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Sono passati cinque anni. Enzo Poggi è morto. La scena non avviene più al pianterreno della villa, ma in un’altra sala al piano di sopra.
SCENA PRIMA
Non credevo che anch’io dovessi invecchiare. In cinque anni non ho avuto altro che amarezze. E non ho fatto nulla. Se mi volto a vedere il mio passato, non ci sono più nè meno le foglie in terra! E prima mi sembrava di entrare ogni mattina in una selva di alberi dritti e nascenti.
Ho fatto male a lasciarti solo. Ti dovevo portare con me.
Non sarei venuto. Non avrei obbedito nè meno a te. Ma tu che hai imparato durante tutto il tuo viaggio?
Nulla. Assolutamente nulla.
Dunque, se non era per farti dimenticare Silvia, sarebbe stato inutile?
Io non avevo che il desiderio di tornare; e i momenti più dolci sono stati quando io ricordavo te e la nostra amicizia.
Io, invece, non ho avuto nè meno questa grazia. Non potevo pensare mai a niente. Ma la grazia maggiore sarebbe stata se io fossi morto. Sento, ormai, che la mia vita è sempre più inutile e più insulsa. Tu hai detto che vuoi restarmi accanto. A quale scopo? Io ti trascinerei con me in un abisso la cui oscurità è più terribile di qualunque altra. Tu lo sai: dicono che io sono nevrastenico e basta. È vero?
Io non adoprerò mai le parole dei medici.
Non senti che le mie parole sono ambigue anche quando vi metto tutta la violenza della mia sincerità? Non senti che tra me e le mie parole c’è una separazione inaccostabile, una rottura che s’allunga sempre di più, dal mio passato?
Tu sei più buono di prima. Questi cinque anni di solitudine dove sei restato t’hanno fatto capire quel che prima non capivi.
E che mi giova? T’ho detto che mi sento vecchio e inerme. Qualche volta, mi figuro che questo palazzo con il suo parco sia una specie d’isola deserta; un’isola morta. Non hai la stessa impressione anche tu?
Non è vero. Io ti renderò il doppio di quel che mi davi una volta. Non sono più lo stesso. La mia volontà è chiara e visibile; quasi te la potrei disegnare. Sono divenuto un uomo che sente; e voglio mettere nella vita un’energia straordinaria.
Io ti ascolterò come una volta tu ascoltavi me. Ti sembra che io abbia meritato questa fine?
Sarà il principio di una vita nuova.
Non ci credo. Mi perseguita anche il rimorso che mio padre sia morto prima che egli si sia accertato della mia conversione e del mio pentimento. Povero vecchio! Mi pare sempre di vederlo negli ultimi giorni della sua vita quando si faceva forza per non mostrarsi più adirato con me. E non gli riesciva. Ci volevamo riconciliare; e non era possibile.
Non pensare più a lui. Tu gli somiglierai, senza essere vecchio come lui. Tu hai un’altra giovinezza; quella vera, che non può sbagliare.
E l’altra, quella di cinque anni fa, che cosa era?
Soltanto il suo germe, che non sapeva ancora come sarebbe cresciuto.
Spero che sia vero. Le tue parole mi fanno quasi tranquillo; almeno in questo momento. Ho imparato che l’opera di ogni uomo consiste nell’attività della sua anima secondo la nostra ragione; ma è necessario che la vita sia perfetta; perchè una sola fronda fiorita non basta per dire che è già primavera.
Mettiti a sedere, Mario. Forse, noi ci vogliamo più bene; ma non con la stessa ingenuità d’una volta. Siamo entrati più dentro a noi stessi; ci siamo più chiusi; ma ora che abbiamo la ragione, saremo più amici senza mai illudersi l’uno con l’altro.
Sei arrivato proprio poche ore fa?
Un’ora fa. E sono venuto subito da te.
Non hai incontrato nessuno dei tuoi conoscenti?
Nessuno.
È stato male; perchè ero curioso di sapere l’effetto che ti faceva a riparlare con un altro uomo invece che con me. Forse, domani mi vorrai meno bene; perchè sarai sopraffatto, di più, da tutte le altre sensazioni dell’esistenza che sei disposto ad accettare e a ricominciare.
Non essere diffidente!
