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CAPITOLO VIII.
Benchè avesse dormito come da tante notti non gli riesciva più, la mattina dopo si sentì pieno di tristezza angosciosa. Ma andò lo stesso a trovare il Carraresi; che doveva partire quella sera. Forse egli avesse ragione a dire che non doveva amare? Nondimeno si propose di non permettergli nessuna allusione ad Albertina; anzi, voleva convincerlo che egli aveva torto.
Tuttavia, la voluttà del giorno innanzi prendeva un senso soltanto quasi lubrico; e gli pareva che non avesse niente a che fare con quel sentimento di purezza con il quale s’era innamorato. Ma Albertina era tanto buona! Perchè non le comprava, in Piazza di Spagna, ora che passava di lì, un fascio di rose?
Si sovvenne quando, di giugno, l’aveva incontrata in Via Veneto, tra due amiche; e tutte e tre portavano tanti fiori da indolenzirsi le braccia. Come gli era piaciuto vederla nella bella via, chiara e luminosa; anch’ella vestita bene, con quell’eleganza ch’egli non aveva ma che lo allettava! Quella volta, avrebbe voluto che non si fosse accorta di lui, per poterla seguire; con la gioia che gli faceva tremare il cuore. Ella camminava in un modo che lo turbava; con le gambe un poco magre, come se la reggessero con una grazia inimitabile; ricordandogli, al movimento, tutta le persona. Si sarebbe avvicinato a lei, pronunciando il suo nome piano; con la voce velata, per non piangere dalla tenerezza: E le avrebbe detto, sotto voce:
— Ho tanta voglia di baciarti!
Ma ora, andava dal Carraresi che non aveva voluto conoscerla; attratto, perchè non si somigliavano, dalle sue parole e dal suo nodo di pensare.
Il Carraresi stava uscendo proprio allora dall’albergo; e decisero di ficcarsi nel primo caffè che avessero trovato. Non pareva che fosse stato disposto a vederlo; e, senza dargli la mano, chiese subito al Gavinai:
— Con Albertina.
Il Carraresi disse, con voce secca:
— Lo sapevo.
Senza riflettere, Dario gli chiese:
L’amico finse di indagarlo a fondo:
Dario si passò una mano sul viso; e sorrise. Ma il Carraresi rifece la voce naturale, dicendogli con una sincerità scherzosa:
— Credevo che tu non volessi vedermi più. Credevo, anzi, che te l’avesse proibito lei.
E, con un’aria di finto sospetto, riprese:
— Mi sei sempre amico?
— Non te lo meriteresti, ma ti sono amico lo stesso.
Anche il Carraresi parve che volesse smettere il tono che aveva preso; e gli disse:
— E, allora, ascolterai tutto quello che ti dirò.
— Di lei non mi dirai niente.
Il Carraresi se n’offese un poco:
— Lo sapevo che non avresti voluto!
— Perchè non la conosci nè meno.
Ma si presero sotto il braccio, mettendosi a passo uguale; e il Carraresi riattaccò:
— Io me ne vado da Roma; e sento che non avevo sbagliato. Anzi, se prima facevo qualche riserva, ora non ne farei più; nè meno mezza. Ti ci lascio volentieri, e procurerò di scordarmene subito.
Intanto, scelsero un caffè: quasi di fronte a Piazza S. Carlo. Quasi tutti i tavolini erano vuoti; a quello di fondo stavano due che parevano amanti, quasi nascosti da un vassoio di pasticcini: a un altro, una ragazza di evidente mestiere. Sbadigliando come se si fosse alzata allora, le si appiccicavano le labbra insieme; e i denti, piccolissimi, erano di una madreperla un poco gialla. Aveva i capelli ossigenati e le unghie lucidate; i piedi parevano troppo grassi per i nastri di velluto delle scarpe. Infilata al braccio, teneva una borsetta d’argento. Sul canapè rosso, c’era un mucchio di giornali illustrati; e sarebbe stato impossibile, alzando gli occhi, non vedersi in qualcuno degli specchi che pigliavano tutte le pareti.
Dario si sentì subito irritato; e disse sottovoce al Carraresi che avrebbe scaraventato volentieri un bicchiere tanto agli amanti quanto alla ragazza: Il Carraresi rispose:
— Oggi, invece, io mi sento proprio pacifico!
Le vene delle sue tempie, visibilissime, erano gonfie di sangue; tutte torte e tremolanti; come un filo quando è stato avvolto e restano i giri. Aveva la faccia così arrossata che gli lustrava; e le labbra come ingrossate da innumerevoli piegoline sottili. Non s’era fatta la barba, e il pomo della gola pareva anche più acuminato. Guardandolo, si sentivano le sue ossa. I denti, benchè lavati, erano del colore della patina. E bastava che muovesse le dita, coperte di ciuffi di pelo dorato, perchè gli apparissero subito i tendini. All’improvviso, come il solito, doventò taciturno. Dario gli chiese:
— A che pensi?
— A te posso dirtelo. Mi sono convinto che i preti non capiscono la Bibbia; e, perciò, odio anche loro. Anzi li metto insieme con tutti quelli che vivono senza sapere perchè.
— Ma tu sei proprio credente?
