Matilde Serao: Raccolta di opere
Matilde Serao
All'erta, sentinella!
Lettura del testo

TRENTA PER CENTO

II.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

II.

 

La bionda signora veniva pel Corso Vittorio Emanuele, camminando sul marciapiede di sinistra lungo quel poggiolo da cui si discopre tutta Napoli. Ma, o indifferente o distratta, non aveva uno sguardo per quel seducente paesaggio di mare, di campagna, di città che si svolgeva alla sua sinistra; e camminava prestamente, tutta raccolta o stretta nel caldo mantello invernale, con gli occhi bassi dietro la sottile veletta nera, con le piccole mani guantate di capretto nero e ficcato dentro il bruno manicotto. Non guardava il paesaggio, i passanti, guardava solo il selciato su cui prestamente, prestamente camminava. Pure, ebbe il senso di un'ombra che le si parava innanzi, e levò i profondi occhi neri, carichi di dolcezza.

Buongiorno, signora Eleonora — le disse il giovanotto, a bassa voce, ma guardandola fisamente negli occhi, come se non potesse staccarseno.

Buongiorno, signor Paolo — fece ella, come per salutarlo o per licenziarsi tirando avanti per la sua strada.

— Non permettete che vi accompagni un minuto? — fece lui, supplicando — sono pochi passi soltanto.

Ella abbassò il capo, e sul candido quasi trasparente pallore del volto un'onda di sangue apparve. E camminarono insieme, più piano, senza dire nulla.

Perchè mi aspettate sempre? — chiese ella, improvvisamente, con un corruccio pieno di malinconia.

Perchè non posso fare diversamentedisse lui, come mortificato, piegando la testa.

— Mi fate dispiacere mormorò la bionda signora, e parea che le lacrime avessero velata la sua voce e i suoi begli occhi dolci e profondi.

— Non dite questo, non lo ditepregò lui come soffocando. — Per non darvi un dispiacere, morirei.

E urgeva nella sua voce bassa e tremula, urgeva la forte e disperata passione. Ella lo guardò e si tacque, cercando di affrettare il passo. Per fortuna, a quell'ora, in quella fredda mattinata d'inverno, erano pochi i passeggiatori del Corso: la bella via sopra Napoli era percorsa da venditori di frutta e di erbaggi, da operai e operaie, gente affaccendata, gente preoccupata, frettolosa, che correva al suo lavoro, alle sue cure, senza badare a quella pallida coppia di passeggiatori, che si parlavano senza guardarsi in viso e i cui occhi avevano l'espressione di un ardente dolore.

Egli prese dall'occhiello un mazzolino di pallide e fredde violette, un po' rosicchiate dal gelo, cercò di metterlo nel manicotto di lei, pian piano. Ella si sentiva così addolorata e così debole, che non osò respingere quel tenue dono, dal profumo sottile, e tirò il mazzolino entro il manicotto.

— Me lo ha dato una ragazzina scalza e morta di freddo; era il primo che vendevanarrò lui, come per distrarsi da un pensiero dominante, — mi ha detto, tremando o battendo i denti, che io le avrei forse portato fortuna.

— Il mondo è pieno d'infelici — fece ella, vagamente, guardando l'orizzonte.

— Voi avete pianto, stamane, signora Eleonora.

— No, no — rispose subito ella.

— Sì, avete piantoribattè lui, guardandola amorosamente, disperatamente.

Perchè avrei dovuto piangere? Vi assicuro di no — fece la bionda signora, guardando verso il mare, per fuggire l'inchiesta di quegli occhi disperati.

Perchè volete nascondermi quel che soffrite, signora Eleonora? Forse che io non indovino tutto? Forse che io non so tutto, così fatalmente? Non lo sapete che io vi amo?

— Vi avevo detto di non pronunziar mai questa parola, signor Paolodisse ella, severamente. — Lasciamoci, vi prego.

Benemormorò lui — non dirò più questa parola, se essa tanto vi offende. Ma mi avevate permesso, come ad amico, come al più umile, al più sconosciuto dei vostri amici, d'interessarmi a voi onestamente, candidamente. Non mi levate anche questo, sarebbe una ingiustificata crudeltà.

Scusate, — ella disse ravveduta, — ma sono realmente così infelice, così abbandonata, così solitaria, che oramai tutti i soccorsi umani mi danno sospetto e mi offendono. Mi pare che tutto, che tutti vogliano aumentare i miei tormenti, coloro che mi odiano, coloro che mi abbandonano e coloro che mi amano. Sono ingiusta, lo so. Credo che non avrò più nessuno, fra poco.

— Per lasciarvi, dovrei morire, — ribattè lui, fermamente.

— Non parlate di morto, — fece ella, come spaventata.

