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[XIV]
Ghìsola aveva ripreso la sua
strada verso il campo, con un'ebrezza che empiva di gioia tutto il suo essere.
Il movimento delle gambe assecondava questa ebrezza; e le sottane erano così
lievi che non le sentiva né meno.
Ella non si fidava d'Antonio che era capace di
ridire tutto al padrone; non faceva nessun conto di Pietro; ed Agostino le
piaceva più di tutti e tre.
In quel mentre questi, correndo attraverso i
filari delle viti, e saltando le passate del grano nuovo, le andò incontro come
quando con un palo in mano sfondava le zucche. Era in maniche di camicia, con i
polsi tondi e forti e le vene strette dalla carne soda. Non portava il
cappello; e gli occhi verdognoli, di una lucentezza di diaccio, sembravano
senza palpebre.
Le saltò addosso e la gettò a terra; facendola
piangere. Allora le chiese, per celia:
«Hai sentito male?»
«Niente! Niente!».
E lesta, alzandosi, lo afferrò a mezza vita; per
fare altrettanto a lui. Ma Agostino le tirò giù le braccia. Ella sorrise, con
il viso bagnato di lagrime; volle svignarsela; e puntò i piedi serrandoli
insieme. Sicuro della sua forza, il giovine le gridava dentro gli orecchi:
«Ti faccio quello che voglio io! Non ruzzo. Tu lo
sai!».
Ella, allora, gli azzannò un braccio. Agostino,
spingendo il braccio, le piegò la testa indietro, costringendola ad aprire i
denti. Poi, piuttosto in collera, le domandò:
«Ed ora che cosa fai?».
Ghìsola rispose, dopo aver sputato:
«Son la più debole. Te ne vanti? Com'è salata la
tua pelle!».
Egli la guardò negli occhi, per impaurirla.
«Quant'è che non vedi Pietro?».
Ella cavò fuori la punta della lingua.
«Non viene più!».
Egli che, da casa, lo aveva riconosciuto al
vestito, ed era venuto per vederlo, le rifece la voce:
«Da vero?»
«È quanto mi pare!».
«Credevi che volessi venire a mangiare le
ciliegie con lui?».
E le andò addosso un'altra volta, per pestarle la
punta delle scarpe tutte rotte lungo le ricuciture.
«Perché non mi hai detto la verità? Con gli altri
devi esser bugiarda; con me no».
E seguitava a farla indietreggiare. Ma ambedue
caddero; battendo la fronte insieme. Allora egli ebbe il desiderio di litigare
da vero; ma udì la sonagliera della sua mula:
«È il mio fratello che torna!».
Si drizzò in ginocchio, per ascoltare meglio. Poi
finì d'alzarsi e se ne andò vociando:
«Se l'ha strapazzata troppo!... Se l'ha
strapazzata troppo! Non la sa guidare».
Il ciuffo a punta de' suoi capelli sudati gli
sbatteva su le ciglia; e, con quegli orecchi stretti, tutta la testa, rotonda
di dietro, sembrava una palla.
Ghìsola era rimasta lì, pentita di trovarsi stesa
in terra a quel modo. Si alzò in fretta, pulendosi e guardandosi i polpacci
delle mani chiuse a pugno; come quando era a tagliare l'erba e si riposava.
Quando era a tagliare l'erba ficcava la punta del
falcino nel tronco di un albero, assettandosi un poco le vesti addosso, specie
la camicietta che si sbottonava sempre; stringendo tra i denti le forcelle che
una per volta ripigliava per mettersele nei capelli unti d'olio. Dopo aver
toccato la punta del falcino, umida del legno lacerato, come di una saliva,
cominciava a cantare; interrompendosi, e stando dritta in piedi. Poi, si
sputava nelle mani e si rimetteva giù.
Talvolta, le veniva voglia di nascondere tutto il
viso; e di restare così; di non esser veduta che dall'aria; di non mangiare
più, di morire senza accorgersene.
Le veniva anche voglia di gridare; e aveva paura.