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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Domenico non riprese mai
moglie, quantunque vi riflettesse sovente, grattandosi forte con le unghie il
mento poco rasato, stringendo la pelle della gola e poi battendo le nocche su
qualche cosa, ma senza farsi male. Lo annunciava con veemenza, di proposito,
dopo ogni sua arrabbiatura. E credendo che Pietro si sarebbe dato agli
interessi, per non trovarsi in casa una matrigna, gli diceva:
«Ora toccherebbe a te! Ma tu, imbecille, fai il
socialista! Non ti vergogni?».
Comprava un cappello all'anno, portandolo tutti i
giorni; finché la tesa, che si adagiava su gli orecchi, rovesciandoli più giù,
non fosse untuosa. Gli piaceva di tenere la camicia almeno per due settimane; e
bestemmiava quando doveva decidersi a rifarsele nuove. L'istinto di conservarsi
nella condizione guadagnata lo costringeva anche ad inutili economie; che, del
resto, faceva notare agli altri; anzi, volendo che fossero apprezzate, diceva,
ed era vero:
«Io sono un galantuomo: ho fatto i denari con il
mio sudore; e me li voglio mantenere».
In una ciotola di legno, teneva, insieme con le
monete di rame, per superstizione, una medaglietta trovata mentre gli
assalariati vangavano. Per guardarla meglio, il che gli succedeva tutte le
volte che gli veniva in mano, mettevasi gli occhiali.
La medaglietta gli piaceva, perché con le unghie
riusciva a grattare il metallo; che, allora, pareva nuovo. Quando gli avevano
portato gli occhiali, dopo averglieli cercati da per tutto, sedeva, li puliva
con il suo fazzoletto rosso, puzzolente di lezzo:
«Non la vedo bene!».
E usciva fuori, per farla esaminare prima al
droghiere, poi al mercante e al barbiere; che erano i suoi amici più vicini.
Ma né meno loro, naturalmente, sapevano che
medaglietta fosse.
Talvolta si appoggiava, senza cappello, all'uscio
della bottega; salutando anche chi conosceva a pena.
D'estate, vi si faceva portare una sedia;
sonnecchiando, finché qualcuno, che passava, non lo destasse con un colpo sopra
la coscia. Allora si risentiva, dicendo:
«Mi ero addormentato un poco».
E, per levarsi il sonno, andava a dare qualche
ordine.
Durante la giornata, inghiottiva tutte le frutta
trapassate; e diceva al cuoco, i cui capelli neri toccavano quasi le ciglia:
«Portami un tegame!».
Assaggiava e rimandava via il cuoco, spingendolo
sul braccio:
«Ci hai messo poco pepe. Quando imparerai a fare
da te?».
Il rimproverato restava male ed alzava a poco a
poco una spalla.
«Portami quell'altro tegame, ora».
Quegli obbediva, restando poi dritto a guardarlo;
con una mano sopra la tavola.
Domenico non aspettava di aver ingoiato il
boccone, per gridargli:
«Hai fatto bruciare l'aglio».
Si puliva i baffi, sdrusciandoseli con il
tovagliolo; e concludeva:
«Bisognerà che in cucina non ti lasci più solo o
ti mandi via. Degli uomini non ne nascono più»
Ogni mattina mangiava di quel che c'era rimasto
il giorno innanzi in fondo ai recipienti della dispensa.
Ma del vino ne beveva quasi un fiasco: e ruttava
sopra il fazzoletto, volgendosi verso il muro. I sapori lo esaltavano, lo
facevano loquace; e fuori della cucina gli pareva di perder tempo, a meno che
non fosse a Poggio a' Meli.