E intanto gli parve di sentire l’odore di una rosa infilata nella cornice di uno specchio.
— Io vado alla messa ed anche a confessarmi. E, perciò, mi sento anche disposto a uccidere tutti quelli che non credono.
L’uscio, con i vetri coperti da tendine verdi, dietro il quale erano i bigliardi, si spalancò con fracasso; sbatacchiando. Un giovanotto elegante, in maniche di camicia e la stecca in mano, fece un passo nel caffè per cercare un riparo. La voce rauca d’uno fuori di sè, gridò:
— Se non te ne vai, ti piglio a revolverate.
Ma dovevano tenerlo, perchè si udivano trascinare sedie e tavolini. Accorsero due camerieri; e le grida si acquietarono. Il giovanotto, che ora brandiva la stecca, osò rientrare.
Il Carraresi, doventato subito bianco, senza nè meno finire il caffè, benchè desse un’occhiata al fondo della tazza, si alzò per andarsene; dimenticando perfino di pagare. Dario gli disse:
— Non vedi che tutto è finito? Non vedi che nessuno ha paura?
Ma egli non riesciva, nè meno a cavare dal taschino del panciotto i denari; e, s’arrabbiava, pigliandosela con tutti quelli che leticano. Mise nel vassoio quel che gli venne alla mano; poi, pentito, cercò di contare, puntando lesto lesto le dita su ogni moneta, imbrogliandosi inutilmente. Dario dovette dargli quel che ci aveva messo in più.
Guardandosi dietro, con la coda dell’occhio, non si sentì sicuro altro che quando fu lontano dal caffè; ma non gli riesciva a rimettersi, e non trovava più il filo del discorso. Era anche seccato che Dario l’avesse visto impaurirsi a quel modo, e se la prendeva con lui; dandogli certe occhiate che gli volevano impedire di sorridere. Sconvolto e confuso, camminava lesto; come avesse voluto lasciare l’amico; e non gli dava più retta, qualunque cosa volesse dire. Alla fine, dopo aver fatto un gran respiro di sollievo, esclamò:
— Non vedo l’ora di essere a casa mia; dove m’aspetta la moglie!
S’infastidiva a doversi scansare dove la gente era troppo fitta; e, quando c’era una carrozza, temeva sempre di essere messo sotto; pareva che, addirittura, avesse perduto la testa. Ma, poi, per il fastidio che ne risentiva, cominciò a digrignare i denti e a sbuffare come se durasse una fatica enorme. E disse:
— Accidenti a quando siamo entrati dentro al caffè!
Non potendosi dare pace di quell’incidente, chiese tutto smarrito:
— Ma non c’è una strada dove non passi nessuno?
Il Carraresi si fermò; come se avesse dovuto compiere un’impresa difficile:
— Da dove?
Allora, Dario l’afferrò per una manica; e lo portò via dai suoi intrighi. Ma, dinanzi a Montecitorio, il Carraresi s’era già ripreso, e disse con una gioia feroce:
— Qui verrò anch’io a farlo saltare in aria! Tornerei a Roma, se non altro, per questo! Mi sentirei disposto anche a commettere un omicidio! Poi, se anche mi tagliassero la testa, sarei contento. Quando sarà venuta l’ora, io sarò con gli altri. È necessario ripulire l’Italia da questa gente, e non ci vuole nessuna pietà. Altrimenti, a essere italiani, c’è da vergognarsi. Ma bisogna rasare al suolo tutti i Ministeri, con chi ci sta dentro; e anche il Quirinale.
Parlava con una sicurezza giovanile, doventando lieto e disposto ad essere più buono con Dario.
E Dario era quasi per ringraziarlo, quando si sentì mettere una mano su una spalla. Si volse, e Ubaldo Papi, un altro suo amico, gli disse:
— Ti ho cercato tutta la mattina.
Dario lo presentò al Carraresi; invitandolo ad andare tutti e tre insieme. Il Papi accettò subito; mettendosi a raccontare che in quel momento aveva una cantante del Salone Margherita; innamorata di lui, come tante altre che egli lasciava dopo un mese o poco più. Poi s’interuppe, per chiedere:
— Ma perchè non andiamo per il Corso? Io piaccio subito alle donne e desidero di andare dove s’incontrano. E, poi, io so parlare così bene alle donne! Mia madre è tanto contenta quando sa che sono piaciuto ad una bella donna!
Aveva vent’anni; con gli occhi di un marrone quasi nero e belli.
Era vestito sempre alla moda; e teneva il cappello un poco indietro; per darsi di più un’aria spigliata e disinvolta. Non andava mai a letto prima delle due dopo mezzanotte, passando il tempo con i giornalisti e con qualche letterato. A quell’ora il suo viso s’imbambolava, restando di un pallore giallo fino al giorno dopo. La notte, il fuoco della sigaretta si rifletteva dentro i suoi occhi, che gli s’annebbiavano; e cominciava a parlare di tutti i suoi parenti morti; come se li cercasse anche nei manifesti attaccati ai muri. Pareva che quei cadaveri gli restassero, simili a cose nere, dinanzi agli occhi; magari fino all’alba biancheggiante in fondo alle strade, quando egli si meravigliava di essere desto e l’aria fresca pareva che gli alleggerisse la stanchezza.