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CAPITOLO XIV.
Da qualche tempo Dario si era scordato da vero del Giachi, e non rivedeva più il Papi. Perchè nessuno somigliava, anche di poco, il Carraresi; e tutti si contentavano di pensare in un modo insignificante, come per piacere di più l’uno all’altro? Bastava conoscere un uomo, per conoscerli tutti quanti.
Il Gavinai somigliava al cieco che guarisce e non ha più pazienza; ma va incontro a ciò che ricorda; anche se non lo vede bene.
Avrebbe avuto bisogno di riposarsi lungamente; come, certe giornate, si stendeva in un campo, e gli passava il malumore.
E Albertina non gli aveva mai scritto!
Avrebbe potuto anche ucciderla; e questo pensiero gli venne come se avesse sentito, alla fine, franare qualche cosa.
Si ricordò, appunto, quando aveva sognato, qualche anno prima, di aver ucciso una persona; e quale angoscia aveva dovuto sopportare.
Perchè, dunque, doveva ucciderla? C’era come una forza, che lo piegava ad un’obbedienza profonda e scura; ed egli aveva soltanto da pregare che gli fosse risparmiata. Intanto, bisognava che non parlasse a nessuno; e in istrada guardava la gente come se avesse fatto una grande scoperta e temesse di divulgarla agli altri. Non fidandosi più di se stesso, tornò dov’era stato una volta con Albertina.
Sul piano cinereo e violaceo una fila di pini andava fino alla Via Salaria, da un casolare rosso della Via Nomentana; dinanzi alle montagne della Sabina, tutte pallide e stinte. Sentiva come la vita è breve; e capì perchè anche una pietra, buttata nel mezzo della strada, può essere da più di un uomo.
Tutta la campagna era silenziosa; ma ad un tratto, udì un suono di campanacci. E alcune pecore, si arrestarono di botto; a poca distanza da lui. Allora, quelle più a dietro passarono avanti; fermandosi poi lo stesso come le prime, che invece avevano ricominciato a camminare; finchè tutto il gregge, un poco sbandato, sparì dietro il burrone.
Dietro la fila dei pini, c’erano barbagli di sole; mezzi restavano nell’aria e mezzi si stendevano sopra la campagna, che non si sapeva più di che colore fosse. Anche il turchino del cielo variava continuamente; sopra quella stesa scolorita dall’ottobre; senza nè meno un albero; e qualche casolare pareva che vi sparisse dentro avviluppato dalla solitudine e dalla terra deserta.
Un branco di cornacchie, fitte come le pecore, e dello stesso peso, rasentò un tetto, tremolando tutto; e pareva, qualche volta, fosse per disfarsi benchè si riserrasse subito.
Era possibile che avesse pensato ad uccidere?
Ma non vide più come avrebbe potuto rasserenarsi; e si chiese perchè non potesse uccidere. Anche la musica gli dava un senso di vergogna; e non la voleva sopportare. Il rimorso era come un uncino, che egli stesso, voleva affondare anche di più; perchè, alla fine, tutto si rendesse più sicuro e visibile. Come, qualche volta, prendendo a caso un viottolo sconosciuto, era giunto dove voleva; prima di quel che avesse desiderato. Dunque, il pensiero d’uccidere spariva senza bisogno che si attuasse! Ma sentiva ancora la paura che gli aveva messo la propria forza; e guardando le cose con altri occhi, scopriva una chiarezza che prima pareva non ci fosse stata; e ne provava un contento, che, gli ricordava certe sensazioni avute soltanto da ragazzo.
La fede era dinanzi ai suoi occhi; ed egli poteva tornare a casa.
Ad un tratto, lo scosse un colpo di fucile sparato vicino a lui; e una brancata di uccelli, alzandosi a volo, si sparpagliò proprio sopra il suo capo, restando poi ad aggirarsi nell’aria come una ruota che non potesse più fermarsi.
Allora tentò pensare quello che avrebbe provato egli stesso, se fosse stato ferito a morte in quel momento.
Lasciò la strada e prese la campagna; saltando un muricciolo, dietro il quale si rizzavano, sporgendo fuori, a mazzetti, le bacche rosse della siepe secca.
Sul prato, le zanzare, grandi, con le zampe nere e le ali che non si vedono, saltavano; ricadendo subito, ad ogni passo ch’egli faceva. E l’erba aveva un luccichio triste, come quello dell’acqua sporca e come quello del piombo appena tagliato. In un avvallamento, di cui prima non s’era accorto, pareva che due eucalipti succhiassero la terra; per essere verdi e odorare. Girando attorno all’avvallamento, per fare più presto ad allontanarsi dalla strada, si ritrovò dinanzi al gregge; che ora era fermo, benchè non pascolasse.
Due pecore avevano figliato; e i due agnelli, nati allora, volevano tenersi ritti. Le gambe, troppo lunghe, si piegavano; ed essi ricadevano picchiando. Le madri, belando, li lambivano in fretta; per togliere il giallume del pelo.
Che ci faceva lì fermo a guardare? Sentì una specie di pudore verso se stesso; perchè non pensava alla vita, ma soltanto al bisogno di veder morire tutte le cose insieme con lui. Aveva sbagliato un’altra volta! Gli era parso che tutto obbedisse al suo desiderio; e, invece, tutto gli dava torto e lo disubbidiva.
Camminò più in fretta, umiliato e offeso, come se avesse voluto sparire per sempre; mentre già il cielo si spegneva; restando soltanto una fila di nuvole ad ardere; una fila lunga quanto l’orizzonte.
La campagna si fece più oscura e le nuvole sbiadirono. Sentiva ancora i beli delle pecore; e voleva fare di tutto per dimenticarsi di quella giornata.
Era sempre lontano da Roma, quando le stelle già scintillavano. Allora, a quel chiarore, lustrarono le staccionate su per i greppi della strada; sembrando dovessero chiudere i branchi delle stelle come quelli delle pecore.
La vita aveva una grande dolcezza; e non trovò strano a credere che anche da un legno secco potesse spuntare un fiore.
Entrando in Roma, si sgomentò.