Ho imparato anche a non credere troppo alla prima impressione.
E tua madre?
Ella non mi vuol bene come prima; se non sbaglio. Non può perdonare che mio padre sia morto senza avermi visto cambiato. Il suo bene mi farebbe felice: mi sarebbe necessario come le fondamenta ai muri di questo palazzo. Tu la vedrai. È una di quelle donne che sembrano fatte a posta per la famiglia; come uno steccato in mezzo a un torrente per tenere l’acqua.
Sarà bene che io non veda più Silvia.
Non l’hai più scusata? Tu mi hai scritto in parecchie lettere che non l’ami più.
È vero; ma non ho più amato nessuna.
Ella fece bene: credilo a me! Ella non ha avuto bisogno di deviare troppo prima d’incamminarsi per la sua felicità.
Tu la vedrai, invece. È mio desiderio. Ella non teme più nulla di te. La sua vita è immacolata; ella dice che il bene e la felicità consistono nell’onore. E io, con te, volevo ingannarla e tradirla!
Che ne pensi di me; a sentirmi parlare così?
Ti parrà strano: ma io non faccio nessuna differenza tra allora ed ora. Tu sei stato sempre sincero; ed è la tua assoluzione.
La sincerità non basta. Bisogna trovare un punto fermo dentro di noi; ma non fatto soltanto di noi.
Il bene che si cerca è sempre introvabile.
Perchè non siamo perfetti. Dipende da noi. Ma esso esiste, e dobbiamo rispettarlo. Ora capisco così bene mio padre, che ognuna delle sue parole è più vasta d’un trattato di morale. Ma egli non sapeva spiegarsi. Errò, soltanto, a non farmi andare lontano da lui; perchè sarei tornato a lui anche più presto.
Tu mi vorresti domandare, forse, perchè io gli dò tanta importanza, nella mia anima e nella mia coscienza, ora che non è più vivo e non ho da rendergli conto di me.
Te lo dico subito: i miei pensieri sono nati da lui più che io stesso. E questa somiglianza inesplicabile mi piace e mi pare bella.
Vai a riposarti. Non so quando mi potrai vedere.
Che hai da fare?
Niente; ma non mi è più possibile parlare nè meno con un amico come sei tu. Ho bisogno di esser solo; sopratutto di sentirmi solo. Vedi? Quando si ha una certa età, ci si nasconde agli altri non per ipocrisia, ma per l’istinto di vivere.
Tu hai viaggiato troppo, per essere sicuro come me dei pensieri che mi vengono. Hai viaggiato per dimenticare la donna che tu amavi.
E io, ora, mi appago di qualunque mio pensiero.
Mario lo saluta ed esce dalla porta di sinistra.
Non permetterò a nessuno più che si venga a scrutarmi. A me soltanto io mi devo confidare.
Hai deciso?
Che io resterò qui.
Tu molesti la memoria di tuo padre. Vattene lontano da lui, ora che è morto. Tornerai quando sarò morta anche io. Lasciami qui sola con lui.
Sarò per te come quando ero ragazzo.
Tu non hai mai fatto niente della tua vita.
Non è qui con te che io imparerò a vivere?
Non è vero.
Mamma, tu vuoi vendicarti troppo.
Non hai più bisogno di me.
Più di prima.
Sei, dunque, più debole di me?
Forse, sono sempre stato.
Ti rifiuti alla preghiera che io ti faccio?
Ti supplico di non insistere. Tu non sai essermi madre. Mi fai vergognare troppo di me stesso. Non mi sento più capace ad andare in mezzo agli uomini. I quali comprenderebbero che, una volta, ho creduto di poterli dominare con la mia intelligenza.
Credevo di avere, nella mia giovinezza, una forza che si manifestava per mezzo della mia intelligenza. E non è stato vero. Avevo soltanto una percezione troppo astratta della mia volontà; e non ho trovato chi mi ascoltasse.
Tu non sai il male che avete fatto a non lasciarmi partire allora. Nel bisogno che avevo di non dipendere da voi, quasi di esservi avverso; vedevo la possibilità di compiere un’esistenza che m’avrebbe fatto, scoprire verità ignote a tutti gli altri uomini. Se avessi creduto in Dio, sarei stato un santo. Ma ero un mistico e un asceta lo stesso. Avevo la devozione e il rispetto di me.
