Federigo Tozzi
Novale

Parte prima

14 gennaio 1903.

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14 gennaio 1903.

I due anni che Ella ha sopra i miei, le danno il diritto di consigliarmi come una buona mammina?

La maggiore età poco; ma la saggezza, di cui mostra avere un largo senso, si. Io gliene sono grato. Potrà Ella influire tanto su me, da migliorarmi?

Lo desidero e non lo spero, conoscendo troppo bene la natura disgraziata del mio carattere.

S’immagini di vedermi in una selva, solo, a’ piedi di tronchi smisurati; e di lontano io oda avvicinarsi il latrato d’infiniti cani e io fugga, e la paura mi faccia correre e urlare come un dannato nella selva delle arpie; ad un tratto, mi sembra che una voce mi chiami, una voce melodiosa in quell’inferno di suoni bestiali; io rispondo con un grido e mi soffermo ansando, girando gli occhi smarriti... la voce mi chiama, io singhiozzo – i cani sbucano, gli occhi sanguigni – io caccio un urlo di terrore e corro, corro mentre la voce si spegne e gli animali sono alle mie calcagna.

Que’ cani li infuria il Destino, e il suo ghigno cattivo è in ogni persona e in ogni cosa.

Ma la selva finisce, i cani son quieti: io ho finito di correre e di vivere all’aprirsi della luce. Muoio così, senza un riso di donna, senza una carezza di fiore. Negli ultimi lampi di vita, ho gli occhi pieni di fantasmi orribili e l’orizzonte me ne sembra oscurato.

Molti anni dopo due pastorelli inciampano nelle mie ossa terrose. Uno di essi dice:

– Questo scheletro è di un uomo?

Risponde l’altro:

– Poco me ne interessa. Ma tu perché lo guardi e ti commuovi?

– Chi sa? Queste mani mi possono aver toccato.

Sciocco! Vendiamo la sua testa; guadagneremo qualche cosa... Piangi?

– I suoi occhi mi hanno guardato.

– Ma gli occhi non ci sono più.

– Non li vedi?

– Io non vaneggio.

– Non li vedi? Avvicinati.

– È vero.

– Ti sembrano umani?

– Oh, oh, come guardano.

Copriamoli col fango.

Guardano sempre. Mi fanno paura.

Ora sono neri, ma sembra che uno splendore rosso li attraversi.

– Si fanno più grandi.

Dio!

Fuggiamo!

Sotterriamoli.

– Sono gli occhi del diavolo.

– Si, si, di lui.

Dio! Dio!

E i due pastorelli fuggono.

Gli occhi erano quelli del mio destino.

Che le pare? Potrò un giorno divenire com’Ella mi consiglia? Mai, mai...

Pensando alla mia vita, al mio avvenire, non posso mai separare il reale dall’immaginario o dal fantastico. Ho nel cervello un vulcanetto che non si stanca mai e le sue ceneri e le sue fiamme si diffondono per tutta la mia anima in un turbinìo che acceca e abbaglia.

Del resto, dato il mio temperamento, non potrei esercitare alcuna di quelle professioni in cui la normalità degli individui si cristallizza. Se facessi l’avvocato farei a pugni con tutti i presidenti, giurati, ecc. Se facessi il professore strozzerei qualche alunno. Il medico? Non me ne parli manco.

Quindi se sarò capace di esplicare la mia intelligenza nell’arte, la mia vita troverà il suo senso. Altrimenti l’unica volontà che mi farà una volta decidere sarà quella della morte. Non si spaventi! Sarà una morte da vero stoico!

Prima di parlare del bisogno d’essere amati voglio fare un’osservazione circa i libri che Ella mi ha suggeriti; poi... se ci sarà carta, parlerò del mio socialismo.

Non conosco il libro di Ippolito Nievo perché non ho mai avuto i danari per comprarlo e alcuno dei miei amici ce l’ha. Non sono d’accordo con lei di porre i «Promessi Sposi» a corona della letteratura italiana perché in quel libro, all’infuori della prosa scritta bene, non ci trovo niente. Ho letto il principio dei Ricordi, ma cessai subito perché non mi davano nessuna impressione di bellezza artistica – quindi... nel cestino.

