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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Ghìsola era stata mandata via
da Poggio a' Meli, con astuta precauzione, da Domenico; che, vedendo il
contegno poco sicuro di lei, non volle trovarsi in impicci.
Ella era andata a Poggio a' Meli a dodici anni ed
era tornata a Radda a diciassette.
Conosceva quasi soltanto di nome gli altri
parenti e non aveva più veduto le due sorelle, che non le erano affezionate
perché non vivevano insieme; ma andarono a prenderla alla diligenza, mettendosi
le scarpe nuove e gli scialletti delle feste.
Ella portò loro due anelli d'oro falso, per
regalo. La baciarono e poi si trovarono tutte e due impacciate. Non sapevano se
la tenevano nel mezzo; e, camminando, cambiavano sempre di posto. La minore,
anzi, si mise dietro; e, quando Ghìsola la chiamò con sé, invece andò lungo la
proda sul margine erboso della strada; riabbassando la testa tutte le volte che
Ghìsola si voltava a lei, perché non voleva far vedere che la guardava. Anche
la sorella più grande parlò poco, anzi non disse niente.
Quando giunsero a casa, dove l'aspettavano i
genitori, Ghìsola si mise a piangere. Ma, poi, fecero un bel pranzo, mangiando
un coniglio fritto e due galline in padella; due galline che avrebbero dovuto
campare, perché avevano le ovaie grasse e piene. Il pane era stato sfornato la
mattina stessa.
Borio di Sandro, un vedovo amico della famiglia
che aiutava anche con il denaro, aveva portato un fiasco del suo buon vino. E,
il primo giorno, quella mezza sbornia mise tutti d'accordo.
Ma Ghìsola non se la sentiva di faticare come le
sorelle, che la chiamavano tra sé la «signorina delicata». Non voleva saperne
di starci insieme; e, quando le era possibile, andava nel campo sola. Non le
volevano male, ma lei trovava sempre modo di smetter subito qualunque discorso
che volessero incominciare. Anche alla messa andava sola; e ripensava a Poggio
a' Meli. Già tornare a Radda era stato un dispiacere; e Borio soltanto lo
capiva. Ella gli diceva sempre che non ci sarebbe rimasta a costo di farsi
ammazzare!
Un anno dopo, la sera di una solenne festa religiosa,
egli l'aveva accompagnata alla processione su dentro il paese.
Era stata una processione con i contadini dei
dintorni dietro ad una piccola croce, a coppie, con i loro cappelli in mano. Le
ragazze, tutte insieme dopo, cantavano leggendo in un libro tenuto aperto con
ambedue le mani, sempre a testa bassa, come quando si va incontro a un vento
impetuoso. Poi un'altra croce, grande e nera, polverosa, con una corona di
spine e con i flagelli di corda pendenti. Poi il prete.
Il vedovo ricondusse a casa Ghìsola che non aveva
mai voluto dare retta a nessun giovinotto, perché si teneva molto da più di
tutti.
Scesero per una strada ripida, sempre più buia,
che porta fuori del paese; accanto alle file dei cipressi folti, entrando poi
nei campi. Percorsero un sentiero scosceso, a metà di un grande poggio nano e
coperto di querci alte.
Ghìsola, a cui Borio piaceva molto, camminava un
passo innanzi, un poco triste come succede sovente dopo l'allegria insolita e
quasi involontaria di una festa.
"Perché ella non mi guarda più?".
Gettò via il sigaro che ora gli faceva male e gli
aumentava la confusione. Erano soli! Tutta l'altra gente non si sa dove fosse
scomparsa! È vero che qualche volta egli udiva, prima di lei, rumore di passi;
ma poi il calpisticcio si allontanava.
Pareva che Ghìsola volesse farsi sempre più
piccola, camminando quasi senza vedere; e se non ci fosse stato Borio, a cui
stava vicino ascoltandolo respirare, sarebbe andata a battere in qualche proda.
Di quando in quando, inciampava; le sue gambe
parevano intirizzite e così lunghe che ad ogni passo la facevano rintronare tutta.
E allora pensò di fermarsi. Credeva d'aver bevuto troppo; e si sentiva portar
via la testa; senza avvedersene, sospirava sollevando lungamente lo stomaco.
L'oscurità, con la luna palpitante sotto un velo
di nuvole, empiva ogni parte di ombre fievoli e trasparenti. Allora egli la
prese per mano, ed ella lasciò fare: gli pareva che Ghìsola fosse doventata un
essere debole, quasi buffa. Ma capì. La baciò; ed ella si discostò, trasalendo.
La baciò ancora, guardando dopo fissamente la sua nuca e il suo dorso solcato
tra le spalle. Ma, forse, non sarebbe riuscito a baciarla un'altra volta! E
siccome non si voltava a dietro, le cinse la vita con il braccio.
Stava zitta! Ella aveva paura di parlare, quanto
dell'ombre di quei cipressi: le quali, all'improvviso, subito fuori del paese,
attraversavano la strada, risalendo come se fossero vive, con la cima su per il
muro dalla parte opposta.
Ad un tratto si sedette a metà del viottolo sopra
una pietra, nascondendo la faccia con lo scialletto caduto giù dai capelli; e,
sopra, le mani: mani che parevano di ferro, come le punte del forcone.
Egli, volendole parlare, pur non sapendo come,
dovette abbassarsi tutto. Non gli pareva di essere accanto a quella Ghìsola che
conosceva da tanto tempo e che era con lui anche poco fa. Ella strinse le gambe
l'una contro l'altra, così insieme che somigliavano ad un aratro voltato in sù.
Allora Borio, dopo una lotta silenziosa, con le
mani, poté dire, sentendo già il rimorso, senza nessuna voluttà:
«Ti dico di sì... ti dico di sì...».
Le loro dita, sudate, si sguisciavano; egli aveva
voglia di storcergliele: si guardavano come quando si sta per leticare, perché
ormai era impossibile smettere.
Ella allontanò le gambe. Poi pianse.