E ora io sono un uomo qualunque, mediocre e stanco anche di questa sopravvivenza che mi fa spavento. Se io andassi via, mi ucciderei dopo pochi passi di strada. Mi attacco a te, perchè non mi sento nè meno capace di amare.
Tu sei più giovane di me, con i tuoi capelli bianchi.
C’è in te quella specie di odio che avevi nella tua adolescenza.
Mi nasconderò in qualche parte di questo palazzo, e tu non verrai mai a trovarmi. Non ti rivolgerò mai la parola, nè meno se mi passerai accanto.
Non spero più niente. Ma a poco a poco i tuoi occhi vedranno dentro i miei che noi siamo ancora madre e figlio.
Ho promesso a tuo padre di perdonarti. Tu sei profondamente malato. E non ho più l’animo di mandarti via. Ma in questo modo tu non guarirai. Se tu non fossi malato, saresti cattivo.
Quel che mi dici mi fa pensare a quando per la prima volta si sente un profumo ignorato; e ci fa meraviglia più che se aprissimo gli occhi allora. Perchè i miei pensieri mi faranno morire. Io so, infatti, che non dovrei vivere.
Cinque anni fa, non ti si poteva parlare nè meno.
Allora, perchè non dirtelo? I tuoi orecchi di madre mi comprendono. Io mi credevo non un essere mortale, ma divino. Mi credevo capace di farmi immortale; di far perdere la mia strada alla morte. E volevo fuggirla fino da allora. Perchè la più grande ebrietà della vita nasce dal fermento oscuro della morte.
Non era la giovinezza, ma la morte, che mi esaltava; la morte che ora non temo più.
Perchè non ci siamo compresi subito? Allora mi pareva inutile discutere con voi; e solo volevo dimostrarvi che avevo una forza che non m’era stata data da voi. Ora perchè tu vivessi per sempre, non m’importerebbe d’essere nato.
Quando tu eri un ragazzo, una volta mi hai detto: mamma, perchè noi siamo uomini? E guardavi una rondine che era passata sopra la tua testa.
Ho sempre avuto il desiderio delle cose infinite. Mi pareva che i miei occhi non dovessero guardare più nulla, finchè non fossero capaci ad affissarsi in un orizzonte scoperto da me. Ed ecco perchè volevo lasciare la vostra casa.
La mia casa era più invisibile dell’aria serena, ma per me c’era; e avevo un gran desiderio di andarmici a chiudere. Le tue carezze non contavano nulla. Io volevo, prima, incontrare quella spiegazione che, senza farmisi vedere, mi costringeva, come un’assoluta inimicizia, a cercarla sempre; anche quando io le dicevo che la forza non mi sarebbe bastata. Se io l’avessi trovata, avrei conosciuto una verità eterna e l’avrei insegnata agli altri uomini.
Tanto, mamma! Io rinnegavo te, perchè volevo una madre eterna.
Tu sei sempre malato; parli ancora con i tuoi sogni e non con me; e perciò tu mi costringi a dirti una cosa troppo evidente perchè dovessi io rammentartela.
Io non voglio da te altro che cose dolci.
Tu non sai che tuo padre è morto dai dispiaceri e perchè tu non l’amavi. Ed avete vissuto insieme!
È mia soltanto la colpa? Ma tu hai detto quel che ci voleva per farmi credere il figlio più malvagio che esista.
Ecco perchè dovresti andartene.
Non me ne ero accorto; te lo giuro. Sono sconvolto, ma non credevo a questo.
Così, una volta, da bambino, spennasti vivo un merlo che avevi in gabbia.
Non mi ricordo nè meno di questo. Non me lo dovresti ricordare!
E tu non mi costringere a ricordarti soltanto il male.
Sì: di me, tu non serbi che il male. Quello che io ho fatto senza volere. Ma anche tu, una volta, te ne sei andata via da mio padre. Allora, eri giovane come me.
Tu osi rinfacciarmi una cosa simile?
Non sono io, ma la giustizia eguale per me e per te.
come fuori di sè
Aspetta; aspetta un poco! Io non sono più come una volta. Basta una parola a farmi male per sempre!
