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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Pietro tornava solo da
lunghissime passeggiate in campagna, dopo essersi consigliato anche con l'aria.
Talvolta gli era parso impossibile che Ghìsola avesse amato qualcuno, perché
sarebbe stato una contaminazione della sua bellezza. Piuttosto era lui un
geloso!
Talvolta si diceva: "Sono proprio a Siena?
Non mi pare la stessa. Certamente, il suo cielo ora è più azzurro di prima: non
era così una volta". Notò che d'estate, verso sera, nella Piazza del Campo
rimane una luce pallida e tepida, un avanzo del meriggio; simile alla luce
d'una lanterna, che illumini soltanto là dentro; mentre le persone, che
attraversano quello spazio, sembrano lontane nel tempo, con un silenzio
indefinibile.
"Quando ci sarà anche Ghìsola, le dirò quel
che provo".
Tutte le mattine si svegliava con un sospiro. E
come si ricordava bene dei sogni!
Ma senza Ghìsola non poteva vivere; e, verso la
metà d'agosto, decise d'andare a prenderla, perché tornasse a Radda ad
aspettare il loro matrimonio; un anno forse, un anno e mezzo al più. Perché non
avrebbe avuto il consenso? Intanto, facendola stare a Radda, si sentiva più
sicuro di lei.
Da Rebecca si fece prestare il denaro per il
viaggio.
Ma a Firenze, in quelle poche ore, gli pareva
d'essere sempre a Siena, in cima alla Via di Camporegio, dove era andato tutti
i giorni quando faceva la scuola tecnica. È breve la distanza tra la mole rude
e rossiccia di San Domenico e le case che s'arrampicano alla rinfusa, un'altra
volta, in ogni direzione attorno al Duomo, fermandovisi sotto a pena che lo toccano;
ma, a guardare di lì la profondità vuota di Fontebranda, ci si sente mozzare il
respiro.
L'Ospedale, alto su le mura, rosso sangue, lo
vedeva doventare del colore della terra bruciata; il turchino del cielo, bigio.
E poi le prime stelle, qua e là, così sparse che gli facevano angoscia.
I vicoli, simili a spaccature e a cretti enormi,
s'anneravano.
Tra i giardini e gli orti, l'uno più alto
dell'altro, chiusi dentro i muri rettangolari, che spesso hanno a comune, nelle
insenature o nelle sporgenze delle colline, e seguendo i loro pendii diseguali,
il barlume della notte gli sembrava che cadesse come quando piove a dirotto.
Un briaco cominciava a cantare e poi smetteva. La
Costaccia come il parapetto d'un abisso, e il Costone quasi a picco, con il suo
arco greve e largo che lo tiene fermo perché sopra ci passi un'altra strada,
salgono di squincio, verso le case.
Non due tetti della stessa altezza, anche se
accanto. Grumoli piccoli e grandi di case che s'allungano parallelamente
obliqui e storti: alcune volte le case stanno a due e tre angoli l'uno dentro
l'altro, a cerchio, a nodi, serrate insieme, mescolate, aggrovigliate, con
curve rotte o schiacciate, sempre con improvvisi cambiamenti; obbedendo alle
forme delle colline, ai pendii e alle svolte delle vie, alle piazze che
dall'alto paiono buche.
Ad un tratto, uno stacco tra due case, e poi le
altre che s'afferrano e si tengono ancora, con forza, pigiandosi e abbassandosi
e poi risalendo e girando per sparire leste leste dietro quelle che hanno un
movimento affatto diseguale e che vengono incontro dalla parte opposta; salite
su; ma anche queste s'interrompono quasi subito per doventare una raggiera più
larga, irregolare, tutta piana oppure contorta; dentro la quale si mettono e
s'avventano case, di sghembo, a traverso, come riescono e possono; spinte da
altre che fanno l'effetto di volersi accomodare meglio ed assestarsi, ciascuna
per conto proprio.
Le case, bassissime, quasi per affondare nella
campagna, da Porta Ovile, da Fontebranda, dai Tufi, sorreggono quelle che hanno
a ridosso, le trattengono dalla loro voglia di sparpagliarsi più rade; i punti
più alti sono come richiami alle case costrette ad obbedire per non restare
troppo sole.
Nei rialzi sembra che ci sia un parapiglia a
mulinello, negli abbassamenti le case precipitano l'una addosso all'altra; come
frane. Oppure si possono contare fino a dieci file di tetti, lunghe lunghe,
sempre più alte: di fianco, altre file che vanno in senso perpendicolare alle
prime.
La Torre del Mangia esce fuori placida da tutto
quell'arruffio.
