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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Domenico non manifestò subito
l'impazienza che aveva di veder Pietro occuparsi degli affari. Ma come le
conversazioni doventavano di quell'affabilità affettata, che cela in sé gli
scoppi della collera, così anche evitarono di parlarsi. Tutti tenevano dalla
parte del Rosi, e si aspettavano una leticata. Pietro lo capì, fingendo di non
accorgersi di quello che pensasse suo padre quando lo guardava quasi di
sfuggita.
Domenico talvolta si stimava un uomo semplice e
rozzo dinanzi a un raffinato ed un cattivo. E allora temeva d'averne la peggio.
Che cosa erano valsi i lunghi sforzi, di cui
aveva riempito tutta la vita? Morendo, non avrebbe consegnato al figliolo ciò
che aveva potuto strappare con il lavoro e l'astuzia? E proprio il figliolo non
l'apprezzava? Proprio il figliolo voleva mandare in rovina il patrimonio?
Allora si accorse dell'errore che aveva fatto,
accordandogli troppo anche a riguardo di Ghìsola. Egli stesso l'aveva accolta
in casa! Ed ora, la disonesta, glielo metteva contro, insegnandogli ad odiarlo!
Gli parve un tradimento cercato: il seminario,
l'accademia di belle arti, la scuola tecnica, l'istituto tecnico, i maestri
privati, tutto.
Questi pensieri li aveva avuti tante volte, che
stimava essere il momento di non lasciarsi sopraffare.
Seduto su la sedia che gli serviva da più di
venti anni, lo seguiva con lo sguardo, tenendo le mani in tasca dei calzoni e
appoggiando al muro il capo già calvo. Ma non diceva niente, procurando di
distrarsi con i servi e con qualche cliente che andava a salutarlo.
Pietro pensava a tutte le cose famigliari che
avrebbe voluto possedere per sé e per Ghìsola.
Pensava al lume così quieto e sempre eguale, con
la campana di latta. Pensava alla poltrona della mamma, sotto il cui guanciale
era una specie di cassetto di legno, dov'ella aveva tenuto i gomitoli delle
lane e i suoi due soli libri, due romanzi a dispense illustrate. Pensava ai
quattro guanciali a cui ella s'appoggiava; i quali si erano deformati ciascuno
in modo riconoscibile. Pensava all'odore dell'acqua di Colonia, alle boccette
antisteriche, ad una crocettina d'oro consunto.
Prima d'addormentarsi nel suo letto duro,
ricordava tutte le cose più note; alle quali portava un'affezione intensa per
quanto incosciente. Gli pareva di dover dare un'altra impronta e un altro
significato a tali cose. Ghìsola sarebbe stata la rinnovatrice. Ed egli provava
la stessa dolcezza che aveva provato stando insieme con lei.
Spenta la candela, si voltava dalla parte del muro
e dormiva.
Domenico, verso la mezzanotte, attraversava la
camera, con in mano la lucerna d'ottone. E allora Pietro si destava e gli
veniva voglia d'alzare il capo. Ma l'altra porta si richiudeva; ed egli
rimaneva con quello scontento di quando è interrotta una disposizione d'animo.
La mattina, Domenico esciva prestissimo senza dir
niente a lui, che si provava a dare un'altra intonazione a quei sogni che si
hanno durante il dormiveglia quando pare che siamo in grado di smettere o di
continuare il sonno.
Si sedeva al suo tavolino, senza far niente, con
i ginocchi appuntati sotto il cassetto. Gli pareva impossibile che tutte le
cose si disinteressassero di lui; mentre la sua memoria sensuale gli produceva
una sovreccitazione inebriante.
Si commoveva, dunque, d'esser destinato soltanto
a soffrire: "Perché io non posso vedere Ghìsola? Nessuno è costretto come
me a rinunciare a tutto. E nessuno se ne immischia. Non so spiegarmi come agli
altri sia possibile avere qualche occupazione ch'io non avrò mai: il vetturino
frusta il cavallo per far più presto; gli spazzini annaffiano".
Ma evitava d'entrare nella bottega, fino all'ora
del pranzo. E doveva aspettare il momento opportuno, perché anche il cuoco non
gli rispondesse male; accontentandosi di quello che gli davano, e prendendo da
se stesso il pane e le posate nella dispensa.
Egli che aveva amato idealmente gli altri,
provava ora uno struggimento amaro. Ma c'era caso che suo padre gli dicesse:
«Non stare nel mezzo, mentre passano i camerieri.