Allora, quando si crede lo stesso d’avere la nostra coscienza, si commettono cose che poi, invece, ci turbano per sempre. Tu, mi accusi quasi d’aver fatto morire mio padre. Sarebbe vero, se io non avessi sofferto quanto lui. E vorrei essere morto io, piuttosto!
Sarebbe bastata forse una parola sola per salvarlo. Ma tu hai detto a me quelle che non dovevo udire mai! Sono irreparabili, e le dovrò scontare da me stessa.
Io ti chiedo perdono d’aver messo la mia curiosità sopra la tua giovinezza. Io la rispetto, la tua giovinezza, anche se tu l’hai rifiutata.
Tu non sai di che sono capace. Non sai quello che può accadere! Io non ti comparirò dinanzi mai più! Io mi vergognerò per sempre di te. Non c’è più Enzo! Egli era tutto. Senza di lui, l’incalco si è spezzato. Oh, no! Piuttosto che tornare una donna incapace a me stessa, è necessario che io mi sappia consigliare. Non mi vedrai mai più. Le tue parole mi hanno decisa.
è restato sconvolto, e si sente riprendere da uno dei suoi malesseri quasi epilettici
Io non voglio sognare! Non voglio! Ma la mia testa è troppo debole. Basta che io mi assopisca, perchè il sogno sia più reale di tutto ciò che esiste. I miei sogni sono più forti di me. Per me, la luce è quella che illumina dentro me stesso. E questi miei sogni, peggio degli incubi, crescono d’ogni parte come s’io fossi condannato a sentire sulla mia faccia uno spiraglio dell’infinito. La mia giovinezza si vendica di me; mi accieca; ed io sono in suo possesso.
Chi t’ha insegnato a passare dove io mi sentivo così solo?
seguendo una sua allucinazione
Che cosa avevi in mano?
Nulla.
Non c’è nulla: è vero. Ma dove hai messo quel che avevi in mano?
Sono venuta per stare con te; per tenerti compagnia. Ho portato anche mia figlia, perchè ti distragga. Vieni a vederla. È nel giardino. Vieni a insegnarle dove le rondini hanno i nidi.
sempre vaneggiando
Non è vero che mi capiresti lo stesso anche se tu non mi costringessi a ricorrere all’abitudine di saper parlare? Come si sta bene senza parlare! Ma, benchè sappia che tu esisti e non ti possa sbagliare per un’altra, non mi è più possibile vederti. Io mi sento tuo fratello soltanto perchè una volta siamo stati fratello e sorella. Ma, ora, la cosa è un’altra. Le forme si sono annullate. Non esistono che le mie idee; ma sono incapaci di creare la materia.
Forse, tu guarirai. Stai attraversando il punto peggiore della tua vita. Ma tu non sai quanto è il mio dispiacere a vederti così.
Tu mi vuoi riportare nella vita. Ma non ci riesci. Sei ancora vivente e vorresti ch’io fossi come te.
Ti guarirò io!
Non ti vorrei obbedire per nessuna ragione. Prega perchè io non mi ridesti mai più.
Io non ti lascierò mai. Il mio dovere di sorella lo conosco.
tra sè
È un raccapriccio
rientra dalla porta di sinistra
Entri anche lei.
andandole vicino e parlando quasi sottovoce
Debbo annunciarle una grande sventura.
accennando a Virgilio, che resta sul sofà
Ce ne può essere una maggiore di questa?
Vostra madre s’è annegata nella fontana del parco. L’hanno tratta fuori mentre io passavo, cercando Virgilio. È già fredda e non respira più.
raccapricciata e smarrita, accennando al fratello
La sua ragione gli eviterà questo colpo!
Esce con Mario dalla sinistra. La scena resta qualche momento silenziosa; mentre Virgilio resta abbattuto sul sofà, in preda al suo malessere. Da un’altra porta, da quella di destra, alcuni servitori e un giardiniere portano il cadavere di Flora, adagiandolo sopra un largo sofà in fondo alla scena.
al rumore che hanno fatto i servitori, alza la testa. Guarda in fondo alla scena e riconosce il cadavere della madre. È ancora trasognato e quasi allucinato.
