Federigo Tozzi
Novale

Parte prima

11 gennaio 1903.

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11 gennaio 1903.

Ella ha finito per conoscermi...

Ma perché non faccia dipendere la gamma scapigliata dei miei sentimenti dalla sola costituzione del mio temperamento le dirò brevemente come io vivo.

Vivo da gran signore: da un certo tempo sono fuori di famiglia, padrone di prendermi tutti quei spassi e godimenti che la miseria concede ad un giovane. Per ora sto a Siena, ma da un giorno all’altro non so dove andrò. Per esempio, un mio amico e compagno di fede e di abitudini, un socialista, mi ha proposto una gita di propaganda nell’Umbria e nel Monferrato, nel paradiso e nell’inferno... Lo farò?

Io non lo so. – Certo, per ora non ho altri orizzonti!

Il mio temperamento vorrebbe che non lo esponessi alle emozioni della folla e ai disagi d’una peregrinazione, compiuta in paesi e villaggi dove l’imprevisto e le dure necessità materiali a cui dovrei sottoporlo finirebbero di acutizzargli quella sensibilità patologica che ora di tratto in tratto a lui fa capo. Quindi, con assai facilità, preferirò rimanere nell’ombra, in compagnia segreta dei miei sogni, pago se qualche anima come quella di Annalena gentile non mi dimenticherà.

La mia Mimiì

La donna che mi ama non mi piace tanto quanto quella che scorgo di lontano soffusa dietro il velame desiderato dello ignoto. Ed ella che conosce ormai queste fughe di tenui faville, spente nel loro diffondersi per uno sforzo di volontà negativa, potrà comprendere perché a volte io mi soffermi, incerto su la soglia di un’idea e poi ripieghi di tutto tediato e di me stesso. Sì, spesso avviene che io mi contraddica e non trovi la forza di una decisione; e così mi lascio andare in labirinti oziosi  e non invoco mai il filo d’una Arianna...

Ella, buona, mi dice: «Bisognerebbe che ella s’esercitasse all’esercizio del volere». Come devo fare?

Senta, le porto un esempio recente: ieri sera verso le dieci, quando ero già andato a letto (in un letto patriarcale dove dorme anche quell’amico di cui le ho parlato) non so come mai entrammo a parlare di spiritismo, di superstizioni, di terrore e di arte del terrore, ripensando alle novelle del Poe. Fatto sta, a forza di raccontarci certi fenomeni e certe leggende eravamo entrati in uno stato suggestivo tremendo. Bastava che il canterano scricchiolasse perché il mio cervello udisse il digrignare maligno d’uno di quei spiriti che la mia fantasia aveva creato...

Avevo la pelle d’oca!!

Il mio amico, del pari, era invaso dalla paura del terrore e la sua voce, quasi attraversata da un insolito brivido, mi faceva fremere.

... Nel buio percepivo dei fiocchi fosforescenti, ondeggianti, prima piccoli, poi grandi, prima stretti, poi lunghi, della lunghezza meravigliosa d’uno spettro. Chiudevo gli occhi e allora vedevo dei limoni tagliati, poi un teschio d’oro, poi una corona di lauro verde e rossa, una grande bandiera nerastra, dei punti turchini, dei fiocchi, delle donne, degli occhi, dei gatti, dei mostri, una statua greca, una girandola vaporosa, una luce lontana, un panno, un orecchio... Ed il cervello mi doleva sotto la fronte fredda.

Il racconto d’una novella del Poe (Cuore rivelatore) mi aveva stravolto. Poi lentamente mi assopii, scorgendo sempre dinanzi agli occhi delle luci sanguigne. La notte l’ho passata in sogni straordinari, ma sconnessi. C’era un’enorme girandola che parlava, una luna che rideva, un uomo che mi tirava i sassi, il rombo misurato di una cascata.

Stamani, naturalmente, ho rifatto a mente tutta la via della sera e senza un evidente legame di continuità, ho pensato alla mia Mimì, ma in un modo cattivo. L’ho trovata piena di difetti morali, bugiarda sopratutto. E l’idea della menzogna in quella bocca tante volte baciata, mi travolgeva in un dolore muto, indicibile.

Ma stamani avrei dovuto rimeditare su l’«Agamennone» di Eschilo...

Come potevo farlo?

Ho interrotta la lettera per guardare il cielo. Un cielo pieno di splendori metallici su le colline soffuse di polvere d’oro.

Ma come – Ella dirà – come ha fatto questo ciarlatano a guardare un cielo pieno di splendori metallici, se tutto il giorno è stato nuvolo e la sera ha piovuto?

È vero, ma io l’ho guardato con gli occhi della mia mente, avendomi ricordato un libro di Zola che ho visto sopra il tavolino, la descrizione di uno splendido tramonto primaverile.

Se fossi stato in una conversazione che non mi avesse dato tanto interesse, io avrei cessato di parlare o di ascoltare per risentire dentro di me tutta quanta la bellezza di quella descrizione o di un’altra a seconda del caso. E siccome dopo la domanda che le avevo rivolta, sono stato un momento con l’attenzione sospesa attendendo qualche idea, mi è capitato invece di rivedere una cosa che senza dubbio non m’aspettavo e che c’entrava (per dirla alla senese) come il cavolo a merenda.

Ecco anche perché, scrivendo o parlando, io mi perdo e non tratto profondamente il soggetto preso in esame. Così, fuori, anche se in compagnia, mi avviene di cadere in un buio completo e allora faccio dei calcoli aritmetici mentalmente... Sono sempre i soliti. O rileggo per tre o nove volte di seguito l’insegna d’una bottega o il nome di una strada o compio qualche attopreferibilmente con le dita o con la bocca – per tre o nove volte, sforzandomi di essere esatto per paura... di che? Non saprei.

È un fenomeno curioso che un ateo abbia certe debolezze superstiziose, non è vero? Se noi continueremo a stare in corrispondenza, come ardentemente desidero, ne ascolterà delle curiose. Oh, come gli uomini sono pieni di cose ridicole!

Altri si vergognerebbero a fare certe confessioni, perché – come dice il Rousseau – l’uomo è più proclive a farsi stimare per mezzi di violenza che di sincerità.

Ed ora, Annalena, ora che tutte le piaghe della mia anima cominciano ad aprirsi sotto il suo occhio indagatore, non mi sia avara del suo consiglio benefico. Certo, se Ella vuole, può farmi del bene.

Quando vuole che cominciamo a fare un’escursione artistica per le nostre chiese? Dobbiamo da prima trattare il soggetto promesso, ossia del bisogno d’essere amati? Come crede.

Scriva presto.


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