Perchè avete pianto? — domandò lui, di nuovo, ostinato.

— Ero andata in chiesa, — disse lei, — e ho pregato molto, molto. La preghiera è una cosa straziante e dolce, nel medesimo tempo. Mai sentiamo tanto il peso dei nostri mali, come quando preghiamo il Signore di darci la liberazione, la liberazione anche con la morte. Ciò mi ha fatto piangere, lo scavare nelle ceneri del mio cuore ma ciò mi ha anche molto consolata.

Egli vi ha maltrattata, di nuovo? — diss'egli, andando al fatto, rozzamente.

— No, no, — rispose ella, con voce dolente, — non mi ha punto maltrattata.

— Allora… — domandò lui, illividendo di collera gelosa — allora… il contrario?

— Niente, niente, — sussurrò ella, con la stessa voce dolente, come se fosse infranta per sempre.

Ma erano arrivati assai più avanti della scaletta che dal Corso conduce al palazzo Cariati, dove abitava la signora Eleonora. Avevano finanche oltrepassato l'hôtel Bristol e l'hôtel Bellevue e si trovavano in un lato del Corso assai campestre, assai deserto. Ella fu la prima ad accorgersene:

Torniamo indietro, vi pregosupplicò, guardandolo coi suoi occhi timidi e dolci.

Torniamo, — fece lui, vinto. — Ma mi direte che cosa egli vi ha fatto, per farvi piangere.

— Nulla, nulla.

Ditemelo, signora Eleonora, ditelo al vostro migliore amico.

— Egli non è rientrato, stanotte. È da ieri mattina che non ritorna a casa, — scoppiò ella a dire, con un lamento di persona straziata.

Egli la guardò tacendo.

— Ma dove sta? — riprese ella, come se parlasse a stessa, come se continuasse ad alta voce un discorso interiore. — Che cosa fa? Perchè non torna a casa? Ha perduto ogni amore, ogni coscienza, ogni senso di pudore? O è forse in pericolo? Se sapessi almeno dove va? Ma non so niente, io, proprio niente. Sono una misera donna ignorante e debole, che non lo posso difendere, salvare!

Le parole le uscivano dalle labbra convulsivamente, come se dovessero affogarla: ella parlava a scatti, con improvvisi scoppi di voce, come se fosse sola, nel suo salotto, e non nella pubblica via, accanto a un uomo che l'amava senza speranza.

— Voi amate sempre vostro marito, signora Eleonora, — disse lui gravemente.

— Sempre, — rispose ella con fermezza. — Io gli debbo amore e rispetto.

Egli non rispose nulla, ma si tramutò di colore e la signora Eleonora potè vedere che gli occhi di quell'uomo forte e coraggioso erano pieni di lacrime.

— Il dovere... — disse lei, vagamente come per sua scusa.

— Egli non compie con voi nessuno dei suoi doveri, — riprese colui che l'adorava.

— Che importa? Se si amasse solo per essere ricambiati.... sarebbe un troppo lieto mondo.

— È verosospirò lui.

— E poi, chi sa! Da qualche giorno egli mi pare così turbato che non oso rimproverarlo; non oso neppure interrogarlo. A volte si siede in un cantuccio della nostra grande terrazza e tace, fumando per ore intere.

— Lo vedo; — disse il signor Paolo — dalla finestra della mia stanza si vede tutto.

— ... a volte è di un folle buonumore, come se volesse stordirsi, dimenticare. Oh signor Paolo, certo egli è in pericolo! Non è mai stato una notte senza tornare a casa.

— Io l'ho visto, ieri sera, — e il signor Paolo, pronunziò queste parole, freddamente o distrattamente.

— Oh per carità, ditemi dove? — fece ella, congiungendo le mani, in atto di preghiera.

Perchè dovrei dirvelo? — ribattò lui, con un po' di durezza. — Sono forse il custode di vostro marito?

— Avete ragione — e chinò li occhi un po' umiliata. — Io vi sono di gran tormento. Almeno... per rassicurarmi.

— Oh potete rassicurarvi —— foce lui, sorridendo ironicamente — vostro marito non corre alcun pericolo.

E continuò a sorridere ironicamente. Ella era diventata tutta timida, intravedendo la verità, non osando domandar nulla.

— Lo vidi ieri sera — fece lui, distrattamente — a quel teatro che chiamano il Giardino d'inverno. Non ci siete mai stata?

— No: non vado in nessun posto.

— La mia domanda era sciocca, scusatemi. Il Giardino d'inverno non è fatto precisamente per le signore oneste.

Ella aveva chinato gli occhi e impallidiva. Ma egli aveva sofferto troppo e lo teneva come un piacere acuto della sua sofferenza e dell'altrui. Continuò, fiacca niente, come se narrasse un fatto poco interessante:

— Il Giardino d'inverno è un po' teatro, un po' café-chantant, un po' trattoria dove si cena allegramente dopo lo spettacolo. È il ritrovo di giovinotti galanti, di mariti indipendenti e di signorine galanti e indipendenti...

