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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Un mio amico era in agonia. Caduto da una scala aveva
battuto l'occipite, non riprendendo più i sensi. Siccome non l'aveva potuto
comunicare, il prete gli lasciò la stola sopra i piedi dopo aver detto molte
preghiere.
La mamma del moribondo stava nella stanza accanto, con l'uscio aperto, a
piangere; io, stringendo i ferri a piè del letto, lo guardavo. Il suo volto
acceso dalla febbre, aveva, di quando in quando, una contrazione lunga e lenta;
ma gli occhi restavano chiusi, sempre più in dentro.
Una ragazza, dall'altra parte della strada, cominciò a cantare; io la feci star
zitta. Il rantolo diveniva sempre più forte, alternandosi con un sibilo così
dolce che mi ricordava, con terrore, tutte le nostre allegrie. La febbre gli
aveva seccato le labbra. Io pensavo come bagnargliele, quando entrò una delle
sue due tortore. Prima che io facessi in tempo a rimandarla in dietro, era già volata
sul letto, proprio sopra il guanciale molle di sudore. Allora, perché non si
mettesse a svolazzare, buttando in terra qualcosa, aspettai che tornasse via da
sé, come credevo che avrebbe fatto.
Gli montò su la fronte, che s'increspò; e, allungando tutto il collo, gli diede
una beccata tra le labbra. Egli era uso a farsi prendere di bocca i chicchi di
granturco o di granella.
Allora, troppo tardi, la scacciai. Ma, dal labbro di sotto, dovetti asciugare
con il cotone idrofilo le gocce di sangue, che smisero soltanto all'ultimo
respiro.
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