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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
A settembre egli tornò a
Firenze con il pretesto degli esami di riparazione; quantunque si dolesse di
perdere il tempo inevitabilmente, trovando giusto, come un castigo, di star
lontano dai suoi libri, dai suoi compagni che non lo salutavano né meno più.
Gli faceva l'effetto di nascondersi, e di compromettersi verso tutti. Ma quella
volontà d'inabissarsi, che nasceva da un'angoscia, gli faceva gonfiare il
cuore: il cuore gli batteva in un altro modo!
Dalla sua casa di Via Cimabue, non esciva ormai
che per mangiare. Ma non gli era possibile altrimenti, sebbene gliene rincrescesse
e fosse tentato di vincersi.
Ghìsola, già a Firenze prima di lui, stava in una
di quelle case che si chiamano private; dove guadagnava molto bene. E,
informata da una lettera di Pietro, respinta da Radda, andò subito da lui: anche
per allontanare qualunque sospetto.
Quando la padrona, che l'aveva fatta passare, si
mosse per chiamarlo, ella fece cenno di no; e, camminando senza farsi udire,
batté con la punta delle dita alla porta della camera. Egli, indovinando ch'era
lei, balzò in piedi ed aprì.
Ghìsola finse di non voler entrare. Egli la portò
dentro; e la baciò, tremando tutto. Ella disse, sorridendo e schermendosi:
«Non voglio più!».
Poi si sedé; dopo essersi tolto il cappello, che
mise su le ginocchia. Ma egli ebbe un tuffo caldo al cuore, e sentì arrossarsi
la faccia perché non poté fare a meno di chiederle:
«Perché eri già venuta via da Radda senza
avermelo scritto?».
Ed ella, con il suo bel viso che talvolta
pigliava una purezza assoluta, rispose senza badare a quel che diceva:
«Sono arrivata ora. Ha voluto, per forza, che
tornassi la mia padrona di Badia a Ripoli. E a Radda non ho potuto a nessuno
dettare la lettera per te, perché non volevo far sapere che ci vediamo. Non ho
agito bene?»
«Tanto. Ti riprende lei, dunque?»
«Sì».
«Allora sono contento. Ma non puoi almeno per
oggi restare con me?»
«Ho già pensato a chiederle il permesso».
Egli, credendole, l'abbracciò in un impeto di
riconoscenza.
Escirono subito insieme; e andarono a spasso per
Firenze. Mangiarono; e, poi, si trattennero a parlarsi in uno di quei sedili
del giardinetto di Piazza San Marco, dove vendono i brigidini e i semi di zucca
ai soldati e agli oziosi.
La sera ella gli disse, ridendo:
«Devo andarmene, perché, se faccio troppo tardi,
un'altra volta non mi lascerebbero libera».
E si lasciarono: egli non pensò né meno di
curarsi dove andava.
L'attese tre giorni sempre chiuso in casa;
imaginandosi di confidarle tutto degli esami; e non sapeva se a Ghìsola gliene
importasse o no. E questo proposito gli dava un godimento quasi voluttuoso.
Gli erano insopportabili i rumori, anche lievi;
trovando rimedio nel lasciarsi assopire sul letto. E allora gli pareva che le
tempie battessero con meno fatica; e che il cuore gli si gonfiasse senza
ch'egli ne sentisse la gonfiezza. Ma le sue mani fredde gli facevano un senso
di pena e di paura; ricordandogli la sua vita a Siena.
Se non avesse temuto di far dispiacere a Ghìsola,
l'avrebbe pregata, con tutta la dolcezza che ne provava, ad uccidersi con lui.
Ma quando Ghìsola tornò a trovarlo, tutto cambiò.
L'avrebbe trattato da pazzo, ridendogli in faccia, con quel suo riso di cui
egli aveva spavento, benché la facesse più bella!
Stettero insieme un altro giorno intero, come
l'altra volta; e, poi, non si videro più.