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Da Siena, a Siena
Settembre, 1906.
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Io sono in momento terribile d’incoscienza. Tanto che non ho più volontà né so come regolarmi in qualsiasi cosa; e ciò che mi piaceva un’ora fa mi pare orribile. La conclusione? Io ho bisogno di rinnovarmi completamente e di mettermi in una condizione, la quale mi faccia profittare della mia coltura e di quel pochissimo che la natura mi ha dato. Tu stessa, quando ci parlammo, avrai potuto capire ch’io sono divenuto un essere quasi imbecille, sottoposto a una volontà non sincera, e che non ho altra soddisfazione se non quella di fare male a me stesso e ad altrui.
A volte, anzi, sono così sicuro della mia pazzia, che per me è divenuto abito l’adattarmi a ciò che essa esige.
Tu sai che a te solamente il mio animo s’è aperto, così come si apre ora. Mai in tutta la mia vita, nessuna altra persona ha bevuto alla mia fonte amara come hai fatto tu. E così forse mai io troverò chi vorrà porgere orecchio a me: né lo desidero.
Quando mi confido a te sento dileguarsi ogni nebbia; ma dentro a me c’è un essere che mi comanda, dinanzi al quale io tremo. E quest’essere brutale ride di me, quand’io appoggio l’anima a chicchessia. E quest’essere, forse, è la mia verità.
Che vale amare, quand’esso non è contento, e urla, e piange, e si curva per la rabbia?
Ora tace, ascoltando ciò che la mia anima sta per dire. Ora parla. E la mia anima si dilegua dinanzi al padrone che comanda.
Emma, ciò che ho passato io è terribile e grottesco. Da questo ne deriva la confusione della mia mente e la minaccia (che non mi fa paura) della follia. (Forse perché è molto tempo ch’io respiro sul suo petto) .
Per lavorare da vero ho bisogno di togliermi da Siena, la quale è divenuta per me come una grande allucinazione, per questa insistenza quasi di persecuzione. Ho perduto il mio ingegno? Non so. Non scriverò più finché non produrrò tale, quale io mi sforzo di produrre.
Lascia ch’io scriva così a intervalli, perché sinceramente tu possa ricevere gli stati d’animo che attraverso parlandoti.
Occorre anche ch’io mi senta bene. Chi ha più avuto la testa al posto?
Soltanto il pensare che fra poco debbo uscire a passeggiare tra la gente, mi fa star male.
Io non ti sposerò mai. Mi sento legato a te da un’amicizia che mi fa star male quand’io non ho la tua anima ad ascoltare i miei pensieri. E t’amo anche sensualmente. T’amo, ma soffro lo stesso. Forse, un medico sorriderebbe de’ miei nervi malati!
Per oggi non ti scrivo più, né so quando ti scriverò. Hai tu davvero la forza di fuggirmi? Di acquietare tutto dentro di te? Di reprimere, come io faccio, ogni moto di sentimento?
Tu, quando mi ami, stai male. Ciò non è amore. Anche io soffro perché l’emozione che tu mi susciti è contraria alla mia natura. Rimaniamo in ciò che si chiama amicizia.
Mi sembra che ora si riproducano gli istanti di Porta Tufi.
Perdona alla mia perversione insaziabile.
Di più non puoi avere.