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CAPITOLO IX.
Il dolore di Albertina era sempre più vivo; soffriva fino a sentirsi impazzire, comprendendo che doveva allontanarsi da Dario.
Ma le veniva da piangere; e, allora, non riesciva mai a prendere questa decisione. Anzi, tutte le volte che aveva pianto, sperava che durante lo stesso giorno le cose sarebbero andate in un altro modo. Ma a casa, almeno qualche tempo, doveva tornare perchè prendeva marito una sua sorella. E poteva rimproverare niente a Dario? Avrebbe spezzato anche la propria anima, con i denti, come faceva ai chicchi della sua collana di corallo. Non aveva, dunque, da portare a casa nessuna gioia vera. Alla sorella che si maritava, più grande di lei, non aveva niente da confidare; singhiozzando di riconoscenza per l’uomo di cui s’era innamorata! Restava, invece, con quella pena che non avrebbe confidato nè meno a lui; che, forse, le avrebbe imposto di rassegnarsi per sempre. Restava con quell’insoddisfazione, che somiglia un poco alla perdita di qualche tenerezza indefinibile, ma sempre dolce. Proprio come quando le dispiaceva che suo padre facesse cogliere le rose del giardino, ch’ella aveva odorato ad una ad una con gli occhi molli non di pianto ma di ebbrezza. Ciò ch’ella amava non doveva essere distrutto; ne provava una specie di raccapriccio più vivo e più importante di tutto il resto. Ma, mentre si abbandonava a queste idee, il suo amore la riprendeva con la stessa veemenza; illudendola un’altra volta, e facendole dimenticare che già aveva amato inutilmente. Ora, piangeva volentieri; perchè, almeno, a piangere si sentiva più libera e capace di credere come prima. Perciò, non ostante tutto, volle passare con lui l’intera giornata che le restava prima di lasciare Roma.
Scesi dal tranvai e fatti pochi passi nella strada, dove del resto non era nessuno, e tutto pareva volesse fare posto ad ambedue, si trovarono nella campagna deserta. Era, per lei, un piacere troppo forte: quasi aspro. Perchè egli non se n’accorgeva?
Sul Tevere, che arriva all’improvviso, dinanzi a Castel Giubileo, con una svolta brusca, c’è un ponte. Il fiume era torbo e verdastro; e, da ogni parte, su le sponde, le vetrici, quasi dello stesso colore dell’acqua e del fango. Una mandria di cavalli pascolava in un campo vicino: scodinzolavano, e il pelame lustrava. Sopra una collina, dalla parte di Roma, c’era una selvetta di pini; l’uno toccando l’altro con le chiome rotonde, benchè fossero radi e quasi in fila. Dopo il ponte, la strada seguitava tra due file di alberi; che avevano i gambani gialli di licheni. Lontano, un monte della Sabina, un poco roseo, pareva che nascesse allora dall’aria dell’orizzonte; ma con tanta incertezza, che alcune cime non avevano nè meno i contorni. E tutto il monte, perciò, era senza forme. La pianura lunga, qua e là, portava ciuffi di verde grigio. In mezzo, vi brillava uno specchietto da allodole; e due cacciatori, nascosti fino alle spalle dentro un fosso che la tagliava, sparavano.
— A trent’anni, mi sento piu giovane d’una volta.
Albertina volle subito approfittarne, e gli rispose:
— Da quando ami me.
— Perchè me lo dici come se tu volessi vantartene?
Egli, allora, le notò:
— Tu hai sempre paura che da me non lo sappia.
Ma Albertina lo rimproverò; e tutta la quiete di pochi momenti prima non esisteva più: egli sentiva una disperazione acre; ed ella voglia di piangere. Camminarono insieme un tratto di strada; senza parlarsi. Alla fine, Dario, con una voce dura, che però tremava come se ci fosse già il rimorso, le gridò:
— Quando sarai tornata in te, me lo dirai.
E siccome Albertina non gli rispose, gridò più forte:
— T’ho detto che quando sarai tornata in te, me lo dirai.
Doventava furibondo anche contro la campagna; e non poteva guardare niente senza una scossa ai nervi. Gli alberi, i prati erbosi, lo irritavano; sentendo che tra lui e le cose ora c’era Albertina e ch’egli ne era preso fino ad essere addirittura incapace di pensare. Una forza li costringeva ambedue a chiudersi, come folli, in quei desiderii, che sembravano più grandi di tutto ciò che vedevano.
La campagna, attorno, sbiadiva; lentamente. Le ombre cadevano dalle colline e dalle case senza più rialzarsi e muoversi. Alla fine, tutti i campi, si fecero bruni; il cielo divenne un poco nebbioso e d’un turchino quasi violaceo.
La luna, che pareva raschiata, s’accese; ed essi se ne accorsero dalla luce su la strada.
Incontrarono qualche contadino ed un branco di vitelli; e rifecero la strada per salire in tranvai.
Ed ella, in silenzio, decise di non tornare mai più a Roma.