Federigo Tozzi
Con gli occhi chiusi

[XXXVII]

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[
XXXVII]

     Gli olivi avevano messo una bella trama bianca, che s'illuminava di lucciole. Mentre, su i poggi neri del Chianti, i lampi apparivano e sparivano come una luce liquida ma densa.
     Ghìsola stava sola sul murello dell'aia. Masa e le altre donne degli assalariati, al chiaro di luna, aumentavano la sua collera. E le pareva che il chiaro di luna rimanesse attaccato alle loro vesti e se lo trascinassero seco movendosi. Lontana da loro, senza che né meno si ricordassero che viveva, quelle donnucce sporche come era stata anche lei!
     Si sdraiò sul murello; con un tremito convulso. Fissò una stella più grande delle altre; e le parve che girasse a cerchio e poi saltasse in qua e ; sentendosi, a seconda di quel moto, strappare le tempie.
     Credendo d'impazzire, scosse vivacemente la testa e si stropicciò gli occhi.
     Poi le donne rientrarono in casa; e allora si rimise a sedere e guardò verso gli usci: nell'ombra stava quasi la metà del piazzale fino al pozzo, ed una entratura ad arco sotto il quale era un carro; ma le pareva che fossero soltanto colori di altre ombre.
     Il murello era quello stesso quando, con qualche compagna, giornate intere, si chiappava le mosche su le ginocchia. Che risate insieme, a pena nella strada passava qualcuno!
     Il pozzo le fece paura; come se tirasse giù, dentro l'acqua, lei e tutta la luna. Poi pensando che quel lume era anche sopra la sua faccia, se la nascose entro le mani e rimase così.
     Dopo poco udì qualcuno che camminava sull'aia verso di lei: certo, era scalzo. Ma ella non si mosse; s'imaginava di non potersi muovere; per quanto sapesse che non era vero. Allora, Carlo le si mise a sedere accanto; tossì prima, e dopo un altro secondo le posò una mano sul petto.
     Ella alzò la faccia senza guardarlo, fece una risata ed entrò in casa.
     Carlo ebbe l'impressione di aver visto quella risata, e non la ragazza.


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