Federigo Tozzi
Con gli occhi chiusi

[XXXIX]

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XXXIX]

     «Vestiti».
     Trovatala in camera con le braccia nude, voleva che si affrettasse a rimettersi il giacchetto color rosa; e aspettando per baciarla. Poi le disse:
     «Così mi piaci di più. Altrimenti, non ti potevo baciare. Lo sai!».
     Ella sarebbe partita con la diligenza di Radda.
     Le cose erano rimaste sempre allo stesso punto: Domenico aveva finto di non occuparsi di Pietro e di Ghìsola, sapendosi dominare, sicuro che il tempo lo avrebbe aiutato; e le chiacchiere insinuanti non erano state confutate: Pietro non aveva trovato nessun modo d'affrettare il matrimonio.
     Masa esciva ed entrava, dando un'occhiata a loro e una nel piazzale; per vedere se gli assalariati stessero a curiosare. Temeva più che mai le loro lingue; e non le pareva l'ora che Ghìsola se ne andasse, per riguardo al padrone.
     Ella non si sentiva degna che la nipote doventasse la moglie di Pietro: era una cosa che aveva superato ogni sua pretesa! Non s'arrischiava né meno a ringraziarne Dio, perché temeva dovesse punirla della sua troppa contentezza; e poi, prima, ne voleva esser più sicura! Aveva detto altre volte:
     «Non si può chiedere a Dio una cosa, di cui non siamo degni».
     Pietro porse a Ghìsola il pettine, poi le abbottonò il giacchetto lungo la spalle. Ella, dopo l'ultimo bottone, si volse, e si fece baciare un'altra volta.
     E siccome c'era ancora molto tempo, si distese sul letto dove aveva dormito giovinetta. Il suo volto s'indurì, sino a prendere un'aria d'angoscia sinistra. Respinse tutte le carezze di Pietro; non volle esser più baciata, non gli rispose né meno; qualunque cosa egli tentasse di dire; con gli occhi accigliati e torbidi, la bocca gonfia di collera.
     Masa disse:
     «Ti senti male? Che cosa hai?».
     Ella tirò la testa in dietro, quasi il collo s'irrigidisse. Pietro le prese le mani:
     «Non è niente. Ti passerà. Ma che cos'hai? Lasciatela fare, Masa».
     Ghìsola li guardava ambedue, ora l'uno ora l'altra. Pietro la baciò su i piedi: ella li nascose sotto la sottana. Era il dispiacere d'andarsene? Ma somigliava ad altre volte; a quando s'era accontentato di toccare qualche cosa che le appartenesse: un nastro, uno spillo; e anche il suo braccialetto d'argento. E gli era impossibile ammettere che ella avesse potuto scambiare con un'altra persona uno dei suoi ninnoli!
     Ghìsola avrebbe voluto non muoversi più: credeva di dover stare a quel modo un tempo indefinibile, forse per sempre.
     Pietro e Masa, così intorno a lei, le facevano venire un brivido. E li avrebbe presi a pedate.
     Quando Pietro la decise ad alzarsi, dicendole che altrimenti non sarebbe più stata in tempo alla diligenza, ella sentì rientrare la voglia immensa di parlare con tenerezza; e la sua bocca fece una smorfia cattiva ma graziosa.
     Si quietò di mano in mano che s'avvicinava al luogo da dove doveva passare la diligenza. Camminava con le gambe che si ripiegavano, lasciando battere ad ogni passo il suo ombrellino da sole sopra un ginocchio. Appoggiata a Masa e a Pietro, prese un'aria di bambina.
     Masa pensava ancora agli assalariati e alla casa lasciata aperta; e si volgeva indietro, storcendosi le labbra.
     La diligenza tardava. Allora la vecchia, tenendo le mani insieme sul ventre se ne andò, dopo aver detto:
     «Badiamo che tutto finisca bene!».
     Ma Ghìsola non la salutò né meno. E si discostò da Pietro, che non smetteva mai di guardarla.
     Alle finestre del Palazzo dei Diavoli non c'era nessuno. Prima di giungervi, avevano veduto l'aia di un contadino tutta occupata da una mucchia di manne di grano. Ed era parso che dal tetto della casa grondasse giù la luce del sole e rimbalzasse in terra in un cerchio di fiamme.
     Ma, da dove s'erano fermati, videro, in cima ad una collina alta, Vico Bello tra i suoi alberi fasciati da un muro: tutta la collina era verde di granturcheti, mentre gli olivi sembravano incolori e trasparenti. I filari delle viti ingrossati dalle proprie ombre.
     Un mendicante si sedette su gli scalini della Cappella; alla cui meria erano anch'essi: se lo accennarono, sorridendo d'aver avuto lo stesso pensiero; e attesero che cominciasse a mangiare il pane che stringeva con tutte e due le mani.
     La diligenza arrivò. Dentro, c'era una donna e un contadino dalla faccia smunta e la barba non rasata: un malato che la moglie aveva ripreso dall'ospedale. Egli reggeva accanto a sé un fazzoletto rosso, pieno di medicine; la moglie teneva su le ginocchia uno scialle bigio che gli avrebbe messo la sera. L'uomo aveva gli occhi velati, e pareva che si trovasse a disagio; come se avesse voluto che la diligenza non si fermasse, aspettandosi una cosa che li avrebbe disturbati.
     Le tende, abbassate per parare il sole, ondeggiavano.
     Il cavallo s'era arrestato con un movimento brusco, ripiegando le gambe di dietro. Era lungo e magro: uno di quei cavalli dalla testa alta e le mandibole enormi. Tra i finimenti, su cui luccicavano le borchie d'ottone, tutte le sue costole si dilatavano nel respiro. Un filo d'avena gli era rimasto tra le labbra grinzose, infilato sotto il morso. Si sorreggeva, appoggiandosi agli stanghini. Puzzava di sudore.
     Pietro aprì lo sportello della carrozza, su la quale era dipinto lo stemma postale. Ghìsola salì, a capo basso. Poi fece comprendere che voleva essere baciata; e Pietro la baciò; ma le avrebbe detto: "Non sta bene qui!". Ella sorrise, a se stessa, di lui; mentre la diligenza si moveva.
     Dopo aver dato un'occhiata ai due che le sedevano dinanzi, come se prima non se ne fosse né meno accorta, abbassò un'altra volta il capo e impallidì: aveva sentito una trafitta della maternità.
     Pietro, con angoscia quasi mortale, aspettò invano che si volgesse.


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