E attorno alla città, gli olivi e i cipressi si
fanno posto tra le case; come se, venuti dalla campagna, non volessero più
tornare a dietro.
Ma gli pareva d'essere inseguito da suo padre,
pur sentendosi rasserenato dal campanile di Giotto, da Santa Maria del Fiore,
da quelle strade che conosceva, già percorse in quella specie di perdizione
sempre più accanita. Aveva voglia di riparlare con qualcuno dei suoi compagni,
di spiegare a loro l'equivoco avuto, e come si fosse perso per una ragione che
non sapeva dire; per quanto gli dispiacesse tenere segreti anche ora che
sentiva la necessità squisita d'aver qualche cosa da nascondere; una cosa che
forse era come la sua anima stessa.
Un venditore di limoni, sotto un ombrello verde
con le stecche di legno, era seduto al principio del Ponte alle Grazie. Qualche
facchino e qualche persona indefinibile sonnecchiavano appoggiati al muricciolo
dell'argine.
Un'allodola volò dagli alberi di San Miniato, verso
le Cascine, come una cosa scintillante.
Andando verso la Piazza della Signoria, fresca e
annaffiata, si cominciava a rivedere la gente: più fitta in Via Calzaioli e
nella Piazza del Duomo. In fondo a Via Cavour, il poggio di Fiesole; alto e
verde.
A Badia, quando scese dal tranvai, Pietro arrossì
quantunque non ci fosse nessuno. E scrutò sotto le persiane, per scorgervi
qualche viso che guardasse nella strada: soltanto piante di geranii polverosi.
Apertogli l'uscio proprio da Ghìsola, che però
non lo fece entrare, egli subito si dolse che non fosse già andata a Radda; ed
ella rispose che aspettava lui e voleva prima essere sicura che i suoi genitori
l'avrebbero volentieri ripresa in casa.
Gli era inesplicabile la sensazione di trovarsi
con lei già da tanto tempo.
«E perché no? Sono cattivi con te?»
«Io non ci sto volentieri».
Gli fece caso che rispondesse proprio a quel modo
e non altrimenti. L'accarezzò, pregandola:
«Tu non mi devi rispondere di no; devi aspettare
a casa tua. Mi farai piacere».
Poi pensò: "Perché le domando di fare
così?".
«Se tu vuoi...».
Visto ch'ella era per ubbidire, chiese:
«Vieni a Siena con me, allora».
Ella sorrise e gli fece cenno di tacere.
Era convinto che dovesse provare una gran
dolcezza ad ubbidirgli; ma Ghìsola, che aveva voglia di scherzare più che
d'altro, gli chiese: «Ti piaccio meno?»
«Perché dovresti piacermi meno?».
E le accarezzò tutta la faccia: ella si discostò
e gli guardò la punta delle dita.
«Perché non vuoi? Ti aspetto nella strada, verso
la Badia».
«Verrò. Ora vattene».
Le baciò ambedue le mani, tenendogliele insieme,
mentre ella si tirava a dietro, quasi chiudendogli l'uscio in faccia.
Ed egli pensava, scendendo le scale: "Ha
sofferto. Soffre perché deve stare in una casa che non è sua. I genitori,
forse, non le hanno più scritto; i parenti la invidiano. M'è parsa più
sensuale; ma io devo rispettarla lo stesso, anzi di più: dopo, la
odierei".
Invece non gli fece caso che potesse venirsene
via così a pena glie ne aveva parlato.
Il signor Alberto s'era impigliato in un processo
di fallimento; e da una quindicina di giorni non si faceva più vedere da
nessuno, né meno da lei, che andava a trovarlo, di rado, qualche mezz'ora,
nello studio d'uno dei suoi avvocati dove ormai passava tutto il suo tempo.
Egli l'aveva pregata di tornare a Radda, soltanto finché il processo non fosse
finito; anche perché i parenti della moglie, ch'erano tra i testimonii, non
soffiassero nella brace.
Denari non li dava più; e, più d'una volta,
Ghìsola aveva dovuto cominciare a contentarsi di pane mangiato soltanto con
qualche frutta. Ma, non volendo tornare a casa e non avendo dove andare,
aspettava prima di decidere qualche cosa.
Così non aveva, dunque, dopo l'arrivo di Pietro,
che da incaricare Beatrice di salutare il suo amico, pregandolo che non la
dimenticasse.
Tuttavia, per farle ricordare che Pietro
l'aspettava, ci vollero le altre persuasioni di Beatrice; alla quale,
evidentemente, il padrone aveva ricorso anche per questa faccenda.
La donna l'abbracciò piangendo; con una tenerezza
che la fece sorridere, lacrimando.