Federigo Tozzi
Gli egoisti

CAPITOLO XIII.

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CAPITOLO XIII.

 

Ma per quanto Albertina cercasse di vivere con la famiglia, come se avesse dimenticato ogni cosa, non se ne sentiva appagata: tutte le volte che restava un momento sola le veniva il desiderio di ripartire subito. Perchè, dunque, trovava comodo anche restare dove ormai era? Forse, le piaceva assicurarsi che certe sensazioni, già provate prima di andare a Roma, erano vere; e voleva come rendersene conto più profondamente.

Perchè si commoveva, ritrovando tutto allo stesso posto come una volta?

Nel giardino, aveva riconosciuto perfino una buca colmata male; da dove era stata tolta una pianta di bosco, per cambiarle di posto! Eccola: era ; in fondo alle siepe! Proprio quella!

Agli ippocastani cadevano le foglie; e, pochi mesi prima, le aveva viste spuntare! Il muricciolo del giardino serbava le stesse scalcinature, gli stessi mattoni spezzati! Tutto era eguale ad una volta! Sentiva una dolcezza violenta; che le pareva malvagia. Ma che colpa aveva il giardino se non era più la stessa?

Non voleva pensare a Dario; e guardava la città attorno al giardino, una casa per volta, lentamente; rifacendosi a dietro; perchè non le sembrasse troppo piccola; finchè il tetto più lontano restava smezzato come il suo desiderio.

Ma, talvolta, diceva certe frasi come s’immaginava che le avrebbe dette Dario; e non lo dimenticava mai. Le pareva di sorprenderlo per qualche strada di Roma, e, poi, di andare con lui. Ma, nello stesso tempo il desiderio si spegneva. Ed era possibile ch’egli pensasse a lei senza poterla più amare? Non sarebbe bastato rivederlo, perchè andasse via quel senso di distacco; che, qualche volta, le faceva paura come un gastigo ignoto e inevitabile?

Perchè non gli scriveva? Sarebbero state lettere molli di pianto; ed egli non avrebbe letto le parole; ma vi avrebbe messo sopra la mano, per sentirsela bagnare dalle lacrime.

Le lettere che dovevano essere dolci; come certi sogni strani che restano a mente per anni e anni.

Ed, ormai, le prime impressioni, di quando era tornata, le sembravano sciocche; come se fosse stata ancora una bambina.

In certi momenti, si sentiva tutta tremare d’impazienza; e alcuni ricordi di Roma le parevano di una dolcezza da sbalordirla. Ne restava come trasognata; con le braccia e le ferme nella medesima attitudine.

Ormai, la sua vita era soltanto dentro l’anima; e il resto era così sbiadito ch’ella non voleva riconoscerlo più. E fu presa da una passione per Dario che non le dava più modo di pensare ad altro.

Non voleva vedere più niente; perchè era staccata da ogni realtà. Le dispiaceva anche di dover mangiare; e cercava di non toccare nessuna cosa; perchè nelle mani le era restato come un desiderio di Dario; e le cose tentavano di scuoterla bruscamente da quel suo sentimento assoluto; che doveva restare protetto da lei stessa.

Alla fine, non potè più sopportare che le parlassero.

 


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