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Quando sono per scriverle non mi preoccupo mai di ritrovare l’intonazione precedente; non sono io che comando, ma le mie passioni che lascio passare come un pastore assopito guarda l’acqua che corre. Così, a seconda del diverso umore in cui mi trovo, esse sono tristi o liete, dolci o amare, odiose o amorevoli. In fondo, si capisce, sono sempre il medesimo: soltanto il campo marginale della mia coscienza è quello che si muta, perché esposto direttamente alle impressioni esteriori; ma, naturalmente, il mio io non oscilla.
Stasera, per esempio, sono più disposto ad esporre un’analisi psicologica, che a cercar fiori in immagini e fantasmi. Ciò dipende dal fatto che tutto il giorno ho letto un libro dello psicologo americano James, ossia Gl’ideali della Vita.
Mi riuscirebbe imperfetto e faticoso cambiare tal modo di associare le idee mie... Forse, nel corso della lettera, pensando specialmente che io sto scrivendo ad una signorina, e che non devo sperdermi inutilmente in discussioni di un’indole disadatta, è facile che lentamente ritorni a quello che mi piace di più: alla poesia.
Se ciò non chiama sincerità io non so quello che dovrò dire.
Perché è un caso curioso che a me, forse più sincero di ogni altro (per carità non pensi che io voglia dir male d’alcuno), Ella non sappia trovare un sentimento completo di fiducia.
O quella Mimì?
Io non l’avrei più portata in campo se Ella, nella seconda lettera, mi pare, non l’avesse creduta...
È stato per un bisogno istintivo di protezione e di difesa che io ho speso alcune parole, per essa. Del resto la mia Mimì, che non potrebbe né meno immaginare d’occupare l’attenzione sua, non l’avrei più tolta dal segreto ripostiglio del mio cuore. E le dà da pensare? Perché?
Veda, se Ella non mi credesse ancora quello che realmente sono, sa che farei? Rinuncerei da me stesso ad ottenere una corrispondenza, ed invece del solito pseudonimo metterei il mio nome senza timore e senza vergogna. La prego di non dirmi più a quel modo, che lo faccio da vero! In quanto poi ad essere caduto in varie contraddizioni non mi pare giusto, anzi sono certo del contrario, ché ho la coscienza d’aver parlato sempre sinceramente.
Mi chiede Ella: perché con tanta insistenza cerca di mettersi meco in relazione se ha la possibilità di espandere in un altro cuore fidato i tesori della sua anima? Questa domanda non doveva essere fatta. Le chiedo io: perché con tanta insistenza cerca di non mettersi meco in relazione se ha la possibilità di espandere in un cuore fidato i tesori della sua anima? Probabilmente come le rispondo io, ossia... stando zitta!
Ora, perdoni la troppa confidenza che mi prendo con queste chiacchiere (o ragionamenti se vuole), ma non ne posso fare a meno dal momento che Ella non mi ha risparmiato.
Scommetto che questa volta mi trova... di un altro carattere... È vero? Di un carattere pessimo, un po’ acre, disadorno.
Oh, non tutti i giorni sono uguali!
Oggi mi vesto di lana ché nevica; domani di tela, ché splende un bel sole: ma le vesti sono sempre le mie.
Una volta scrivendo a un mio amico e parlandogli del mio primo amore (che allora da poco tempo avevo perso e che era passato dinanzi a gli occhi abbagliati del mio cuore come un astro nella notte profonda della mia ingenuità) tra le altre cose io gli dicevo:
«È tanto dolce il primo amore! Ignoriamo la donna e la si ama per conoscerla.
Questa ingenuità da Dafni è così soave che non si dimentica più.
I primi baci! Il mistero che si svela! Sorprese della gioventù sempre rosee! Quando la si guarda negli occhi, che ebbrezza! La mia donna aveva gli occhi neri; ma io non sono stato mai capace di scrutarli perché m’abbagliavano e tremavo. Se io dovessi descrivere il suo viso non potrei. Ne ho avuta sempre, una sensazione scompigliata, meravigliosa. Ecco: chiudendo gli occhi la rivedo, ma non bene. Riconosco la guancia tanto bianca come un petalo di rosa, e la bocca leggermente rosea, sempre atteggiata ad un sorriso calmo, incantevole.
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Deliziosa! Deliziosa! Fa che ti ribaci, che le mie mani scorrano sui tuoi capelli tanto neri, pieni di profumi come fiori selvaggi: pieni di dolcezze ignote.
Ma tu non arrossisci più, quando mi vedi. Io ti sono indifferente. È vero? Pensi che me ne dolga?...»
Non so a lei che impressione hanno fatto queste parole; a me, rileggendole prima e riscrivendole, sono parse non più vere, anzi esagerate. Ora devo forse dire che due anni fa, scrivendole, non ero sincero? La risposta non è dubbia.
Potrei riportare a mio comodo una infinità di documenti psicologici, ché io ho la buona abitudine di fermare, ogni giorno, su la carta, quello che è passato nella mia anima. E tutti questi documenti proverebbero come non solo da un anno ad un altro si cambia interiormente, ma come di giorno in giorno le nostre associazioni intellettive si trasformino evolvendosi in poco tempo; e che quindi il nostro carattere, pur rimanendo fermo sostanzialmente l’io, assuma tante forme quante sono le circostanze esteriori e cause interiori che entrano in giuoco a modificarlo.
Un’altra volta, per esempio, parlare di queste cose mi parrebbe troppo fatica e mancando una necessità a influire su la decisione della mia volontà, preferirei o parlare d’altre cose o valermi d’altri materiali.
E per questo Annalena direbbe che lo non sono lo stesso?
Adesso le chiedo scusa della noia che devo averle procurata. Lo so, certe conversazioni richiedono uno sforzo particolare d’attenzione che snerva e che spiace. Ma... la colpa è un po’ sua!
In ogni modo Le prometto però che in seguito terrò tutt’altro contegno. Specialmente quando avrò anch’io qualche segretuccio di Lei. Non è vero?
Dunque... m’assolva.