— Ho inteso, ho inteso, — fece ella, affrettando il passo, come per non udire più.

Ora che pare sia venuto un tempo di grande prosperità per Napolicontinuò lui, deciso ad andare sino in fondo, — poichè tutti quelli che credono in queste banche sono diventati ricchi, e sono diventati ricchissimi i banchieri, il Giardino d'inverno, ogni sera, è pieno di gaudenti. Quanto denaro corre! Vostro marito, ieri sera, faceva risuonare i suoi napoleoni d'oro innanzi agli occhi dipinti di Lidia Gioia.

Ella non osò più dire nulla; ma le fiamme della vergogna le erano salite al volto delicato. Stava quasi per arrivare alla sua casa, quando un dubbio ricominciò a crucciarla.

— Mio marito è mescolato in queste banche? — domandò.

Pare, col banchiere Costa.

— Ed è una cosa pericolosa?

Chissà! Per ora tutti ci credono...

— Lo so, è una follia di tutti.

— Ma anche una catastrofe potrebbe avveniremormorò lui.

— Una catastrofe?

— Tutte le coscienze oneste si ribellano a questa singolare fantasmagoria...

— E dite che mio marito vi è seriamente mescolato?

Seriamente: pare, almeno.

Ella ebbe un moto di ribrezzo, mentre scendeva la scaletta che conduce dal corso Vittorio Emanuele alla discesa delle Colonne Cariati. Si fermò nella stradetta, come se volesse licenziare il giovanotto.

Sentite — gli disse, — voi mi avete rassicurata, ma mi avete fatto molto male, molto male con la vostre notizie.

— Siete così buona da esser gelosa di vostro marito?

— No, disse lei, fermamente — non sono gelosa. Solamente quest'affare di banche, di denari altrui, questo giuoco che voi dite così pericoloso, mi una grande inquietudine. Volete essermi veramente amico? — soggiunse con quella dolcezza che lo affascinava.

Ordinate.

Vediamo di salvare insieme mio marito. Ve l'ho detto, non sono gelosa: ma vivo nella sua casa: porto il suo nome. Il suo disonore mi disonorerebbe: la sua catastrofe ricadrebbe su me. Vedete d'informarvi minutamente, profondamente, che cosa vi è di vero in questo imbroglio; fate una inchiesta: cercate di sapere la verità, come se foste un giudice d'istruzione. E se vi è un pericolo serio, lontano o vicino, se vi è semplicemente un pericolo, venite a dirmelo, francamente, duramente.

— Lo farò, — disse lui, soggiogato.

— lo, allora, parlerò a mio marito. Egli mi sente, talvolta. Questa volta la mia voce avrà tale ardore, che spero di salvarlo.

— Siete una santamormorò lui, — ma non credo che questo miracolo vi riesca.

Credete mio marito assai compromesso? — diss'ella, spaventata.

— Non so, — disse lui, imbarazzato, — m'informerò, credetelo, come se si trattasse di un mio amico, — soggiunse amaramente.

Ma cominciava a passar gente che guardava curiosamente quella coppia, indovinando forse qualche cosa. Era proprio vicino a casa sua, la signora Eleonora, non doveva che girar l'angolo del giardino Cariati. Gli stese la picciola mano calzata finemente dal guanto nero, ed egli la trattenne un minuto fra le sue:

Addio, — ella disse, — debbo andare, tutti ci guardano.

— Abbiamo sempre parlato di lui... — diss'egli malinconicamente.

— È la nostra salvaguardiamormorò lei, — così mi pare di esser meno colpevole. Addio, signor Paolo.

Dite: a rivederci.

— A rivederci... non so quando.

— Appena avrò le notizie.

E la guardava così amorosamente che ella sentì tutto il suo debole cuore consumarsi di pietà...

Perchè andate anche voi, la sera, al Giardino d'inverno? chiese, con un lieve sorriso.

— Così, per distrarmimormorò lui rosso di gioia.

— Ma eravate solo, nevvero? — gli domandò, con una fiducia profonda.

— Solo, sempre solo, caradisse lui, inebbriato.

— Non ci andate più, — gli gettò lei, scappando via con un sorriso incantevole.

Egli la vide fuggire, figura snella e bruna, con un passo più leggero, e voltar subito l'angolo del giardino Cariati. Anche lui abitava nell'immenso palazzo Cariati, al terzo piano, mentre ella stava al secondo. Ma non osò seguirla, non osò ritornare anche lui a casa, per paura dei mille vicini che abitavano in quell'alveare. Risalì sul Corso, portando macchinalmente alle labbra la sua mano, quella che aveva tenuta la mano della bionda signora Eleonora.