Mia madre! L’hanno portata qui per vedere se io la riconosco!
con un grido
Ho ucciso anche lei!
s’inginocchia presso il cadavere, abbracciandolo
Se ti stringo a me non giova più a nulla. Ti bacio come avrei dovuto fare prima, un minuto fa. Ti bacio perchè tu non sia più morta: ti voglio sentire respirare. Se non riesco a farti respirare, vuol dire che tutto è muto per me!
Silvia e Mario rientrano precipitosamente dalla sinistra. Silvia s’inginocchia presso la madre morta. Mario abbraccia Virgilio.
È morta perchè io potessi guarire. Mi sento eguale a voi. Non ci credete, ma è vero. Fatela portare sopra il suo letto. È stata una abbominazione a posarla qui.
rientrano gli stessi servitori, e portano via il cadavere di Flora, per la porta di destra. Silvia li segue, senza staccarsi dalla madre. Virgilio vorrebbe fare altrettanto, ma Mario lo trattiene
Mio amico! Come sei da compiangere!
sempre fuori di sè; ma a mano a mano tornando naturale
Il senso delle parole non è più lo stesso. Ed ella è di là!
fa per andare nella stanza dove hanno portato il cadavere di Flora
L’ho appena abbracciata!
Resta con me. È bene che tu non la riveda subito.
Che una persona muoia è la cosa più naturale; ma io ho spinto mia madre ad uccidersi!
Tra voi, anche i sentimenti più benevoli e dolci erano come quelli dei nemici.
Se Dio la ridestasse almeno un’ora sola, perchè ella mi togliesse dalla coscienza questo rimorso! Basterebbe un’ora sola!
Tu troverai il modo per farti perdonare.
Io la debbo obbedire più che mai: non posso restare qui. Ogni minuto ch’io mi trattengo, la profanazione si fa irreparabile. Voglio riabbracciarla, perchè mi resti anche su la carne, per sempre, il diaccio del suo viso!
Ma la mia risoluzione è presa. Lascio tutto. Non voglio niente con me. Ma dovrò cambiare di me ben altre cose! Lasciamela rivedere.
Dai viluppi, di cui eri composto, ora comincierai a scioglierti.
Tu soffri troppo. Ma è vero che, qualche volta, noi siamo destinati a scendere negli abissi più cupi per avere il desiderio, poi, delle cime più elevate.
Dovrai credere in Dio. Non hai altro scampo! E la fede, che è indispensabile, ti verrà.
Senza questa fede io non devo rivedere mia madre.
L’avrai. Non quel che è seminato deve nascere, anzi deve morire sotto la terra. E pure, quando è morto, noi vediamo spuntare la pianta che prima non esisteva.
con angoscia cupa e scosso dalla sua nuova anima
Ma era necessario che io uccidessi mia madre? Devo, dunque, rifiutare la fede?
sempre più scosso dalla sua nuova anima che si afferma in lui dopo la tempesta
Essa mi prende e mi abbatte; ma io la devo seguire.
vedendo il fratello che è vicino alla porta di sinistra
Io ti lascio un altro fratello. È degno di te, perchè ha saputo rinunciare a te. Con lui, penserete a quel che si conviene fare per il corpo di mia madre. In quanto alla sua anima, ci devo pensare io; finchè non la sentirò più come un travaglio della mia coscienza!
dette queste parole con una tranquillità suprema, egli se ne va così tutto scomposto com’è
È sempre fuori di sè. Non lo perdete di vista.
con grande chiarezza e fiducia in quello che dice
Non ha più bisogno di noi.
appenata per quello che può accadere al fratello
Richiamatelo indietro. Che venga dalla madre; con me.
Sarebbe peggio.
Piuttosto, pregate per lui e per la sua lunga penitenza.
Fa un atto di sconforto; con gli occhi fissi per dove è uscito il fratello. Poi si riscuote; e, tramortita dal dolore, s’avvia rapidamente dov’è Flora. Ma, quando è per entrare, si sovviene della figlia che ha lasciato in giardino.
Mario! Andate voi da mia figlia. Portatela a casa sua, perchè non pianga. Fatele capire che mi aspetti senza piangere. Ditele che verrò anch’io.
Mario esce per andare nel giardino, e Silvia entra dov’è Flora morta.