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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
[XVIII]
Ghìsola non aveva più il buon
contegno di prima. Ambiziosa e caparbia, voleva fare il comodo suo,
Tutte le domeniche, dopo pranzo, fuggiva da casa;
e la rivedevano a buio. La nonna andava a cercarla per i poderi: era stata a
zonzo per Siena, invece; e, per le strade, le facevano complimenti osceni e
proposte di amorazzi. C'era qualcuno che la riconosceva e la seguiva per
fermarla e parlarci. Ella sorrideva, un poco stordita e lusingata; perché non
eran contadini ma giovini operai vestiti bene. Quando arrivava alla Porta
Camollia, doveva far presto; perché le guardie daziarie se la mettevano in
mezzo e le impedivano di passare.
E quando aveva un fiore, non doveva andare
rasente il muro perché parecchi, ritti su l'uscio delle loro botteghe,
allungavano le mani per levarglielo.
Tornata, per non udire brontolii, passava dalla
finestra di camera, attaccandosi ai sostegni del pollaio; si spogliava ed
entrava a letto senza cenare; arrabbiandosi con il rumore della zuppiera, dove
Giacco e Masa mangiavano con i loro cucchiai d'ottone; e quando si sbattevano
insieme, Giacco dava un'occhiata a Masa.
Alla fine, la nonna capiva che era in casa; e,
pensando che si sarebbe ammalata, le portava di nascosto un pezzo di pane; ma,
prima di darglielo, glielo batteva sul capo.
Ghìsola masticava, tenendo il capo volto dalla
parte del muro; meravigliandosi che il pane fosse bagnato di lacrime, che non
volevano smettere, avendo avuto, poco avanti, piuttosto voglia di ridere.
Doveva esser quella la sua vita?
Ma, al rumore dei nonni quando entravano,
chiudeva gli occhi; per far credere che dormisse e per il bisogno di non
vederli.
L'ultimo giorno che stette a Poggio a' Meli,
mentr'era per addormentarsi con una forcella in bocca, che aveva mangiucchiata
con i denti, le parve di cadere da una grande altezza e battere sul tetto della
casa a Radda: gemendo, si scosse tutta. Il nonno, dall'altro letto, le grido:
«Stai zitta! Credi che non mi dispiaccia?».
Temette d'esser brontolata. Poi rifletté, e a lei
parve a voce alta: "Non ci pensano più. Bisogna che non russi".
Ma le dava fastidio l'odore delle lenzuola poco
pulite; e, per non sentirlo, se le avvoltolò al collo.
I suoi capelli, sciolti, finivano a punta; e,
sopra il capezzale, assomigliavano a una falce.
Le pareva d'entrare in casa: la mamma aveva un
vestito nuovo, le due sorelle erano ingrassate. Una voce le chiese:
«Che cosa ci fai qui?».
Ed ella rispose:
«Non lo so: non ci sono venuta da me. Ma il babbo
dov'è nascosto?»
«La colpa è tua».
Ripigliava la voce.
La mamma e le sorelle ascoltavano e guardavano,
con un silenzio così orribile ch'ella si slanciava addosso a loro; perché
andassero nell'altra stanza. Ma le pareva di non poter muovere le braccia, e di
urtare con il capo in una parete invisibile. Allora sentiva che il cuore
cambiava di posto, il ventre faceva lo stesso, la gola si spellava; e i volti
della mamma e delle sorelle doventavano spaventevoli. Ella disse:
«Parlate!».
Quelle si volsero ad un uscio; e il babbo, con
due sacchi pieni su le spalle, con il viso grondante di sangue, tanto sangue
che andava a empire la gora del mulino, salì le scale.
Ella, sentendo il peso dei sacchi addosso, urlò.