Sotto l'ampio portone del palazzo Cariati la signora Eleonora Triggiano incontrò il suo vicino, il professore de Peruta, che usciva per un altro giro di lezioni. Ella gli sorrise benevolmente, poichè era sempre buona con quel povero lavoratore, timido e infelice, a cui un sorriso di donna era una grazia speciale: e immediatamente il povero professore, affascinato da quella benevolenza muliebre, si fermò innanzi alla signora. Per il freddo di quella mattina egli aveva indossato un certo suo cappottone marrone chiaro, grosso di pelo, come tutto gonfio per la flanella che lo foderava, e portava un paio di guanti di lana, molto grossi, dalle dita enormi, ma che per essere troppo corti, gli lasciavano scoperti i polsi e portava, pel freddo, il cappello abbassato sugli occhi. Era assai grottesco: ma fermò la signora, come facea sempre per scambiare con lei due o tre parole imbarazzato, confuso:

— State bene, signora? — chiese, con un'ansietà precipitosa, come s'ella fosse stata ammalata per qualche tempo. Invece era per covrire il suo imbarazzo.

Bene, graziedisse lei — e voi, professore, sempre al lavoro?

— Sempre. È per me un gran confortosoggiunse vagamente, pensando che era meglio andarsene, ma non sapendo come licenziarsi.

— E la vostra famiglia, sta benediss'ella, per dire qualche cosa, per essergli cortese.

Grazie, graziedisse lui, commosso. — Ieri ho ricevuto una lettera, una lunga lettera di mia sorella. Mi domandano.. mi domandano di quelle banche.. — mormorò, come improvvisamente preoccupato.

— Anche loro? laggiù? — fece ella meravigliata, non potendo dominare un lieve pallore.

Pare.., n'è giunto il rumore in provincia. E poi... — soggiunse stentatamente — le donne di provincia sono curiose... vogliono saper tutto da noi… credono che noi sappiamo tutto...

— Ma vogliono forse fare anch'esse qualche affare di banca? — ribattè lei, con un po' di sgomento nella voce.

— Non credo, non credo, — continuò a dire lui, stentatamente, come se non potesse inghiottire un boccone. Non hanno denaro, non possono averne, lo sapete siamo assai poveri.

Meglio così, forse, — diss'ella, lentamente. — avete loro risposto?

— Si, subito. Ho scritto loro che queste banche non erano che una truffa, non potevano esser altro che una truffa. Così staranno in guardia.

— Ma se dite che non hanno… da perdere?

— Faranno stare in guardia gli altri — disse lui, sempre stentando a parlare.

Buongiorno, professore, — disse lei, improvvisamente, andandosene assai pallida, come se un freddo mortale l'avesse colpita.

Egli la guardò ancora inoltrarsi nel cortile, e cominciare a salire le scale: e se ne andò al suo lavoro preoccupato da quella lettera ricevuta, dove la sorella gli chiedeva con molta premura notizie delle banche, dicendo che le chiedeva per curiosità, per sapere, niente altro; ma al fratello era parso di scorgere una certa ansietà in quella lettera. Non avevano nulla, nulla, sua madre e sua sorella; ma perchè tanta curiosità?

In quanto alla signora Eleonora Triggiano, salendo lentamente per le scale, come se fosse stanca, sentiva aggravarlese sulle spalle tutto il peso delle sue cure.

Appena entrò in casa la cameriera lo consegnò un biglietto di suo marito, scritto col lapis e datato dalla stazione centrale. Diceva semplicemente cosi:

«Cara EleonoraVado a Salerno, per affari della banca Costa: vi è da guadagnare una quantità di denaro. Ritornerò fra tre o quattro giorni. A rivederciCarlo

Non una parola di affetto, non una parola per lei; sempre questa banca, sempre questo denaro. E forse non era andato solo! Forse, quella donna… come l'aveva chiamata il signor Paolo?... quella Lidia Gioia, giusto, un nome falso sicuramente, era con lui. Buttò via il cappello e il mantello, senza rispondere alla domanda della cameriera che le chiedeva se volesse far colazione, e si sdraiò sulla poltrona stringendosi la fronte e gli occhi sotto le mani intrecciate. Non era più gelosa, no: aveva detto la verità a Paolo Collemagno. Ma sembrava che le pesasse sulla vita una catastrofe imminente: aveva uno di quei momenti di dissoluzione assoluta, quando pare tutto crollante intorno e non un punto di appoggio per la povera anima pericolante. Era sola. Candidamente, onestamente aveva affidato il suo cuore e la sua vita al marito, a Carlo Triggiano: costui aveva disprezzato questo cuore e staccata a sua esistenza da quella di sua moglie, pur restando indissolubilmente uniti innanzi alla legge e alla società, Non aveva figliuoli, parenti, amici, nessuno. Anzi, aveva un amico solo: ma Paolo Collemagno l'amava di amore, da due anni, senza rimedio, senza salvezza, ed ella pensando al povero e buon giovane, di cui era la sola ragione della vita, pensando a quella invincibile passione, sentiva innanzi a un altro abisso, una perdizione. Ella era veramente virtuosa e buona, con l'orrore del male, con l'orrore del peccato: ma tante resistenze del suo animo erano cadute innanzi alla pietà.

