Federigo Tozzi
Novale

Parte prima

7 aprile 1903.

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7 aprile 1903.

Isola non è più mia: è di tutti!

Il suo orgoglio di ragazza corrotta la fa sprofondare di luridezza in luridezza...

Che cosa costa per lei il sacrificio del suo onore? La folla del vizio la domina. È schiava del suo istinto brutale. Il piacere della carne è troppo possente in lei perché abbia un moto di rivolta contro il mondo che la compra...

Ora si deve vendere perché il bisogno materiale della vita vuole il denaro.

Per lei non c’è più la famiglia. Io le sono troppo lontano perché possa sperare...

Tutto le sfugge.

Con me ha orrore della sua colpa.

La vergogna la schiaccia come un sughero.

Il rimorso la fa peggiore.

Non deve rivedere più le amiche della sua innocenza.

Il mondo le ghigna in faccia... È una vinta.

È anche vile perché non si uccide.

La sua bellezza val bene qualcosa!

Il maschio – il terribile maschio – la paga a contanti. Un bacio, due baci... e le carezze.

Io non entro nella sua anima che con la fitta del dolore suo...

Deve piangere molto.

Dopo la voluttà, quando la nausea assale anche le anime le più brutali, deve vedere la mia imagine.

Forse essa mi rimpiange...

Ma perché prendersela tanto a cuore?

La giovinezza avvizzisce presto... dunque?

Bisogna goderla la giovinezza.

E quando siamo povere, quando non si ha famiglia, né parentiamicisogni, che c’è di meglio dopo il piacere?

Il domani non conta.

Chi ha delle preoccupazioni non può godere pienamente...

Del resto, anche, esse non potrebbero nulla... dunque? «Ieri ero quasi affamata, oggi sono sazia abbastanza».

E al bimbo chi ci pensa?

Suo padre? Chi lo conosce?

E poi suo padre è troppo ricco perché possa ricordarsi di lui!

Un giorno, il figlio della prostituta si vendicherà... oh, sì, che si vendicherà! Sarà un ladro, un assassino...

Già la madre non guadagna più!

Ha un bel fare di lisciarsi la faccia con quei cosmetici! È vecchia: non la vogliono più. Ci sono delle giovani ora! E quante! Bisogna vederle. E anch’esse si lamentano.

Il figlio perde la pazienza, batte sua madre...

Diamine! Non gli più né meno un soldo per la zozza. Come si fa a vivere così? E poi una casaccia sporca, puzzolente... Gli avventori sono tutti anziani e ingiovabili... Ma né meno loro si contentano! Dicono che alla vecchia puzza troppo il fiato. E poi...

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Del suo corpo non rimangono che gli ossi indolenziti e le giunture,

Il figlio che fa? Una malattia terribile lo corrode e lo rende ripugnante.

Da per tutto è scacciato, lo si percuote anche. Ma egli grida minaccioso con la sua voce rauca, di  sifilitico e si caccia le mani nella tasca dei pantaloni come per levare un’arma...

Lo si arresta; resiste. Una convulsione lo scontorce su ’l rigagnolo nero della via schifosa.

Sua madre è disopra che sbaciucchia il suo vecchio amante.

Poche ragazze spaurite guardano trascinare il corpo del loro amico...

Una d’esse sospira, un’altra sputa e bestemmia...

La strada torna silenziosa.

Dopo poco, la vecchia meretrice va su la porta del suo postribolo; ha il mal di cuore e respira affannosamente.

Un bambinetto le racconta la scena... Ella non ci crede, poi qualche lagrima le scende fin su le labbra alquanto pelose. Ma si pace.

Una gran calma sembra scendere dalla breve striscia di cielo cupamente azzurro che s’accende di stelle..

Si ode il suono vellutato di una chitarra e una vociaccia sguaiata di mastino, il suono di un cornetto, un fischio, una folata di vento, poi torna il silenzio.

Le ombre verdognole, quasi nere.

La megera guarda in su, sembra commossa da quella pace inaspettata.

Ora tosse e tiene una mano sul cuore: il dolore è più forte.

Mormora : «Dio mio, Dio mio, morire!».

Ma l’dea improvvisa della morte spaventandola l’ha fatta ritornare in sé; dice:

– Che sciocca sono ad aver paura!

Poi chiama:

Martino! Martino!

Silenzio.

– Dov’è quell’imbecille? Martino! Martino!

Il vuoto oscuro del bordello non risponde.

In fondo vede biancheggiare il letto e una tenda si agita: le sembra il braccio di qualcuno che la chiami.

Va , ferma la tenda, poi torna su la strada.

Ora sente un malessere opprimente in tutta la persona, le gambe le tremano; si guarda le mani e vede che sono bianche...

Dio mio è la morte?

Perché pensa per la seconda volta alla morte? Questa osservazione le mette nell’animo uno spavento grandissimo.

S’avvia lentamente verso la sua camera e si distende sopra il letto supina.

Tutta la camera gira... Un rombo confuso le empie le orecchie.

Sembra che qualcuno vicino a lei singhiozzi, ma ha paura a volgersi da quella parte...

Vede entrare delle figure che si chinano, la tastano, la frucano...

Ella vuol gridare; ma dalla sua bocca contratta a forza non esce che un gemito debole.

Un tappeto immenso, nero come la notte, la soffoca, la involge, la trascina via lontana... lontana... vertiginosamente.

La vecchia puttana è morta!

Queste sono le cupe fantasticherie che ingombrano la mia mente. Io non me ne posso liberare. Anche le larve del vino non sono più belle.

Attenderò che la spugna del tempo lavi il mio spirito e allora... allora...

Ci vuole un altro amore; più frenetico del primo, più folle... che duri due settimane, un mese, non importa!

Io la ringrazio infinitamente della cura premurosa che dimostra per me, e gliene sarò grato per sempre. Di una cosa sola però non mi capacito, come Ella, senza conoscermi, possa amarmi di un’amicizia così tenera.

Certo, noi due c’intendiamo più di quello che non sembra: Vero?

Chi avrebbe detto che quel birichino, del sor Bernardo – allora perfetto bohémienpotesse acquistarsi tanta fiducia e tanta benevolenza? Si ricorda delle prime incertezze inquietanti? La nostra amicizia era proprio in fasce e per sorreggerla c’è voluta tutta la mia buona volontà.

Che balia, che balia!

Perché non mi manda mai un fiore? Mi piacciono molto.

Le farò una confessione (scusi se salto di palo in frasca): più d’una volta m’è venuta la tentazione di darle del tu, ma poi... certi scrupoli... certe riflessioni... insomma, non ne son stato buono! Guardi se è capace Lei, per prima. Mille cose gentili .

 



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