Federigo Tozzi
Con gli occhi chiusi

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XXX]

     Borio, più anziano, le incuteva anche una certa obbedienza. Aveva la testa grossa e con un birignoccolo, il viso tutto rasato; e i capelli, a spazzola, che gli coprivano fin giù le tempia: le sopracciglia come lunghe setole nere e attaccate insieme sul naso.
     Ella stessa l'indomani andò a ritrovarlo; e ne divenne gelosa.
     Adesso i suoi occhi parevano sempre molli; e i capelli più morbidi; con la fronte troppo piccola.
     Borio ci si era perso, e l'avrebbe sposata. Ma anche il suo fattore la possedette; e ambedue, per gelosia, ne sparlavano con tutti: allora molti di quei giovinotti, da lei respinti, non la lasciarono più in pace.
     Andavano a cercarla nel campo, sotto i fichi e i peschi; l'appostavano, quando tornava, attraverso i ginepri. Si doveva difendere a morsi e con le unghie, piangendo e rifugiandosi a casa di corsa. E allora le veniva da ridere; e aspettava che passassero sotto la sua finestra. Qualcuno cercava d'arrampicarsi anche su per il muro. Poi facevano le sassaiuole alla porta.
     Il fattore voleva tirare qualche fucilata, come alle lepri.
     Ma ella, per non buscarne tutti i giorni dai suoi, e per essere più indipendente, trovò servizio da una signora della Castellina, un altro paese distante da Radda pochi chilometri.
     La strada da Siena, dopo essere discesa fin giù ad un torrentello dov'è un mulino, sale in mezzo a linee contorte e raggomitolate di colli che s'assomigliano e della stessa dolcezza, con i filari delle viti tra i muriccioli a secco, di sassi, con le fattorie dietro i cipressi, con qualche campanile così lontano che dopo una voltata non si vede più. E di mano in mano che la strada s'aggira, quasi tormentandosi della sua lunghezza, impaziente, si fa sempre più silenziosa; e le campagne più aride e solitarie.
     Vi sono poggi con cime piane, lastricate di pietre, sterpigne: qualche croce, fatta con i pali delle viti, talvolta abbattuta, in proda a una scorciatoia per i contadini e per le bestie.
     Boschi di querci, ma radi; e, tra il fogliame, si vedono prominenze e insenature di altre colline, scoscendimenti ripidi e a un tratto pianeggianti, con tre o quattro facce che si attaccano a ondulazioni di , a ripiani di terra rossastra, a balze.
     Dopo Fonterutoli, un villaggio come un angolo di case, con quattro botteghe, la strada si fa ripidissima; e riesce ad esser più alta che altrove.
     Talvolta tutto un pezzo di bosco appare quanto è largo, e un uccello vi passa sopra; da un doccio, il solo che è per quella strada, vecchio e sbocconcellato, scroscia l'acqua dentro un abbeveratoio massiccio.
     Il silenzio di quei boschi, le lunghe ore di seguito! E uguale a quello delle pietre aggavignate dalle radici degli alberi. Ma quando il vento soffia da dove gli alti monti doventano quasi diafani, gli scontorcimenti delle fronde impauriscono, strepitando e sibilando: ogni fronda, ristrettasi accostando insieme le foglie, quando si riapre per tutto il bosco è un tremolio che s'attenua, accompagnato da qualche suono, che sbalza da un punto all'altro, flebile e melodioso. I ramicelli si schiantano, le foglie sbattono su le pietraie; gli uccelli volano qua e come portati dal vento.
     Nel temporale tutte le querci si piegano insieme, con sforzo, per abbassarsi. Le nuvole si fermano sopra, quasi si mettessero a guardare; e par che né meno il vento riesca a smuoverle.
     Talvolta sono immobili le querci, e allora le nuvole passano.
     La strada, dopo il villaggio, si volge a gomito, in salita, come una fetta bianca tra due spianatine di verde; poi, all'improvviso e dritta, precipita per più di un chilometro, tagliata tra i macigni; e allora si vede giù tutta la Castellina.
     E in quel punto, a destra, seguitano altre colline poco più alte. Mentre, a sinistra, sono sempre più basse fino alle pianure della Val d'Elsa; con i paesi che sembrano piccole macie; poi cominciano la Montagnola e Montemaggio; e dietro a loro si stendono altre file di monti, che a vederli di lassù sono uguali alle nuvole lontane.
     Ci si imbatte, quasi sempre, in un branco di pecore, che attraversano lo spazio dove non sono piante e si rimboscano dall'altra parte, trotterellando. Oppure scendono giù per una viottola, l'una dopo l'altra; come si buttassero con il capo in avanti; e il peso della prima le traesse dietro tutte.
     Quanti carri verniciati di rosso, con i bovi; e sopra, per lo più, i contadini a coccoloni per stare più comodi!