La pietà, la pietà! Chi aveva pietà di lei, nella solitudine, nell'abbandono? Stava sdraiata in una stanza silenziosa, nella penombra di una giornata fredda e bigia d'inverno, e tutta la sua casa era silenziosa, come lo era tutt'attorno, quel vastissimo palazzo Cariati, alto tre piani dalla parte del Corso, alto sei dalla via della Concordia, con due scale grandi, tre più piccole e due di servizio, con ventiquattro fra appartamenti piccoli e grandi. Qual solitudine! Dove era il marito? A Salerno, complicandosi in quei terribili affari che le davano tanto spavento, e che lo avrebbero forse condotto alla catastrofe del suo onore: a Salerno, in compagnia di quella donna dagli occhi dipinti, di Lidia Gioia, che mangiava allegramente i napoleoni d'oro, guadagnati illecitamente. La solitudine! Ma dove era dunque Paolo Collemagno? Oh certo quello era poco lontano, nella sua stanza del terzo piano, scrivendole una di quelle lettere profondamente commosse, a cui ella non aveva mai risposto, ma che non osava respingere, per pietà. O forse era In cerca di notizie precise, per quell'ardente preghiera che ella gli aveva fatta, per salvare suo marito: e questo significava ancora amarla, amarla così bene, così eroicamente, che ella si sentiva turbata nell'anima, sentendosi legare da un vincolo di gratitudine profonda. Ma giusto colui che l'amava, che sarebbe accorso a lei con passione, che non l'avrebbe lasciata mai, giusto Paolo Collemagno ella non poteva chiamarlo a : la solitudine era la purità, quella compagnia sarebbe stata il peccato. Sola, sola, sola.

E quando entrò la cameriera a dirle che donna Concettina, la bizzoca volea dirle qualche cosa, pur di uscire da quella solitudine, pur di uscire da quella desolazione, pur di liberarsi da quella cappa di pensieri dolorosi che la opprimeva, disse di sì. La conosceva poco, questa donna Concettina, la bizzoca, l'aveva solamente incontrata nel cortile qualche volta essendo vicini: donna Concettina abitava nella terza scala, al secondo piano: e andava sempre poveramente vestita, sempre taciturna, con gli occhi bassi o il passo così cheto, che pareva avesse le scarpe con la suola di feltro. E così cautamente la vide entrare. Era vestita di lana nera con un grosso scialle anche nero e un cappello di crespo nero legato sotto il mento: le mani giallastre, malgrado il freddo, stringevano una di quelle vecchie borse di tappezzeria, su cui è ricamato un gallo che canta, a colori più stinti.

E tutto il volto di donna Concettina, la bizzoca, era di un pallor cereo, uguale, come se non vi scorresse, sotto, una sola goccia di sangue: le palpebre un po' scuricce coprivano sempre lo sguardo cauto e le labbra sottili erano di un color di rosa pallidissima.

— Sia lodato Gesù e Maria! — disse con voce bassa.

Oggi e sempre, — rispose la signora Eleonora che conosceva la giaculatoria.

— Non vi disturbo? — chiese la beghina, guardandosi attorno e incrociando le mani di un pallor cereo, tutto eguale, sulla borsa,

— No, per niente; — rispose la signora Eleonora cercando di sottrarsi ai suoi tetri pensieri.

— Voi mi dovete fare una carità, — mormorò donna Concettina.

Volontieri, per quanto posso, — rispose la signora Eleonora, che non era molto ricca, ma aveva il cuore ai poverelli.

— Io so che voi siete un buono spirito, una santa persona e ho pensato che non mi avreste detto di no. Sarà proprio una grazia particolare.

Dite, dite, — ribattè pazientemente la bionda signora non volendo dimostrare la sua noia per tanti preliminari.

Dovete sapere che io e mia madre siamo così povere, così povere, che se non avessimo quell'arte di rammendare le calze di seta e i merletti antichi, proprio non sapremmo come vivere. Ah signora mia, com'è duro, com'è difficile vivere onestamentesoggiunse con un sospiro, come se uscisse da lotte terribili, dove la sua virtù era per naufragare.

