IntraText Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
[XII]
Quando Anna aveva avuto le
convulsioni, restava tutto il giorno stesa nella poltrona; dentro la trattoria.
Il suo volto doventava bianco; e Rebecca, assistendola, le slacciava il busto.
Ma siccome i cuochi e i camerieri avevano sempre qualche cosa da chiederle,
ella riapriva gli occhi, guardava fisso; e poi, scuotendosi tutta, rispondeva.
Perché il marito non s'inquietasse di più, non voleva andare a letto. Ma in
quei momenti sentiva una grande angoscia, perché era incapace di badare a
Pietro.
Le sembrava di non appartenere più alla vita, di
non avere mai fatto niente per lui. E allora quella specie di quiete, che le
dava l'agiatezza, era sempre sciupata dal ricordo della sua miseria. Ella
diceva:
«È impossibile esser contenti come vorremmo!».
E la stanchezza di esser vissuta era così amara
che aveva paura di non sentirsi più buona. Il sentimento della morte le era
sempre presente, e non le bastava credere in Dio.
Ella si metteva a guardare Pietro con questo
sentimento, e ne provava uno sconforto che le faceva perfino paura.
I suoi nervi scossi dalla convulsione le
prolungavano un senso indefinibile di dolore desolato; perché era avvezza a
dover guarire da sé, senza sentire mai che gli altri potevano farle qualche
cosa.
Ma sperava di guarire, non perché credesse al
medico, ma perché aveva Pietro.
Ella non gli sapeva parlare; capiva ch'egli
cresceva senza che riuscisse a farselo proprio suo, a dirgli almeno una di
quelle parole che avrebbero dovuto consolarla. Anche quando l'aveva vicino,
restavano come due che avessero l'impossibilità d'intendersi.
Pietro evitava sempre di farle sentire che le
voleva bene, per paura di doventare troppo obbediente; ed ella si disperava
troppo e senza ragione di qualche sua scappata. E perciò Pietro temeva quando
gli aveva tante cure. Mentre ella, non avendogliele potute fare, cercava
un'altra volta d'imporgliele.
«Tu non rispetti la mamma!».
Egli, allora, si esasperava; svignandosela senza
né meno ascoltarla.
Anna ci piangeva, dicendolo a Rebecca; che le
domandava, con un mezzo sorriso:
«Ma perché se la prende così?».
E siccome glielo aveva allattato e desiderava che
fosse affezionato anche a lei, ci sentiva quasi piacere. Ma Anna, mai accortasi
di questo, rispondeva:
«Non lo devi scusare tu!».
«Io?».
E Rebecca era per offendersi.
Quando poi Pietro la vedeva piangere, credendo
che fosse cattiva, gli veniva voglia di far peggio.
Anna consigliava Rebecca e Masa come dovevano
educare Ghìsola: era, però, una bontà da padrona; perché così anche lei
dipendeva di più dalla sua volontà. Benché le avesse da vero certi riguardi
delicati, come quando diceva a Masa che non la facesse lavorare troppo; e come
quando, per capo d'anno, pensava sempre a regalarle un vestituccio nuovo,
comprato su quei barroccini di merciai che si fermavano all'uscio della
trattoria.
Ghìsola, allora, le portava un mazzo di fiori,
che, per averli, andava magari a rubare; e le faceva gli augurii.