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[XVI]
Per non tenere Pietro proprio
in ozio, Anna lo mise alle belle arti; perché aveva sempre avuto una certa
tendenza al disegno, che a lei e a qualche avventore era sembrata da non
trascurare.
Una mattina, in casa, ricopiando un brutto
ritratto a stampa, Pietro si chiese perché provasse quell'indefinitezza per
Ghìsola.
Allungava e piegava il collo per veder meglio gli
effetti; ma il disegno, a malgrado de' suoi sforzi, era incerto e sbagliato.
Si stupiva di non riescirci, e arricciava in giù
e in su le labbra, fino a toccarsi la punta del naso.
I libri di quando andava a scuola, sporchi e
slegati, erano tra i suoi piedi. Urtandoli provò un lieve malessere, che lo
distrasse. Anche il disegno lo irritò.
Una specie di struggimento a lui noto assalì il
suo cervello come una polla diaccia, che non gli permetteva mai di fare qualche
cosa. Anche gli sembrava strano d'esistere; perciò ebbe paura di se stesso, e
cercò di dimenticarsi, fissando lungamente le palme delle mani finché riuscì a
non scorgerle più.
Allora percepì un dolore dietro la scapola
sinistra; al quale gli parve ridotto tutto il suo essere.
E dopo un pezzo, si avvide che il tavolino sul
quale lavorava, essendo troppo basso, gli aveva aiutato quell'assopimento.
Si alzò. La matita cadde, spezzandosi. Raccattò i
pezzettini con un vivo dispiacere quasi superstizioso: "Perché è
caduta?".
Esaminò il ritratto e poi la copia; e si sentì
tanto scoraggiato che ne provò quasi affanno, come il culmine dell'indecisione
e del dubbio che mai lo lasciavano in pace.
E in tanto, un raggio di sole, un raggio pieno di
sonno, aveva invaso tutto il foglio di carta. E Pietro pensò: "È finita.
Non vado più avanti".
Rebecca, che aveva spazzato tutte le camere,
passò accanto a lui e gli disse:
«Perché stai costì senza far niente?».
Le saltò addosso, dietro le spalle, allacciando
le mani sopra il volto. Rebecca rise con la bocca chiusa, insalivandogli le
dita. Egli la fece barcollare; poi, saltando, andò in un'altra stanza.