— È vero, è assai difficileosservò la signora Eleonora, con un profondo sospiro.

— Chi non ha i suoi tormenti? — riprese la beghina, gittando uno sguardo scrutatore sul bel volto di Eleonora. — La vita è una milizia. Chi combatte molto, chi poco, ma tutti combattono. Mia madre ed io siamo state in una continua guerra. Ora solamente, pare che ci sia un filo di speranza.

— In che modo? — chiese distrattamente la signora Eleonora che quelle omelie annoiavano, senza giungere a distrarla dalle sue cure.

— Con queste banche, — mormorò la beghina, dando ancora uno sguardo attorno.

— Le banche? — esclamò Eleonora profondamente meravigliata. — Già. — Tutti profittano di questa pioggia d'oro, di questa manna che il Signore fa piovere dal cielo; è una vera benedizione che si spande sulla città di Napoli, che proprio non se la sarebbe meritata, per i suoi peccati. Perchè noi poverelle non ne dobbiamo profittare, un poco? Non siamo anime di Dio, anche noi? Abbiamo tanto sofferto perchè non dobbiamo essere confortate anche noi?

— Ma come? — fece Eleonora, sempre più sorpresa.

— Io, in verità, — continuò la beghina, senza badare alla domanda, — mi sono consultata prima con don Teofilo, il nostro santo parroco. Mammà ed io non facciamo un passo, senza domandare consiglio a lui. Quel buon sacerdote, quando gli ho esposto le nostre necessità, mi è stato a sentire, a sentire, poi m'ha detto che quanto facevo non era contrario alla volontà di Dio. Non muove foglia, che Dio non voglia! Dunque il Signore ha permesso che queste banche esistano; dunque non si fa peccato ad averne vantaggio.

— Ma come, come? — chiese per la terza volta Eleonora, al massimo della curiosità.

— Io sono venuta da voi, — riprese la beghina, indicando che veniva al fatto, — perchè il marito vostro don Carlo, è tutta cosa del signor Costa, quel gran banchiere, quel benefattore di Napoli; il signor Carlo può fare assai, per mammà e per me. Lo volete pregar voi che siete la moglie?

Donna Concettina, voi non mi avete detto che cosa desiderate dal banchiere Costa. Mio marito, sì… credo che lo conosca...

— Altro che lo conosce, è collettore...

— Come sarebbe?

Collettore.

La signora Eleonora ebbe come un colpo al cuore, da questa parola misteriosa. Non disse nulla. La beghina aveva immersa la mano nella borsa, dove era ricamato in tappezzeria il gallo e cercava nel fondo. La signora Eleonora credè di vederne uscire la supplica con cui donna Concettina, anche a nome di sua madre, cercasse un piccolo sussidio al grande banchiere Costa. Ma non ne uscì una carta piegata di lungo, come è l'abitudine di scrivere le suppliche a Napoli; ne uscì, invece, un portafogliaccio di cartapecora gialla, proprio gialla, qua e scuoiato e tenuto stretto da uno spago.

La beghina lo teneva preziosamente nella mani, toccandolo come se fosse un oggetto sacro, e deponendolo sulle ginocchia, dopo aver posato la borsa a terra, che si afflosciò come un cencio molle, aprì il portafogliaccio.

— Noi vogliamo mettere le nostre misere economie sulla banca Costa, — disse la beghina con quel suo occhio felino, scrutatore.

— Ah! — fece Eleonora stupefatta.

— È una somma assai piccola, riunita in trent'anni di stenti, di privazioni. Certo, qualche volta abbiamo fatto un piacere a un amico, prestandogli una sommetta, ed egli ci ha compensate. Ma i tempi sono tristisoggiunse con un sospiro, — e non abbiamo mai potuto avere più del quindici, del venti per cento all'anno, nientemeno, signora mia. Ora che Costa il quindici e il diciotto per cento, al mese, capite, abbiamo ritirato queste poche lire, da tutti quelli che ci dovevano. Che ci ha voluto! Quante preghiere abbiamo dovuto fare al Signore! Ci sono dei debitori così ostinati, cosi ostinati, che vogliono, sì, pagare l'interesse, ma restituire il capitale, niente! Ci ha aiutate il Padre Eterno e un buon uomo di usciere, Gaetano Falcone che non vi è l'eguale, per esigere, un sant'uomo scrupoloso. Infine abbiamo potuto riunire tutto e dopo essermi consigliata col parroco, ho portato tutto a voi perchè lo consegniate a vostro marito.

Intanto contava il denaro pian piano, carta per carta, lentamente. Eleonora, immersa da capo nelle sue crudeli ansietà, sentendo sempre più intorno a la fitta rete d'interessi sordidi e infami che la circondava e la traeva alla perdizione: — Qual è la somma? — chiese macchinalmente, credendo, come era naturale, che si trattasse di qualche centinaio di lire.

