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[III]
Masa, essendosi capovolto il
suo lume ad olio, perché il chiodo era venuto via, attendeva che le accadesse
una disgrazia.
Si sedé sul focolare spento, la cui pietra era
ancora calda; torcendosi le mani dentro le sottane affondate tra le cosce,
stropicciandosi le ciglia, toccandosi lo stomaco dove sentiva un grande
ingombro.
Udendo i passi di Orsola, la moglie di Carlo, la
chiamò; quantunque volesse stare zitta:
«Sapete che cosa ho fatto?»
«No. Che cosa avete fatto?».
Masa mosse le labbra, senza parlare.
«Ditemelo; non mi tenete in apprensione. Perché
m'avete chiamata?»
«Ho versato l'olio».
«Dite per scherzo?»
«Non son mica come voi! Su queste cose non posso
scherzare io!»
«Né meno io, del resto. Badate!».
Masa le avrebbe tirato uno schiaffo. Orsola rifletteva,
a volto in giù, quale disgrazia potesse avvenirle.
«Ed io credo di non aver fatto niente di male».
«Ma queste cose non rispettano nessuno, lo
sapete. Vi ricordate di quando la volpe straziò la chioccia che m'ero scordata
di chiudere in casa? Allora, io avevo versato l'olio. E il mio marito mi voleva
picchiare, come se non bastasse!».
Masa si sdrusciò con il palmo di una mano una
guancia; Orsola si grattò il petto, smuovendo con il pugno chiuso tutto il
giacchetto dinanzi. Poi disse:
«Non ve la prendete. Venite a dirmi quello che vi
succederà: sono curiosa di saperlo anch'io».
E la lasciò.
Masa andò incontro a Giacco e a Ghìsola, per
assicurarsi che non erano morti nel campo. Ma a Giacco, per non essere
rimproverata, non disse nulla. Ghìsola ne provò un terrore superstizioso; e non
volle entrare in camera al buio, a cambiarsi il grembiale.
Ma avendo preso, su un pioppo dove s'era
arrampicata da sé, un nido con cinque passerotti, se lo mise su le ginocchia; e
cominciò a riempire di briciole le loro bocche spalancate. Li voleva far
crescere; ma invece le venne voglia di ucciderli, eccitata dal suo terrore.
Qualcuno chiudeva gli occhi; un altro all'improvviso alzava le ali, e invece
ricadeva; sotto, uno pigolava sempre di seguito.
Allora, schiacciò con le dita la testa a tutti; e
li cosse dentro il padellino del soffritto; mentre Masa, che non volle
assaggiarli, cercava invano di distrarsi; raccomandandosi al crocifisso nero di
fumo. Si sedeva, scuoteva la testa, metteva il capo fuori dell'uscio.
Toppa entrò sotto la tavola, e fiutò tutte le
sedie una per volta; sbattendo la coda alla tovaglia di canapa; poi uscì.
Che cosa significava quel giro dentro la stanza?
La nonna e la nipote si guardarono negli occhi.
Ma la disgrazia non avvenne; ed Orsola, dopo cena,
disse a Masa:
«Ora non c'è più pericolo».
Ne fu invidiosa; e, accertatasi che l'olio era
stato versato da vero, pensò:
"Tutte le fortune sono le sue!".
Ghìsola si mise alla finestra; tirando sputi, di
quando in quando, sopra una cosa che per l'oscurità non riusciva a distinguere.
Poi guardava un poco verso il cielo, dove era venuta sempre qualche altra
stella.
Una striscia umida di nuvole color della seppia
divideva esattamente dal cielo turchino l'orizzonte lucente di raggi serotini.
Le chiome degli olivi sembravano un solo velo trattenuto e avvolto ai rami
aperti di ciascun albero.
I cipressi dell'aia erano neri.
I moscerini e le farfalle bianche rasentavano la
fronte della giovinetta; e una fragranza ignota s'avvicendava con il fetore
caldo della stalla di sotto.
Una cicala fece uno strido da un pesco, i cui
fiori erano mollicci e resinosi: come se avesse sognato.