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Quando il Rosi era doventato
padrone del Pesce Azzurro, c'era un ingresso solo, quello da Via dei
Rossi, con un'insegna di ferro, a banderuola, ferma al muro e con un pesce dipinto
tanto dall'una parte che dall'altra. Sulla porta, una Madonna in bassorilievo;
del quattrocento. Ci stava ancora il lume attaccato, ma la fune per tirarlo giù
mancava.
Poi furono aperti anche due ingressi dalla Via
Cavour. Ed ad uno di questi, dietro il cristallo della porta, una vetrina a due
piani, foderata con la carta che cambiavano una volta tutte le settimane; piena
di polli già pelati, di carni arrostite, e d'altre delizie.
Dopo l'ingresso da Via dei Rossi una gran porta,
per entrare in una piazzola interna sempre ingombra di calessi e d'ogni specie
di legni. Accanto a questa, la stalla; che poteva contenere fino a trenta
bestie. Sopra la stalla, la capanna.
Tutti i sabati, Domenico faceva l'elemosina dei
pezzi di pane avanzati agli avventori.
La stretta Via dei Rossi, al principio, dov'era
l'uscio vecchio della trattoria, si empiva un'ora prima del tempo, di
mendicanti; fra i quali era anche la moglie di Pipi, giovine, ma così smunta e
gialla che la sua bocca era come un taglio senza labbra: andava come se non
avesse potuto piegare la testa da nessuna parte. Molte volte, dalla veste male
abbottonata e sudicia, si vedeva il petto vuoto e senza i seni.
C'era anche una vecchia, dal naso enorme e
pavonazzo, con un cappello da contadina, del quale le trecce di paglia si
disfacevano intorno; e ne rimaneva sempre un giro di meno. Questa pretendeva
d'avere la prima elemosina, e non se ne andava finché tutti i pezzi di pane non
fossero stati distribuiti. Talvolta gridava:
«Quella vecchiaccia ne ha avuto più di me».
Ed apriva ancora i lembi del fazzoletto pieno di
pane duro, sorreggendo sotto l'ascella il bastoncino.
C'era una mendicante, a cui Domenico faceva
l'elemosina tre giorni della settimana; una donna grande, dal volto acceso ed
uguale come una maschera sottile, che non si poteva togliere, una maschera di
pelle rossa. Portava, d'estate e d'inverno, uno scialletto di lana nera
annodato dietro il dorso. Teneva sempre incrociate le mani pallide sul petto.
La sua figliola, alta e leggiadra, non la lasciava mai, tenendo una mano
infilata sotto uno dei suoi bracci; era scema e sorrideva sempre; ma di un
sorriso dolce ed appassionato.
Camminavano ambedue rasentando i muri; a passi
lunghi, come se avessero voluto fuggire. Nell'attraversare la strada da una
parte all'altra, si affrettavano anche di più.
Quando mangiavano la zuppa a qualche convento, la
figliola voltava il dorso a tutti; e ritraendo il cucchiaio dalla bocca, faceva
grandi risate silenziose.
Quando la madre morì, fu rinchiusa in un
manicomio.
C'era un cieco, che imprecava contro il figlio;
che aveva una mano secca con un dito di meno:
«Sei un mascalzone, e non mi aiuti. Se tu stai
costì appoggiato al muro, non troverai più pane per noi. Mascalzone! Mascalzone!».
E tendeva un orecchio, accartocciandovi dietro
una mano; per capire quanta elemosina ci fosse ancora; mentre la voce era la
stessa di quando recitava le devozioni.
Tutti gli altri poveri erano andati incontro a
Rosaura come un branco di polli verso il punto dov'è rimbalzato un chicco di
granturco.
Il giovinetto del cieco ascoltava, scalcinando
con le dita le commessure dei mattoni: preferiva essere l'ultimo perché, senza
leticare, era sicuro che Rosaura avrebbe serbato qualche cosa per lui.
Tutte le mendicanti guardavano il pane avuto; e
qualcuna ne riposava un pezzo troppo secco dentro una fenditura del muro, che
era accanto all'uscio. Allora Rosaura, sporgendosi tutta fuori, esclamava:
«Guardatela: viene a chiedere l'elemosina, e poi
la scrafia!».
Una donna rispondeva, tenendosi ambedue le mani
strette sopra i fianchi:
«Se l'avessi avuto io, l'avrei mangiato!».
Qualcuna rideva, addentando il pane; dopo averlo
un poco rigirato tra le mani sudicie. Ad un tratto, dal mormorio basso e
incomprensibile, cominciava un alterco:
«Viene a chiedere il pane, ed è ricca quanto
vuole».
«Che importa a te? Sono ricca?... Non le dia
retta».
Rosaura interrompeva:
«State zitta, altrimenti non ve ne daremo più».
Un'altra donna, con il volto guasto da un ezzema,
bendato con una pezzuola azzurra annodata dietro la testa, rispondeva:
«Ha ragione. Ma io non mi sono mai lamentata».
Si vedevano soltanto i suoi occhi infiammati,
come piaghe, che non potevano stare aperti; ed era costretta, per guardare, a
sollevare il capo di traverso; mentre, parlando, la benda seguiva i movimenti
della bocca. E che bocca aveva!
Un vecchio, che sopravveniva quasi sempre a
elemosina finita, cercava d'impietosire con quel tono che i mendicanti
adoprano:
«Per amor di Dio... anche a me».
«Non c'è più niente. Perché non venite prima?»
«Le gambe non mi reggono più!».
E batteva il suo bastone su lo scalino
dell'uscio. Rosaura se ne andava senza dargli niente; dopo avergli risposto:
«Ma per arrivare ora vi reggono!».
Allora egli aspettava ancora per lungo tempo; con
un'ostinazione rabbiosa:
«Signora mia, non mi faccia soffrire più!».
Aveva lavorato tutta la vita; e pensava, come a
una magnificenza, che se si ammalasse avrebbe potuto entrare in un ospedale,
dove sarebbe stato tutto il giorno steso sopra il letto. E a mangiare bene!
La moglie almeno gli era morta giovine, e non
soffriva più! Ma egli finì con il credere un obbligo l'elemosina, come trovare
uno scalone e mettercisi a sedere senza che lo mandassero via.