— Poco, poco, sfortunatamente, — disse la beghina, continuando a contare con le cifre che le sibilavano fra le labbra. Pazientemente, appoggiando la fronte a una mano, coprendosi gli occhi come per non vedere un orribile spettacolo, la signora Eleonora aspettava che la beghina avesse finito di contare. E ciò durò un pezzetto. Quietamente la beghina, avendo trovato il suo conto, ripiegò i denari e ne fece un rotoletto, tendendolo alla signora bionda.

— Sono quarantamila lire, — disse nettamente la beghina.

— Che?

Quarantamila lire, — replicò.

— Vostre?

Fatiche nostre.

— E volete metterle alla banca?

— Già, ma vogliamo, per favore, il venti per cento al mese.

— Per favore?...

— Vostro marito ce lo deve fare, questo favore. Che gli fa, a Costa? Il diciotto, il venti, per lui che ne guadagna tanti è la stessa cosa.

— Con chi credete che li guadagni?

— Non lo sapete? È il marito vostro che lo dice. Sono denari di Franceschiello.

— Chi, Franceschello?

Francesco secondo, il Borbone. È lui che vuol fare la carità al suo popolo napoletano e dopo, quando avrà beneficato tutti, tornerà qui, e tutti lo accoglieranno a braccia aperte. Lasciamo fare a Dio dice il parroco quando sente questi discorsi. Sapete la canzone che servirà di avviso, per il ritorno di Franceschiello?

— Ma, non so niente, — rispose la signora con una cupa disperazione.

Arapite port' e ffeneste ca chill'amico è leste. Significa che si può far festa, che Borbone sta per entrare. Ma noi vogliamo il venti per cento capite? Ci siamo fatti certi conti, mammà ed io, per tanti mesi di deposito.

— Questi sono i denari, — disse dopo una breve pausa di silenzio, la beghina, tendendo un'altra volta il fascicoletto alla signora Eleonora. Ma... ci siamo bene intese eh? Venti per cento: se no ci teniamo queste poche lire e ne faremo un altro uso.

Tenetevele, — disse freddamente la signora Eleonora.

— Come?

— Io non le prendo.

— E perchè? Perchè abbiamo chiesto il venti, invece del diciotto? Ah signora mia, signora mia, siamo così povere, così povere e il mondo è tanto tristo! Vi assicuro che se non avessi quella vecchia di mia madre, non ci penserei neppure; ma quando si è in miseria, si deve far d tutto per non essere tanto miserabili. Noi abbiamo fatto i nostri conti: questo venti per cento ci serve, non ci possiamo rinunziare.

— Sarà quel che volete, donna Concettina: non posso prendere il vostro denaro.

— E perchè?

Perchè io non so nulla di queste banche non voglio saperne, adesso poi.

— Ma avete qualche dubbio?

— Io? no, — soggiunse glacialmente la signora. — Ma preferisco non mescolarmi in questioni di denaro.

— Allora, perchè non mi fate parlate con vostro marito?

— Non è qui: è a Salerno.

Torna presto?

— Non so: tra tre o quattro giorni, credo.

— Lo aspetterò, allora: sebbene perdere questi giorni di interesse, mi dispiaccia assai. Capite siamo gente povera.

— E perchè non portate voi il denaro a Costa?

— Ci è tanta folla, ogni giorno, a quella banca, e alle altre! Chi non vuole profittare della grazia di Dio? Io mi vergogno della folla. E poi... a me non aumenteranno l'interesse, se lo cerco senza una raccomandazione. Aspetterò vostro marito.

— Siete sicura che ve lo farà questo favore?

Sicurissima, — disse la beghina in aria trionfale. — Sono tanti giorni che, quando m'incontra per le scale, mi parla di queste banche, mi dice di metterci il mio denaro e quello dei miei amici.

— Sta bene, — ribattè la signora Eleonora, crollando le spalle, come se si scaricasse di un peso, aspettate lui.

— Voi mi tenete il segreto? — chiese la beghina, rimettendo i denari nel portafogliaccio. — Non vorrei che si sapesse, di queste piccole economie nel palazzo! Ci sono tanti malintenzionati e in questi tre o quattro giorni un furto è presto fatto. Siamo donne sole. Mi raccomando assai.

— Non veggo nessuno, non dirò nulla a nessuno.

— La Madonna v'illumini, — fece la beghina, alzandosi per andarsene.

— La Madonna vi accompagni, — rispose piamente la signora Eleonora.

Rimasta sola, ella si sentì come profondamente stordita. Di nuovo, la cameriera le venne a chiedere se volea far colazione: era tardi, la ragazza parea ella stessa di avere una certa premura. E straccamente la bionda signora andò nella solitaria stanza da pranzo, a mangiar sola, in fretta, e servita in fretta dalla cameriera.