     Qualche automobile, proprio delle prime, faceva affacciare alla finestra e agli usci quelli che erano in tempo, meravigliati che passasse tra loro come se non ci fossero né meno stati; poi si scambiavano il solito sguardo e tornavano alle faccende. Che fretta!
     Le donne, che avevano i bambini a raspare la terra, quasi in mezzo alla strada, gridavano imprecando.
     Qualcuno di quei vecchi fattori arricchiti, strettosi al muro più di quanto ce ne fosse bisogno, andava a sfogarsi con gli amici, seduto sopra uno sgabello, con il bastone di legno sbucciato tra le gambe, appoggiando la schiena torta su le segolette, le fruste, le funi attaccate alla bottega che vendeva anche lo zolfo, le spazzole e le bullette per le scarpe.
     Se ne stava magari due ore, sputando sempre dalla stessa parte; facendosi comprare il sigaro da qualche ragazzo, per non muoversi.
     «Andrebbero messi in prigione, non è vero? Ai nostri tempi, queste stupidaggini non c'erano».
     E rideva spalancando tanto la bocca che si vedeva tutto il solco della lingua a punta; una lingua aguzzata con il coltello.
     A mezzogiorno, quando il sole troppo caldo aumentava il silenzio, egli, con l'orologio in mano, aspettava che le campane suonassero:
     «Tu che ora hai?».
     Le campane si muovevano; tutti si alzavano come sorpresi: quasi avessero dovuto cambiar di posto anche le muraglie. Le botteghe erano chiuse ad un tratto. E coloro che abitavano fuori del paese si avviavano a mangiare; indugiandosi, però, al sole; come i cani che scodinzolavano a tutti.
     La metà superiore della torre era dentro alla luce, e pareva dovesse consumarsi come una fiamma.
     Quando le campane tacevano, se ne udiva una lontana sperduta tra le boscaglie; che continuava a cantare per conto proprio, mescolando il suono con i campani dei greggi.
     Una ragazza, venuta da un altro paese vicino e conosciuto, si porta sempre con sé tutti i pregiudizi con le simpatie e le ostilità che quello ha. Ora, a Ghìsola, s'erano aggiunte molte dicerie; che facevano ridere.
     Il prete, avvertito certo da quell'altro di Radda, rimproverò la signora che l'aveva presa al servizio. La giovine sentì in lui un persecutore fanatico: lo vedeva bene dalla sua fisonomia alterata e biancastrona quand'egli la guardava torcendo la bocca tutta da una parte; con gli occhi noccioluti e miopi. Ed ella allora camminò più rimpettita, più lasciva, come un'anatra che tiene alto il becco.
     Come odiava Radda, ora! No, Borio non avrebbe fatto così con un'altra: con una delle sue sorelle, per esempio!
     Rivedeva tutta la processione: anzi si divertiva riconoscendo a uno a uno quegli che cantavano senza badare a lei, dicendo mentalmente i loro nomi, dietro quel crocifisso nudo e tarlato; con le gocce di vernice rossa come sangue vero, che battesse in terra, spaccando gli zoccoli di tutta quella calca! Le pareva che la processione entrasse, vertiginosamente, dentro i suoi occhi! Il baldacchino un poco di sghembo, e la musica riecheggiata, come se suonasse anche la valle tortuosa, a nicchia: quella musica quasi che parlasse; e il suono delle campane così forte da farle staccare.
     Ghìsola aveva creduto di trovare alla Castellina gente che s'occupasse meno di lei; ma questa differenza non c'era.
     Tutti sapevano qualche cosa; e chi non la sapeva se l'inventava.
     Il sindaco ne era impensierito, perché doventava un vero scandalo; e diceva che certe donne stanno bene nella città e non nei paesi. E, poi, alla Castellina! Ma Ghìsola gli piaceva, e ci faceva invece anche il galante.
     Ella, benché ce ne fossero parecchi, non trovò né meno uno da farci amicizia; perché, appena si parlavano, c'era sempre la persona che li scopriva e andava a dirlo. Così non avevano più il modo di riavvicinarsi.
     Per i signorotti, poi, si trattava di un divertimento molto allegro; e ognuno se la spacciava per sua amante.
     La mezza dozzina di signorine, in fondo, la invidiavano che piacesse così e che gli uomini la guardassero benché parlandone male.
     Per Ghìsola doventava troppo; e bisognava venir via anche dalla Castellina: "Che ci faceva, su, tra quel pettegolezzaio?".
     Dopo né meno un mese, per mezzo di alcune amicizie, d'accordo con una mezzana, fu presa da un commerciante di stoviglie separato dalla moglie; il quale appunto voleva conoscere una ragazza di quel genere. Egli, avendola trovata di suo piacimento e disposta, la mise in una sua casetta nei dintorni di Badia a Ripoli; dove da tutti era chiamato, alla buona, il signor Alberto.
     E Ghìsola, mandando il suo indirizzo ai parenti, scrisse d'aver trovato servizio.


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