Federigo Tozzi
Gli egoisti

CAPITOLO VII.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

CAPITOLO VII.

 

Albertina volle stare una giornata intera con Dario. Lo vedeva troppo roso dal suo assillo quasi febbrile; e avrebbe fatto di tutto per guarirlo. Le veniva anche da piangere.

Dario non riesciva a dominarsi, e la rifaceva anche con lei. Ad ogni parola affettuosa, s’infuriava di più; con una ira irragionevole, addirittura folle.

Scelse Albertina dove dovevano andare; dopo essersi consigliata con una vecchia signora; che stava alla pensione con lei.

In treno, pareva ch’egli riuscisse a stare meglio; ma s’irritava di tutto e impallidiva, dolendosi di non sentirsi bene. Alla stazione di Anguillara, dove essi scesero, c’erano soltanto due cani randagi, e, dentro un castro, un porco di pelo bianco. Entrarono in una vecchia diligenza; che li fece traballare per più d’una mezz’ora; talvolta, sbattendo la testa ai ferri delle tende. Ma non riescivano a sorridere; e, tutte le volte che Albertina voleva prendergli una mano, credendo ch’egli la contraccambiasse, lo vedeva anche più di malumore; indovinando la sua sofferenza e sentendola ella stessa.

La campagna era deserta e quasi piana; come se fosse rasata: soltanto qualche eucalipto, con le foglie inaridite, quasi gialle; e dal pedano la buccia, tutta staccata, si sollevava a lunghe strisce e a brandelli. Le cornacchie volavano basse, dove lungo la strada era rimasto qualche mezzo cespuglio di siepe. Di dalla stecconata di legno, che luccicava a spigoli storti e a gomiti aguzzi, c’era un cavallo morto; e, a pochi passi, un branco di pollastre e di tacchine magre, che beccavano i chicchi caduti dalle spighe durante la mietitura. Il ventre rossastro del cavallo pareva ancora vivente; e Dario ne sentì una grande dolcezza. Un buttero cavalcava lungo la stecconata, a fianco della diligenza; con il cappello e il vestito nero come le cornacchie. Mentre le bardature dei cavalli, che smettevano subito di trotterellare se il vetturale non li frustava, avevano certi colori più vivaci di ogni altra cosa.

Finalmente, apparve un pezzo acuminato di Anguillara; in mezzo ad un piccolo cerchio di lecci. Le case avevano i tetti coperti di licheni gialli; e così erano i cornicioni e i davanzali sotto le finestre. Sulle terrazze, rosseggiavano grosse piante di gerani.

All’entrata del paese, un asino si rotolava nella polvere della strada in salita. Su la porta antica, un orologio con le lancette di ferro arrugginito e con uno stemma di pietra sbocconcellato e sfaldato.

Albertina, delusa, disse:

Dove siamo venuti!

Staremo bene lo stesso. Non mi dire niente; e lasciami stare.

La strada del paese, che pareva una specie di spacco allargato a posta perchè ci potesse camminare la gente, saliva, stringendosi sempre di più; fino ad essere larga quanto la porticina della chiesa più alta di tutto il resto. La strada vi si arrestava di botto; e il lago si vedeva giù in basso; tondeggiante e turchino.

C’era da per tutto un silenzio tranquillo; che riempiva tutta la campagna fino agli orizzonti; dentro i quali sembrava addensarsi insieme con certe nuvole bianche, che non riescivano a stare insieme e riunite. Il Gavinai si lasciava accarezzare da questo silenzio, sentendosi prendere dalla solitudine; e gli pareva di respirare meglio. Un astore, con le ali tese come se gliele avessero infilate a posta, per imbalsamarlo, volteggiava su i poggetti, attorno al lago: mentre alle siepi, volavano altri uccelli, e si sentiva il frullio delle ali. Quasi ad ogni passo, su la sabbia soffice e lucente, che scottava benchè sotto due file di platani, facevano fuggire qualche lucertola. Proprio in riva al lago, ancora poco fondo, dormiva un gregge insieme con il cane; e si udiva il respiro delle pecore; mentre due montoni cozzavano, per gioco. Il gregge era sparso di buchi luminosi, dove il sole passava tra le foglie.

Dario era ancora stupito, benchè sentisse ch’era per dimenticare il malessere; ma sorrise ad Albertina; e, quel giorno, per la prima volta.

Il viso di lui era, dunque, per tornare come quando lo aveva conosciuto! Ella attendeva che riuscisse a ridere con quella bontà che le piaceva tanto: stava per battere le mani dall’allegrezza; incoraggiandolo con certe parole ch’ella sola sapeva. Avrebbe anche voluto dirgli quanto lo amava, ma taceva per la troppa tenerezza.

Sentiva che, amando Dario, aveva dovuto avvezzarsi a certe tristezze; che innanzi non avrebbe meno capito. E perchè Dario non le parlava ancora?

Pareva che il lago tagliasse come un coltello la riva opposta; e nel fondo si distinguevano bene i sassi un poco verdastri! Mentre le ombre delle case di Anguillara erano azzurre come l’acqua; e le nuvole si riflettevano, ingrandite.

Girando lungo la sponda, si trovarono in mezzo ad una mandria di cavalli sciolti; e poi, un’altra volta, troppo presto soli.

Ma, allora, all’improvviso, egli si lasciò al desiderio: la baciò e le morse tutta la bocca.

Albertina voleva trattenerlo, ed egli le disse:

Oggi ti amo.

Ma, nello stesso tempo, la disperazione amareggiava la sensualità; benchè non credesse più alla disperazione; anzi la odiava, apparendogli con tutta la sua ferocia. Si sentiva pieno di morte e di odio; un odio cresciuto dentro a lui per anni ed anni, sempre più intollerante e perverso. Non riesciva a godere del suo amore; e strinse, con ira, le mani di Albertina. Gliele strinse a farle male; finchè non la vide cambiare di colore.

Non mi amare! ella disse.

Allora le baciò le mani, dentro le palme; come se fossero state giumelle, dove cercava, ogni volta, una goccia per l’arsione arida. Ebbe un lungo brivido, che lo accecò; facendogli sembrare di vivere così in alto, dove era il turchino di quell’estate che non avrebbe mai potuto dimenticare.

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA1) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2009. Content in this page is licensed under a Creative Commons License