— La signora mi libertà, per dopo colazione? — chiese, a un certo punto.

— Sì, ma tornate presto. Sono sola.

— Ci vorranno due o tre ore, certo — disse la cameriera versando il caffè. — Ho da fare due cose molto importanti

E si vedea, al modo come guardava la signora, che volea dirlo tutto. Costei, mentre si alzava per andarsene di nuovo nel suo salotto, con lo strascico della sua vestaglia che le frusciava dietro come una tonaca monacale le disse di parlare, con lo sguardo, Tutto quello che la poteva sottrarre alle sue preoccupazioni che poteva immergerla sempre più in un completo stato di oblioso stordimento, l'attraeva.

— Vostra Eccellenza sa che io debbo maritarmi fra tre o quattro mesi, e che per le mie economie o per tanti bei regali che la mia signora mi ha fatti, io ho potuto mettere insieme della biancheria dell'oro e anche un po' di rame, per la cucina, Anche Totonno, il mio fidanzato, ha fatto delle spese. Ora siamo restati senza nulla, proprio senza nulla per le speso del matrimonio.

— Vi darò qualche cosetta, per quel giorno, — disse la padrona, leggendo distrattamente la copertina di un romanzo francese.

— Vostra Eccellenza è così buona — fece la cameriera, commossa. — Ma ci vuole una somma, dobbiamo pagare tre mesi di affitto di casa e tutte le spese. Cosi, abbiamo combinato, ieri con Totonno di portare tutto al Monte di Pietà, biancheria, oro, rame, tutto quello che si può impegnare insomma: ce lo lasceremo per tre mesi e tutto quello che ne abbiamo ricavato lo porteremo alla banca. In tre mesi signora mia si ha quasi una somma eguale a quella che s'è consegnata: è una bellezza. Con trecento lire, per esempio, se ce ne danno trecento al Monte, abbiamo… abbiamo in tre mesi centottanta lire d'interesse. Si spegnano le cose impegnate, e le centottanta lire restano. Oh abbiamo fatto i nostri calcoli, Totonno e io.

Povera Raffaelladisse la signora Eleonora, con un lieve sospiro.

— E che povera? Quando ci è la roba e ci è la salute, nessuno è povero; e le banche, signora mia, non fanno più esser povero nessuno.

La signora, chino il capo, leggeva.

— Me le date, Eccellenza, queste tre ore di libertà? Dobbiamo andare al Monte e dopo alla banca. Al Monte ci è sempre folla. Tutti vogliono metter denaro sopra le banche e tutti impegnano. Daremo anche bei materassi di lana, per fare la somma più grande. Genovieffa, la portinaia, si è impegnata finanche una santa Genovieffa tutta di argento, che quello è un vero sacrilegio....

Va, va, povera Raffaella!... — mormorò dolcemente la padrona.

— Non vi serve niente?

— No, niente.

Buongiorno, Eccellenza.

— A rivederci.

E restò sola, di nuovo. Ora l'asprezza delle sue pene si era perfettamente attutita. Le parea senza dolore, di aver sopportato l'acuto spavento di un naufragio, di aver sentito l'orribile disperazione del perdersi, di aver provata la sensazione mortale dell'onda che le passava sul capo, sommergendola. Ma adesso, l'orrendo minuto era passato. Era sommersa. Le parea di stare distesa in fondo all'immenso mare, sull'arena e sull'alghe, mollemente assopita, nella stanchezza invincibile che vien dopo una di queste lotte. Le pareva di non potersi salvare mai più, annegata, finita, nella suprema inazione della rovina, con mille atmosfere d'acqua che le pesavano sul corpo e sul capo. Che poteva più fare? Era sommersa. La fatalità, l'aveva vinta: tutti avevano rappresentato contro lei la fatalità. Era stata una debole donna, vinta, prima di combattere: e dagli acuti strazii della suprema ora mortale, le era rimasta solamente una malinconia di rimpianto, per quanto aveva perduto, intorno a e in stessa. Macchinalmente, come un fantasma, avvolta nella vestaglia di lana marrone che era stretta alla cintura da un cingolo, col bianco volto delicato che emergeva da quelle tinte oscure, ella si recò a un balcone della sua stanza da letto che dava sul giardino di palazzo Cariati. A una finestra a muro di fianco, al terzo piano, dietro i cristalli, stava il fido volto amoroso di Paolo Collemagno. E dopo un lieve sorriso, di dietro i cristalli, si guardarono a lungo, si guardarono senza muoversi, senza dire nulla, assorbiti. Passavano le ore, declinando la giornata e dietro a quei cristalli, ella si sentiva sommersa, perduta.

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License