Tu non lavori!».
Poi esciva di bottega, perché non volesse
obbligarlo a lavorare. "È possibile ch'io sia costretto a correre dal
pizzicagnolo, a comprare il formaggio? Oppure a prendere una sporta e farla
riempire di pane? Oppure discutere con qualcuno che vuole scemare il conto?
Ghìsola, del resto, non acconsentirebbe più a sposarmi".
Un giorno, ricevette una lettera. La calligrafia
della busta gli dette subito il senso di un avvenimento inevitabile. Non voleva
aprirla. E lesse: «Ghìsola lo tradisce. Se vuole averne la prova, vada in via
della Pergola...».
Vi era il numero della casa, e un nome di donna;
forse, falso.
Gli parve che queste parole risolvessero una cosa
inspiegabile. Egli pensò: "Vi deve essere un vero motivo".
E tutte le avversità dolorose gli comparvero
l'una dopo l'altra, provando meraviglia della compassione che una persona
ignota aveva avuto di lui.
Poi rifletté al modo di trovarsi i denari per
andare a sorprendere Ghìsola. Rebecca non glieli voleva prestare, rimproverandolo
che non le avesse restituiti né meno gli altri. Ma Pietro insisté:
«Come vuoi che possa chiederli a mio padre?»
«Se li faccia dare da qualche suo amico».
Intanto si mosse verso il canterano, determinata
di prestarglieli perché appurasse l'innocenza della nipote. Ma innanzi prese
una pezza pulita per il suo bambino, che teneva in collo. La distese sopra il
letto, buttò quella sporca sotto l'armadio; e pareva che il bambino, piangendo,
le facesse dimenticare il denaro.
Tenne ancora il capo giù, come per riflettere: se
fosse valso, sarebbe andata invece di lui da Domenico; ma per quello scopo non
c'era da immischiarsene! Gli disse:
«Non può fare a meno d'andare subito domattina?».
Egli rispose:
«È possibile dopo che ho ricevuto questa
lettera?».
Ella comprese e sospirò. Egli, aspettato un poco,
disse:
«Dammeli».
«Quanti gliene occorrono?»
«Più dell'altra volta».
«Dio mio, come faccio a trovarli! Perché non
pensa a metterli da parte un pochi per settimana?».
Egli si rammaricò di non averci mai pensato; e
gli parve inspiegabile.
«Farò così da qui innanzi. Questa volta...
dammeli tu».
Se avesse dovuto attendere ancora, non avrebbe
avuto l'animo d'insistere; ma Rebecca, credendo alla sua promessa, cedette.
Pietro contò da sé i denari; mentre ella,
appoggiandosi al cassetto aperto, lo guardava in viso. Le sorrise e la
ringraziò.
Rebecca, accompagnandolo in cima alle scale, gli
raccomandò ancora:
«Pensi che me li deve restituire».
Era vero che Ghìsola si faceva spedire le lettere
a Badia a Ripoli; ma non poteva darsi che avesse cambiato dimora soltanto da
pochi giorni? Di che cosa poteva trattarsi?
Si sforzò di definire tutte le specie di dubbii;
ma poiché non ne teneva nessun conto, gli fu impossibile rispondersi. Per la
prima volta, tutto il cumulo delle cose tristi gli parve lontano da sé e che
gli fosse possibile distruggerlo. Tutte le sofferenze gli parvero esteriori,
provando una piccola felicità che non somigliava a nessun'altra. Pensò:
"Perché ho creduto subito alla lettera?".
Durante il viaggio, gli sembrò d'essere in uno
stato d'incoscienza e con la febbre. Ma aveva fretta di giungere.
Il treno correva vicino all'Arno, la cui acqua
luccicava come se migliaia di specchi vi si rompessero insieme; oltrepassava le
pinete a picco, acuminate, ancora sparse d'ombre violacee, tra i pioppi bianchi
e tremuli, dietro i pali telegrafici, i cipressi a fasci, cipressi come
rinchiusi dagli altri cipressi. Andava verso la città sovra la quale si
raccoglieva una dolcezza d'azzurro, tra le colline l'una più soave dell'altra.
Quella bellezza meravigliosa l'umiliava. Mentre l'amore, che fino allora aveva
portato a Ghìsola, gli pareva un'indegnità abominevole senza saper perché:
"E possibile che io non la debba amare?"