrava più minuto, più consunto, affilato da una mano diminuitrice.

- Sorella mia bella, sorella mia cara, - piangeva Maddalena, sempre inginocchiata, innanzi a Carmela.

- Non piangere: perché piangi? - diceva la ferita, con una voce singolare, grave, profonda.

- Dimmi chi è stato, - le chiese Maddalena. - È stato per Raffaele, non è vero? Ci è stata una rissa? Ah io lo sapeva, io lo sapeva, e non sono arrivata a tempo! Eh Madonna, Madonna, che non mi hai fatto arrivare a tempo! E debbo per questo vedere una sorella così ridotta!

Un lividore si era cosparso sulla faccia della ferita, udendo queste parole, e gli occhi si erano sbarrati. Con un forte sforzo levò un po’ la testa e disse a Maddalena, guardandola:

- Dimmi la verità

- Che vuoi, core della sorella?

- Voglio che mi dici… ma pensa come mi vedi, prima, pensaci… voglio che mi dici tutto…

Allora l’altra, caduta in una nuova afflizione, tremò tutta: e tacque.

- Hanno fatto un dichiaramento, - pronunziò a stento Carmela, tenendo gli occhi intenti in sua sorella. - Erano otto, erano: e ci stava Raffaele, ci stava Ferdinando l’ammartenato: e l’hanno fatto per una femmina

- Madonna mia, Madonna, - seguitava a piangere Maddalena, con la faccia fra le mani.

- Chi è questa femmina? - disse la ferita, mettendo le mani sul capo della sorella e quasi forzandola a levare il volto.

Quella non fece che guardarla, con gli occhi pieni di lacrime.

- Sei tu, sei tu? - disse con voce cavernosa la ferita.

E la mala donna si ributtò indietro, levò le braccia al cielo e gridò:

- Sono un’assassina, sono un’assassina!

Il volto di Carmela si fece terreo; sottovoce, borbottando, come se più la lingua non l’aiutasse, diceva anche lei:

- Assassina, assassina.

- Hai ragione, hai ragione, sorella mia, sono una infame! - gridava Maddalena, torcendosi le braccia.

Subito dopo, tutta la benda da cui era circondata la testa della ferita s’intrise di sangue, largamente: e cominciò a gocciolare sangue dal naso. Il delegato che era accorso, aggrottò le sopracciglia: e fece cenno alla carrozza, che si avanzava per trasportare la ferita all’ospedale dei Pellegrini, di fermarsi.

- Sorella mia, perdonami, sorella mia cara, - piangeva Maddalena, stramazzata ai piedi della sedia.

Ma quella non udiva più. Le rigava la bocca il sangue che le colava continuamente dal naso, e cadeva sul petto - e il terreo pallore del viso si allargava al collo; gli occhi socchiusi mostravano solamente il bianco, le mani appoggiate sulle ginocchia, raspavano la misera lanetta scura del vestito, come se cercassero, con quel gesto che fa una straziante impressione di terrore e di pietà. A un tratto schiuse la bocca, mancandole il respiro.

- Sora mia, sora mia! - gridò Maddalena, comprendendo, levandosi sulle ginocchia, anelando.

Ma dalla bocca, violetta già, uscì un altissimo e lunghissimo grido, profondo come strappato dalle viscere, straziante, doloroso come se in esso si unissero tutti i clamori di dolore di una vita, un grido così forte e lugubre che tutto parve si scotesse, intorno, uomini e cose, e che la campagna si scolorisse. La mano destra di Carmela, vagamente, cercò ancora qualche cosa e finì per trovare la testa di Maddalena, su cui si posò, su cui si raffreddò, su cui si gelò. Gelida era la fisonomia della morta: ma oramai tranquilla: e silenziosamente curva, sotto quella mano perdonante, la superstite: e tranquilla, silenziosa, la campagna, intorno.

 

 


 


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