Ella ha detto che il Sogno e le novelle del Poe dilettano ma riescono per un temperamento fantastico un incentivo dannoso. Niente di vero. Possono dilettare soltanto quelle persone che li leggono così per passatempo; senza alcun interesse intellettuale. Ma per chi ha un fine artistico, non è così. Inoltre, invece che dannosi, quei libri sono utilissimi a un temperamento fantastico che voglia speculare.

Le conosce le novelle del Poe? Se non le conosce le compri, che avrei piacere di esaminarle insieme. Per esempio, prendo il racconto intitolato Il ritratto ovale. Si tratta di un pittore che dipingendo una donna, mano mano che compie il lavoro sottrae i colori dalla carne della modella e li stempera sul ritratto; poi quando ha finito vi trasfonde anche l’anima della giovane. Pare il sogno di un pazzo e forse lo è. Ma quanta bellezza in quell’idea! Che m’importa se il Poe era un alcoolico, se quel pittore è un fantasma sorto tra i fumi del vino, e se quella donna è impossibile?

Quando l’artista, contemplando il suo quadro ormai penosamente finito, grida con voce possente: «Da vero che è la vita istessa» non è questa voce l’allegoria che glorifica l’arte nell’amore? o l’amore nell’arte? E quando si rivolge bruscamente per guardare la sua amata e la sua amata è morta, non è forse scolpito il sacrificio umano a un ideale?

Poe è sublime. Oh, sì, altro che Manzoni col suo classicismo camuffato da romantico!

E quei racconti mi colpiscono tanto più quando penso al temperamento diabolico del loro autore. Che forza! Quando egli con lo stomaco pieno di vino, di zozza, e la bocca fetente di cicche masticate chinava la testa sul marmo lurido di un tavolino, dentro una bettolaccia, la sua anima diveniva meravigliosa. Dentro a quel cranio ributtante c’era un sole. Un sole da tempesta che apriva le nuvolaglie degli istinti immondi e cacciava a stormi gli uccellacci delle idee nere dentro il Maelstrom. Edgardo teneva a memoria quello che in quel momento vedeva. Erano abissi inarrivabili, tramonti di sangue, lame di coltello, profili soavi di donna.

Sì, il Poe, dopo il sommo poeta inglese, è quello che di più ha ingrandito la compagna dell’uomo.

Le donne del Poe sono tutte straordinariamente affascinanti per quel contenuto che hanno, fin dentro le ossa, d’inverosimile.

In quanto allo Zola, mi limito al Sogno, riuscendomi qui sul tamburo troppo difficile anche uno sguardo rapido a tutta l’opera sua poderosa.

Il Sogno è un libro mistico. La fanciulla che sogna un principe a sposo e tanto oro che abbaglia i suoi occhi, è il Desiderio di una ragazza ingenua. In ogni pagina di quel libro c’è una frase che vorrei sapere a memoria.

Anche questo, se non l’ha letto, lo legga.

Il mio socialismo? Io seguo la teoria rivoluzionaria del Ferri; ma vi sono giunto non per via scientifica (come sarebbe meglio) ma per via sentimentale: ossia naturalmente mi sento portato alla ribellione aperta, magari violenta. Nei momenti di eccitazione mi balenano imagini criminose d’anarchico. Odio i potenti, i preti e i soldati. È un odio implacabile che morirà con me. Dopo che ho letti i suoi libri ho sempre amato idealmente il Ferri, e quando vi potetti conversare mi parve un sogno nella realtà. Del resto per farsi un’idea chiara di quello che è il socialismo non basta dirlo così in una lettera, Bisogna leggere molti libri e molto... indigesti. Leggerebbe Ella La teoria materialistica del Marx, L’origine della famiglia dell’Engels, Socialismo e scienza positiva del Ferri, ecc. ecc.? . Se vuole gliene posso fare dei riassunti.

Quando riscriverà, cominci Ella a parlare del bisogno di essere amati. Io non ne ho avuto... la carta bastante! E poi mi dica sinceramente una cosa, che è questa: dei tre suoi corrispondenti quale posto occupo io? Lo dica francamente. Se occupo l’ultimo non le scriverò più perché mi riuscirebbe spiacevole non essere io il migliore degli altri. Me lo dica senza riguardi. Veda, io non nascondo né meno le mie ambizioncelle!


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