Federigo Tozzi
Gli egoisti

CAPITOLO IV.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

CAPITOLO IV.

 

Il sentimento per Albertina somigliava un poco, a uno di quei raggi di luce, che fanno vedere com’è fatta una breve lontananza; e tutto il resto è indefinibile. Ma i ricordi della campagna diventavano sensazioni musicali e i pensieri di Dario erano suoni; che la sua anima intonava quasi con una placidità solenne. Gli accordi avvenivano secondo i cambiamenti di certe emozioni, che si legavano da l’una con l’altra; tutte di seguito, senza interruzioni. Quando i suoni nascevano, egli non poteva udirli subito; come se glielo impedisse una sordità implacabile, ma, un istante dopo, li percepiva con chiarezza sebbene un poco più distanti. E poteva scriverli senza nessuno sforzo di attenzione. Gli era come proibito di prendere parte con la volontà a questa creazione; e si sentiva come costretto a obbedirle. Tutte le volte ch’era riuscito a intervenire, questa placidità s’era spezzata; ed aveva dovuto attendere che ritornasse da ; un poco umiliato.

Lavorò così fino alla mattina dopo, sempre più lentamente; ma gli vennero violenze di melodie, durante le quali gli pareva di assistere a un concerto gigantesco. Quando non scrisse più era già giorno. Allora, uscì.

Sentiva il bisogno di esprimere la sua riconoscenza; di ringraziare Qualcuno. Avrebbe voluto vedere subito Dio! E per inginocchiarsi dentro a qualche chiesa, gli venne in mente di andare ad Ara Coeli. Salì in fretta la scalinata bianca, che gli parve troppo corta; perchè avrebbe voluto salire chi sa per quanti chilometri; secondo l’altezza che sentiva dentro di . Il gran pino che pende su la scalinata era pieno di uccelli; e due piccioni entrarono in una delle buche della facciata.

Quando fu in cima, si volse a guardare Roma. Le case, sotto la nebbia della mattina, non si vedevano: sopra l’enorme spianata, fino all’orizzonte, c’erano soltanto le cupole delle chiese; quella di S. Pietro, la più lontana, quasi nella nebbia rosea; come se tutta la città fosse per sparire; e non restasse che il cielo.

Dario non ricordava più nessuna preghiera, ma stette lungamente assorto e cercò di pregare lo stesso; finchè non gli parve che tutta la chiesa assentisse con lui. Poi si domandò se a Dio bastasse. Ma quando si alzò, non era più capace a credere.

Allora, corse a casa; per essere sicuro che durante la notte aveva lavorato da vero. Si provò a leggere quel che aveva scritto, ma non lo capiva più. Se non avesse pensato di far vedere tutto ad Albertina, lo avrebbe strappato con una rabbia, che lo faceva respirare a fatica.

Addormentatosi vestito com’era, si destò dopo mezzogiorno; pieno d’ira contro se stesso; come se si fosse fatto ingannare senza nessuna ragione. Guardò con odio i fogli di carta sul tavolino messi insieme per portarli ad Albertina; e decise di nasconderli in qualche cassetto, inventandole che non aveva fatto niente. Gli pareva addirittura necessario dire così.

Gli venne da piangere; perchè le stesse sensazioni della notte gli tornavano a mente; con un rimpianto che lo straziava, con un dolore enorme come non aveva mai avuto. Non credeva più a quel che aveva creduto durante la notte; e quei suoni ripassavano in lui, all’inverso; come rifacendosi dalla fine e senza venire mai al punto da dove erano cominciati; come se fosse stato impossibile. Ad un tratto il pensiero di Albertina gli tornò pieno di un desiderio a cui non poteva resistere più. Aveva bisogno di vederla subito; baciandole le mani, facendosi prendere le tempie.

Ma dopo, mentre cominciava a rimettersi dallo stordimento della voluttà, egli le disse:

Stanotte ho lavorato!

Albertina, un poco gelosa, gli chiese:

Perchè non me l’hai detto subito?

Egli la guardò, tenendola con una mano sui capelli allentati: gli occhi di lei si fecero più chiari; s’inumidirono.

Allora le disse scherzando, ma con il dubbio che fosse vero:

Non hai meno la curiosità di conoscere quel che ho scritto?

Ella gli rispose:

Non ci penso, perchè ti voglio troppo bene.

Egli avrebbe voluto vendicarsi di questa risposta, ma ricominciò a baciarla.

Albertina s’era innamorata subito di lui; appena per caso s’erano incontrati. Non aveva mai amato nessuno; e s’immaginava di amarlo come nessuna altra donna avrebbe potuto. Serbava il vestito del primo giorno che s’erano dati del tu; e, molte volte, apriva l’armadio per farlo rivedere a Dario, che esclamava, perchè stizzisse: «— Ma lo so che mi vuoi bene! Me ne vuoi anche troppo!» Ella, però, non ammetteva che scherzasse; impallidiva subito, e voleva che le chiedesse scusa.

Lasciata Albertina, che lo richiamava sempre per farsi baciare un’altra volta, e perchè non andasse via troppo presto, gli parve di sentirsi più tranquillo. Anche questa tranquillità era evidente e schietta come il suo sentimento; sentendo che la sua giovinezza ne aveva bisogno.

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA1) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2009. Content in this page is licensed under a Creative Commons License